CAPITOLO 1

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Mille anni dopo


«Non mi piace, sorella».

Affiancai Araton sulla riva del Lago Caran. Occupava l'altopiano al centro delle Terre dell'Est ed era chiamato così per via di una particolare flora rossa che cresceva nelle sue profondità, donando all'acqua una sfumatura cremisi che talvolta lo faceva sembrare un bacino di sangue.

«A nessuno piace, fratello», replicai, scrutando di soppiatto la sua armatura nera dalle decorazioni ramate per accertarmi che non avesse dimenticato nulla. «Per questo nostro padre conta su di noi per risolvere la situazione».

«Non è questo, Nauriel». Gli occhi di Araton deviarono sulla diga di pietra che controllava il flusso del fiume che scendeva a valle. «Avverto qualcosa. Come delle vibrazioni nell'acqua».

Gli misi una mano sulla spalla, il mantello ramato morbido sotto il mio palmo. «Sono solo gli eserciti che si stanno spostando all'unisono».

Lui rilasciò con forza il respiro dalle narici, rilassandosi un po'. «Hai ragione». