Il nemico è tra noi

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Alyah, sgattaiolò silenziosamente dall'uscita laterale e si intrufolò nei dormitori riservati alle sacerdotesse

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Alyah, sgattaiolò silenziosamente dall'uscita laterale e si intrufolò nei dormitori riservati alle sacerdotesse. Non chiudevano gli ingressi, nessuno avrebbe mai mancato di rispetto alle Fanciulle della Dea. L'unica area sorvegliata era il tempio, in quanto accessibile dalla strada. A chiunque era permesso di entrare a pregare, a qualsiasi ora del giorno e della notte. E lei, in quanto Oracolo, doveva garantire la sua assidua presenza.

Il corridoio era silenzioso e deserto, si intrufolò in una camera che ben conosceva.

Teti dormiva tranquillamente, aveva staccato il turno di guardia al calar del sole. La osservò a lungo: i capelli neri erano sciolti e le ricadevano sulla schiena coprendola fino ai fianchi. Il sonno era profondo, la stanchezza della giornata passata aveva contribuito notevolmente a farla addormentare.

Chiuse gli occhi e mentalmente le chiese perdono per ciò che stava per fare.

Ritornò sui suoi passi e attraversò il tempio silenziosamente. Dopotutto muoversi come una creatura impalpabile faceva parte dell'addestramento da Oracolo.

Il cavaliere posto di guarda all'ingresso si era assopito accanto al braciere, così Alyah uscì dalle mura del tempio per la prima volta. 

In tutti questi anni aveva vissuto al suo interno, non le era concesso avere contatti con l'esterno se non quando impersonificava la Voce degli Dei. Il suo volto, da quando era divenuta Oracolo, non era stato visto da nessuno, esclusi Teti e il sacerdote Crise. Le era proibito mostrarlo.

Coperta dal mantello blu scuro, rubato a Teti, scappò da quella che era stata la sua casa per tutti questi anni. Il cuore le martellava nel petto per l'eccitazione. 

Da piccola aveva studiato la geografia del regno e sapeva esattamente dove si trovasse la caserma rispetto al tempio. Un conto era vederlo su carta, un altro trovarsi a camminare nel buio in luoghi sconosciuti. 

Nel cuore aveva la speranza di trovare il comandante delle guardie e di avvisarlo dell'incombente pericolo. Aveva avuto nuovamente una premonizione: ora sapeva con certezza chi era il traditore e dove sarebbe avvenuto l'attacco.

Si nascose tra i cespugli, aveva sentito dei rumori avvicinarsi. Non doveva farsi scoprire altrimenti sarebbe stata rimandata al tempio e punita.

Dal buio spuntò un guerriero che si fermò a pochi passi dal nascondiglio. Il suo sguardo puntò proprio nella sua direzione facendola fremere. L'aveva vista? Lui rimase fermo. La luce del braciere gli illuminava il viso, rimase colpita da quegli occhi che esprimevano un caldo senso di protezione. 

«Michael ti stai addormentando?» un altro uomo in divisa si avvicinò.

«No Aron, è come se mi sentissi osservato e poi ho la sensazione che stanotte debba succedere qualcosa... non prendermi seriamente, a volte sparo idiozie» e rise.

«Sensazioni o no, Altea ci ha fatto chiamare»  e se ne andarono entrambi dalla direzione da cui erano venuti.

«Altea? Dovrebbe essere il nome del comandante delle guardie» disse sottovoce Alyah prima di seguirli.

Cercò di restare nell'ombra della vegetazione il più possibile, ma dovette fermarsi quando i due svoltarono verso l'edificio. Lì sarebbe stata esposta. Non poteva farsi catturare.

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«Eccoci» Aron entrò con passo spedito nella sala. I cavalieri scelti, i giovani più promettenti dell'ordine, erano già tutti presenti. Kahel, Tmolus ed Araxe salutarono i rispettivi superiori con un leggero gesto del capo. Ad Aron e Michael non piacevano le rigide regole, preferivano applicarle solo sui soldati minori per mantenere la disciplina, con i gradi superiori tendevano ad adottare un rapporto di fraterna amicizia.

