19

728 29 1
                                    

Quella stessa mattina, in classe, Erica era sdraiata sul banco e parlava appena.

"Che, sei ancora ubriaca da sabato?"

"Sì" aveva tagliato corto per rispondere alla domanda di Sara. 

Era rientrata alle sei e un quarto infilando la chiave nella toppa con la lentezza di uno scassinatore, ma aveva comunque trovato sua madre in cucina ad aspettarla, seria.

"Ma ti sembrano ore di rientrare?"
"Ti avevo detto che avrei fatto tardi..."

"Questo non è tardi, questo è un altro giorno!"

Erica aveva riso, e sua madre si era incazzata ancora di più "oggi c'è scuola! E tu ti butterai a letto e poi, le lezioni, i test, chi la fa la maturità? Ci vado io a darti l'esame?"

Erica aveva alzato la mano e proseguito verso la sua camera "tranquilla mà, mi faccio una doccia e ci vado a scuola"

La madre era rimasta talmente stupita che non aveva aggiunto altro.

La professoressa Ferrari quella mattina era entrata con cinque minuti di ritardo, perfettamente vestita e truccata, sembrava uscita dal parrucchiere, ma come aveva fatto? Si chiedeva Erica incredula, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

"Buondì ragazzi" aveva detto con la solita voce allegra "prendete il libro di grammatica, oggi ci dobbiamo fare del male" e dopo quella battuta, mentre tutti si chinavano per prendere il libro, in quella piccola confusione generale, loro si erano cercate con lo sguardo e si erano sorrise.

Erica aveva ritrovato energie e buonumore. Mentre la professoressa spiegava lei si era messa a scrivere, le parole abbandonavano il suo corpo come soluzione da una flebo. La scrittura era sempre stata una cura per lei e ora aveva bisogno di buttare giù la tensione di quella notte trascorsa occhi negli occhi. 

"Che scrivi?" Sara si era sporta appena, ma Erica aveva piegato il foglio a metà con un gesto fulmineo. 

"Un tema per Anna di quarta, mi ha chiesto una mano"

"Ah, ok. Su cosa?"
"Sulla prima guerra mondiale"

"Che palle!"

"Già, una noia mortale" ecco, ora non avrebbe provato a leggere quello che stava scrivendo. 

Aveva alzato la mano ed era andata in bagno, ma con un passo laterale improvviso si era infilata in biblioteca per poi uscirne poco dopo.

Tornando al banco aveva scritto in un foglietto I fratelli Karamazov e l'aveva ripiegato, mettendoselo poi in tasca.

Era stato così, che lei e Marta avevano iniziato una fitta corrispondenza segreta. Ogni notte Erica le scriveva lunghe lettere, per poi nasconderle in biblioteca. Il giorno dopo Marta le faceva trovare la sua lettera in mezzo a un libro che nominava casualmente a lezione e che Erica andava immediatamente a cercare. 

Marzo e aprile erano stati un lungo corteggiamento epistolare. Erica aveva solamente due cose in mente, il diploma e Marta. Marta al primo posto. 

A maggio erano partiti per il viaggio d'istruzione a Parigi, ma la Ferrari non aveva partecipato, c'erano già molti colleghi di ruolo che volevano partire con le loro classi. 

Erica le aveva dedicato un quaderno intero per descriverle l'atmosfera della metropoli: i pittori per le strade, le persone sdraiate sul prato lungo la Senna, il Louvre, la quiche lorreine... e poi in fondo ad ogni pagina scriveva mi manchi. Come se potesse scriverlo, come se fosse in diritto di pensarlo, che quella splendida donna fosse un po' sua. 

Non poteva che essere così. Lo capiva dal modo in cui la guardava la mattina, dal passo svelto che aveva nella direzione della biblioteca, un caffè in mano e la scia di profumo dietro di lei nel corridoio. Lo capiva dalle parole che sceglieva, nello scriverle le lunghe lettere, che non erano mai troppo personali, ma che lasciavano intendere più di quello che si potesse capire ad una prima lettura. Non si sbilanciava mai, ma si vedeva che ci teneva anche lei. 

Quando era tornata dai cinque giorni parigini era venerdì sera. Non l'avrebbe rivista fino al lunedì e quello era un pensiero tristissimo. Sabato mattina Erica stava seduta sul largo davanzale della sua camera, ad aggiungere dettagli al suo quaderno su Parigi, scarabocchiare disegni e note a margine... quando un'auto familiare aveva rallentato passando sotto la sua finestra, per poi parcheggiare in fondo alla via. Possibile che fosse lei?

Si era tuffata dentro una felpa grigia, infilato i piedi nelle sneakers bianche e si era precipitata giù dalle scale con il quaderno stretto in una mano, il telefonino nell'altra. Era letteralmente corsa in fondo alla via. 

Era proprio Marta, che la guardava oltre il finestrino con un sorriso colpevole di chi non poteva aspettare per rivederla. Erica riprendeva fiato e si domandava se fosse vera.

Poi aveva fatto rapidamente il giro dell'auto ed era salita lasciandosi cadere sul sedile del passeggero.

"Ciao..."

"Ciao..."

"Andiamo via da qui..."

"Ok..."

INSEGNAMI L'AMOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora