Capitolo 21

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La pioggia batteva da giorni sul piccolo vetro della finestra sopra la mia testa

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La pioggia batteva da giorni sul piccolo vetro della finestra sopra la mia testa. I tuoni riecheggiavano nell'aria e i lampi illuminavano l'oscurità in cui versavo da mesi. Quella pazza non si era fatta vedere per settimane, troppo presa dai suoi tomi e quelle fialette colorate per prestare attenzione a uno Shen come me. Con il dito indice della mano disegnai un cerchio intorno a una minuscola formica che era entrata nella mia prigione. Era incredibile come un solo piccolo ostacolo bastasse a mettere in crisi qualunque essere vivente e no. La guardai muovere le antenne su e giù, le zampette che si agitavano sul pavimento logoro nel tentativo di riuscire a sfuggire ai miei segni, poi si arrestò, arresa all'idea di essere stata catturata. Proprio come me.

Sentii la porta aprirsi e dei passi scendere le scale da cui la donna era solita arrivare, ma nessuna figura balzò fuori dalla porta. Improvvisamente tutto tacque. Il cielo tuonò ancora e fu allora che qualcosa di lesto rotolò verso di me, fino ad arrivare nella mia prigione. Rapidamente afferrai l'oggetto con la mano e lo portai al viso, intenzionato a scrutare quale arma avesse avuto l'ardire di lanciarmi contro, ma rimasi perplesso, tanto da dover inclinare la testa. Una mela rossa come il sangue lasciava permeare il suo dolce profumo intorno a me. Me la rigirai tra le mani, dubbioso, perplesso, incapace di capire per quale motivo mi fosse stata data. Annusai l'aria umida e un dolce profumo di lavanda mi inebriò i sensi. Non era lei. Non era Magdalena.

«Io non mangio, non ne ho bisogno» ringhiai infastidito, gettando via quel pomo nella stessa direzione in cui mi era stato lanciato. Due esili mani afferrarono il frutto e, poco dopo, una testolina sbucò da dietro l'oscurità della porta. Strabuzzai gli occhi quando mi resi conto che fosse una bambina. Che accidenti ci faceva qui dentro?

«La mamma è crudele non è vero?» Domandò con quella vocina fastidiosa avvicinandosi appena. Aveva paura, lo sentivo dall'odore e faceva bene a stare alla larga dal sigillo.

«Fatti gli affari tuoi, mocciosa» ringhiai ancora strofinando gli artigli sulla pietra del pavimento. Lei sussultò, ma non bastò a farla tornare sui propri passi.

«Ti sento urlare...»

«E tu tappati le orecchie.»

«Faccio dei sogni brutti la notte.» Era strano come quella bambina stesse cercando di instaurare una specie di conversazione con il sottoscritto. Per quale motivo era scesa nel cuore della notte per portarmi una mela e parlare? Improvvisamente mi sentivo strano, quasi incuriosito dalla sua presenza e senza rendermene conto mi ero avvicinato al cerchio, desideroso di riuscire a vedere meglio quella strana creatura.

«Provo tanto dolore ed entro in un posto davvero orribile.» Sentivo la sua angoscia dal tono della voce, ma cosa si aspettava esattamente da me? Non ero l'essere giusto per occuparsi dei capricci di una bambina, io quelle come lei le spingevo nell'Altrove e le lasciavo divorare ai Wendigo, non le cullavo e neppure le confortavo. Perché me?

«Parlane con quella squinternata di tua madre.» Tentai di farle intendere che non avevo affatto intenzione di stare ad ascoltarla, ma lei fece un piccolo passetto avanti e tirò su con il naso.

«Lei dice che è normale.»

«Allora vattene.»

«Ma io vedo tante creature come te!» Quasi strillò, ma non fu quello a farmi sobbalzare o ad attirare la mia attenzione, bensì quello che aveva detto. Lei era entrata nell'Altrove? Ma come era possibile?

«Che cosa?»

«Ce ne sono tantissime e sono così cattive con me...» Continuò rammaricata, mentre un altro tuono squarciava il cielo notturno.

«Ma io ho fatto amicizia con una di loro! Si fa chiamare il Traghettatore!» No, non era assolutamente fattibile una cosa del genere. Lei era una bambina e non aveva affatto la possibilità di varcare il confine dell'altro mondo. Restai in silenzio a pensare a qualcosa di logico per spiegarmi quelle assurdità che uscivano dalla sua minuscola bocca, ma non trovai neppure una risposta plausibile. Un lampo illuminò la stanza e un sussulto di spavento la fece sobbalzare, fu allora che notai la minuscola figura davanti a me. Aveva i capelli bianchi come quelli della madre, raccolti in due treccine semi-disfatte e due occhi che per un istante pensai fossero stati un'allucinazione. Erano gialli, proprio come i miei.

«Ma tu chi accidenti sei?» Biascicai sconvolto arrancando verso di lei, ma il sigillo si attivò non appena mi sporsi troppo e fui costretto a tornare indietro con un dolore lancinante alle mani.

«Io mi chiamo Tara, e tu?» Domandò con aria innocente. Era per metà Shen, qualcosa che non avevo mai visto in tutta la mia esistenza.

«Non ho un nome.» La mia voce uscì quasi scontrosa, ma non potei fare a meno di continuare a guardare quella creatura con interesse, come se stessi parlando con qualcosa di irreale. Era così, lei doveva essere un'allucinazione dovuta agli anni di prigionia e io stavo impazzendo. Un sorriso privo di qualche dente si mostrò accompagnato da due fossette ai lati della bocca. La mocciosa parve quasi illuminarsi di gioia alle mie parole.

«Allora sarai mio amico! Ti chiamerò...» Sembrò prendersi qualche istante, mentre la sua manina stringeva il mento conferendole un'espressione pensierosa.

«Shen!» Esclamò di colpo, lasciando scintillare nuovamente quegli occhietti dorati. Che cosa stava combinando Magdalena? Cosa aveva creato?

ANGOLO AUTRICE

Questa settimana doppio aggiornamento per Shen, in quanto il capitolo di Xavier è fin troppo corto. Però, se c'è una cosa che ho imparato scrivendo Infernale è che non devo scrivere parole su parole cercando di raggiungere pagine numerose. Un capitolo è perfetto quando sento di aver scritto tutto ciò di cui volevo parlare e con Xavier è proprio così.

Fatemi sapere cosa ne state pensando di Shen, giunti fino a qui! Non vedo l'ora di leggervi!

Shen-L'ombra del dannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora