CAPITOLO 14

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Caldo. Sulla pelle, dentro la carne, nelle ossa. Avevo l'impressione di essere stata risucchiata da un abisso di magma. Mi sentivo intontita. I muscoli erano come intorpiditi. L'ultima cosa che ricordavo era la colazione fatta con Amlach mentre guardavamo il sole sorgere sulla linea retta tra mare e cielo, poi lui che mi diceva che potevo chiudere gli occhi per un po', se volevo.

E io che, contro ogni logica, accettavo.

Perché? Non avevo alcun bisogno di riposare, perciò per quale ragione mi ero stesa dove lui aveva passato la notte e mi ero addormentata?

Mi tastai un orecchio, facendo una smorfia. Ogni suono era ovattato. Ci volle qualche secondo affinché il mio udito si ristabilizzasse. Tuttavia, anche quando accadde, mi accorsi subito che non era normale, che i rumori non mi giungevano con la nitidezza ipersviluppata con cui noi elfi ascoltavamo.

Qualcosa non andava.

Poi, di botto, la voce tonante di Amlach mi esplose nelle orecchie. Scattai a sedere e mi voltai. Lui era in piedi; mi pareva alto e grosso come gli alberi della Foresta delle Streghe. Si stava sbracciando in maniera forsennata, facendo pericolosamente oscillare la zattera.

«Da questa parte!», urlava a squarciagola.

«Amlach?», lo chiamai, confusa.

Lui si girò verso di me, raggiante. «C'è una nave! Laggiù, guarda!»

Mi rizzai, ma persi inspiegabilmente l'equilibrio. Amlach fu veloce a cingermi con un braccio intorno alla vita e ad attirarmi contro il suo corpo solido per stabilizzarmi. Arrossii con violenza, sconcertata dalla familiarità di quel gesto.

Dal fatto che non mi ero staccata all'istante da lui.

«È lontanissima e non riesco a vedere se sia della mia o della tua gente, ma, che mi venga un colpo, quella è una nave». Mi afferrò per le spalle e mi diede una scrollata gioiosa. «Una nave!» Rise e ricominciò a dimenare le braccia. «Siamo qui! Ehi, quaggiù! Aiuto!»

Seguii la traiettoria del suo sguardo, individuando il puntino scuro all'orizzonte. La vista non mi tradì, come aveva fatto l'udito poco fa, e distinsi i contorni inconfondibili di un galeone con ampie e gonfie vele bianche.

E una bandiera nera che sfumava verso il rosso.

Sgranai gli occhi e in un lampo mi fiondai su Amlach, bloccandogli le braccia in basso.

«Che diamine fai, elfa?», vociò, cercando di divincolarsi.

«Fermati», gli intimai, serrando la presa sui suoi polsi. «Fermati».

«Così non ci vedranno mai!», sbraitò, guardando disperato verso la nave.

«Non devono vederci», sibilai. Lo lasciai andare per raccogliere uno dei remi e poi spingerglielo contro il petto. «Prendi questo, siediti e rema più veloce che puoi».

«Perché?», berciò, fissandomi come se fossi diventata folle mentre agguantavo il secondo remo.

«Perché sono pirati!» Mi gettai sulle ginocchia vicino al bordo della zattera e saettai con lo sguardo infuocato su Amlach. «Rema!»

Lui mi riservò un'espressione stizzita e si inginocchiò, tuffando il remo in acqua. «Non potevo sapere che fossero pirati», ringhiò.

«Perché non mi hai svegliata?», strillai, vogando furiosa.

«Ho pensato che avresti gradito la sorpresa, al tuo risveglio».

Lo guardai malissimo. «Invece hai segnalato la nostra presenza a degli uomini che faranno di noi degli schiavi, se ci cattureranno».

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