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Erica trascorreva le lunghe mattine di scuola nell'attesa di lei, un pugno a tenere una tempia, con il gomito sul banco. Scambiava qualche chiacchiera con Sara o andava alle macchinette con Alessio a prendere una bibita. La ricreazione la trascorrevano in cortile, se era bel tempo. E lei era come sempre un po' sulle sue, silenziosa. Sentiva di avere poco in comune con i suoi compagni e non trovava mai la cosa giusta da dire. 

Dopo un paio di settimane la Ferrari l'aveva avvicinata nel corridoio e senza troppi preamboli le aveva detto "se ti va... sto avviando un progetto pomeridiano, un piccolo corso di scrittura creativa. Tu scrivi molto bene... magari ti piacerebbe migliorare..."

Erica l'aveva guardata dubbiosa e poi aveva detto a bassa voce "non mi piace leggere davanti agli altri quello che scrivo" 

La professoressa le aveva sorriso. Dio quanto è bella, aveva pensato Erica perdendosi nel suo sguardo e nei suoi denti bianchissimi.

"Non sarai obbligata a farlo, se non te la sentirai"

"In che giorno lo fa?" non che facesse molta differenza, lei non aveva nessun impegno serale.

"Il mercoledì pomeriggio. Iniziamo domani, perché non vieni a dare un'occhiata?"
Ed era così giovane che sarebbe potuta essere una sua amica, ma nello stesso tempo era irraggiungibile. Stare anche un pomeriggio a settimana con lei era un sogno.

"Ci penso, grazie" e si era voltata per ritornare in aula. Lo sentiva, lo sguardo della professoressa nella sua schiena, lo sentiva come una pressione, come un cavo d'acciaio teso tra di loro. Sulla porta si era voltata per guardare indietro ed effettivamente la professoressa l'aveva seguita con lo sguardo. 

Si era imbarazzata nel notarlo, poi entrambe avevano sorriso ed Erica aveva detto a voce alta, per farsi sentire dall'altra parte del corridoio "ok, ci vengo".

La prof aveva annuito e le aveva fatto ancora una volta quel micidiale occhiolino. Lo faceva solamente a lei o a tutti? Non lo sapeva. 

L'indomani pomeriggio alle tre aveva varcato per la seconda volta in un giorno il portone d'ingresso del liceo. La bidella l'aveva indirizzata verso la stanza giusta e aveva raggiunto la professoressa e altri due studenti, un ragazzo e una ragazza, che sedevano intorno al tavolo in legno chiaro. Aveva salutato con un cenno del capo e si era messa a sedere. Perché era venuta? Si sentiva terribilmente fuori posto. Non avrebbe dovuto accettare. 

"Benvenuta Erica, loro sono Matteo e Silvia" per lei, ecco perché era venuta. Per quel fisico snello, quegli occhi castani e quella voce calda che la faceva vibrare come una corda di chitarra. 

"Penso che per oggi saremo solamente noi, ma forse è meglio così, potremo lavorare meglio e creare il cuore del gruppo" la Ferrari era emozionata e il suo sorriso sembrava ancora più ragazzino.

"Se siete qui è perché noi condividiamo qualcosa" aveva iniziato a dire. E tutti e tre l'ascoltavano in religioso silenzio. 

"Io ero una ragazzina riservata, che amava i libri più delle persone, che scriveva montagne di diari e faceva fatica a trovare il suo posto nel grande circo degli adolescenti. Vi ricorda qualcosa?" Erica aveva sorriso, sapeva esattamente di cosa parlava. Eppure era difficile, vedendola adesso, immaginarla come una ragazzina introversa. Ora che sembrava così sicura di sé e carismatica. 

"Ricordatevi che questo è uno spazio sicuro, potete dire o scrivere quello che volete. Non ci sarà giusto o sbagliato, solo autentico" poi aveva guardato i ragazzi e aveva aggiunto "mi potete chiamare Marta, ma solo il pomeriggio, va bene?"

"Va bene" aveva detto Silvia rompendo il ghiaccio. 