Altea era seduta a capo tavola con un'espressione preoccupata, le mani giunte «La guerra ha preso la piega negativa che noi tutti temevamo. Sedetevi» Aron e Michael si accomodarono uno accanto all'altro, come facevano sempre, alla destra del loro comandante «la flotta di Austro ha appena iniziato l'attacco ad Arabesq. Non possiamo mandargli soccorsi perché noi siamo impiegati a fronteggiare le navi di Borea. Se le nostre truppe non resisteranno presto toccherà a noi andare in prima fila, per difendere il castello»

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All'interno delle mura vi era un desolato silenzio, tutti dormivano, o almeno così credeva Esperia. Stava appoggiata alla finestra ed osservava l'oscurità. Temeva per Emantus, anche se non era stata avvisata dell'attacco, aveva la certezza di non poterlo più vedere per molto tempo.

Le guardie fuori dalla porta si erano date il cambio, ora era il turno di Eride che bussò alla porta.

Esperia, asciugandosi gli occhi bagnati da calde lacrime  «Avanti»

«Maestà scusi la mia intrusione, ho visto le  candele ancora accese... ma voi state piangendo?»

«Non è niente Eride, non preoccuparti»

«Eppure Maestà mi sembrate così pallida... forse un po' d'aria fresca vi farebbe bene, concilierebbe il sonno e scaccerebbe i tristi pensieri»

«Hai ragione, verrei volentieri a fare una passeggiata nei giardini. Accompagnami per favore»

All'esterno l'aria era assai pungente. Esperia si incamminò in direzione del ruscello, il rumore dell'acqua solitamente le acquietava l'animo. 

Eride si fermò, cercò di prendere una certa distanza da lei. Esperia si voltò temendo che fosse successo qualcosa. La vide ferma vicino ad una quercia, nel buio della notte i suoi occhi sembravano brillare di un rosso cupo. 

«Eride?» l'ansia crebbe bel suo petto, la guerriera si muoveva a scatto. Come un burattino mosso da invisibili fili. Il terrore si impossessò di lei, rendendole impossibile muoversi. Aprì la bocca per chiedere aiuto ma nessun suono ne uscì.

Eride non rispose. Non poteva più farlo in effetti, del suo corpo umano rimaneva ben poco ormai. Il sangue di drago che aveva ingoiato le bruciava nelle viscere e presto, se fosse sopravvissuta, sarebbe diventata un'ibrido. Avrebbe avuto la forza e il potere che da sempre agognava. Da quando, ancora bambina, aveva visto i soldati uccidere i suoi genitori la cui unica colpa era stata quella di ospitare un ferito, un soldato di Re Arge. Lo stemma della casata che indossava ora era lo stesso dell'assassino che aveva trapassato con la spada il ventre di sua madre.

La vendetta l'aveva tenuta in vita fino ad oggi. Tremando per il dolore estrasse il corno. Solo chi possedeva sangue di drago poteva fargli emettere un suono. Non uscirono note musicali dallo strumento, ma qualcosa di agghiacciante che ricordava  il grido di dolore di centinaia di persone. Eride spezzò in due l'oggetto e sparì nel buio.

Esperia si riscosse e in preda al panico iniziò a correre verso il castello. Dall'alto un'enorme creatura scese a picco verso di lei prendendola con i suoi artigli e portandola con sé nell'oscurità.

Il suono del corno fu udito da tutti all'interno e fuori dalle mura

Altea diede subito l'allarme presagendo una disgrazia.

Teti, svegliatasi, si spaventò non trovando più l'Oracolo nella sua stanza e diede l'allarme.

Nel regno si creò confusione e paura ovunque.

Nel regno si creò confusione e paura ovunque

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