"Bene. Facciamo un piccolo gioco per scaldarci. Io inizierò a scrivere una frase su questo foglio, poi a turno ognuno di voi scriverà la sua frase e cercheremo di scrivere una piccola storia. Proviamo?"

Marta si era seduta accanto ad Erica, aveva preso una penna nera dal portapenne al centro del tavolo e aveva iniziato a scrivere. Profumava di buono,  un buon balsamo e un buon ammorbidente. Ma soprattutto profumava di proibito ed Erica si emozionava ad ogni respiro.

La guardava senza pudore. Seguiva il profilo del suo viso, la mandibola sottile, le piccole orecchie, il naso leggermente all'insù. L'aveva guardata con tanta insistenza che Marta si era voltata e lei era arrossita anche tra le costole. Aveva preso il foglio dalla sua mano tesa, letto la frase e scritto a sua volta.

Era stato un bel pomeriggio, dopotutto. Matteo e Silvia si erano rivelati intelligenti, umili, ottimi lettori e ottimi scrittori. Si era sentita finalmente nel posto giusto, in mezzo a persone che amavano le parole tanto quanto le amava lei. 

Era uscita per ultima dalla stanza, raccogliendo le sue cose con lentezza. Stare da sola con lei in una stanza era quello che immaginava ogni notte e ora ne aveva la possibilità, per qualche secondo.

"Ti ringrazio... Marta..." le aveva detto avvicinandosi, mentre lei si era appoggiata con i glutei al tavolo e aveva incrociato le braccia al petto, dedicandole un'attenzione totale, cosa che gli altri prof non facevano mai. 

"Mi piace molto, penso che verrò tutte le settimane... Silvia e Matteo... abbiamo così tanto in comune, mi trovo molto bene co loro.

La professoressa aveva risposto con voce bassa, calda, con occhi intensi che la fissavano "mi fa molto piacere sentirlo. È importante trovare la propria gente..."
"Cioè?"

"Le persone a cui senti di appartenere, che ti fanno sentire giusta"

"Lei è strana prof" Erica si era permessa un commento confidenziale, sperava di non aver esagerato. 

Ma l'altra aveva riso "se avessi un soldo per ogni volta che me l'hanno detto... E poi strano va bene. Sempre meglio che banale"

"Lei, banale non lo è sicuramente" questa volta Marta non aveva riso. 

"Nemmeno tu, lo sei. Non dimenticarlo"

Che strana piega che aveva preso quella conversazione. Cosa si stavano dicendo? Erica aveva perso il filo e si fissava una scarpa. 

Quando aveva risollevato lo sguardo aveva visto Marta che la scrutava con occhi languidi, ma poi aveva scosso la testa e si era voltata per prendere la borsa e mettersela in spalla. 

Se lo era immaginato o era successo? La stava guardando in un modo particolare o era tutto frutto dei suoi desideri che proiettava su di lei?

Improvvisamente un silenzio imbarazzato tra loro. Si erano avviate lungo il corridoio scuro, spalla a spalla, il sole era tramontato. 

"Le posso chiedere una cosa?"

"Dimmi"

"Quanti anni ha?"

Aveva riso "secondo te?"

"24?"

"Quasi... 23"

"Wow, è giovanissima!"
"Mi sono appena laureata e in realtà non avevo intenzione di lavorare a scuola... ma ho accettato la supplenza perché mi permetterà di mettere da parte qualcosa per i progetti futuri"

"Ok. Bello"

Avrebbe voluto chiederlo, quali erano questi progetti, ma non voleva essere invadente. 

"Buona serata" erano giunte al cancello.

"A te"

Si erano guardate a lungo, come se nessuna delle due volesse veramente andarsene. Ma forse anche quello era frutto della sua fantasia. Nel suo film mentale la baciava lì, in piedi nel cortile della scuola, mettendole una mano dietro la nuca sottile e l'altra sul fianco, aprendo lentamente le labbra per cercare un contatto con la sua lingua. 

INSEGNAMI L'AMOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora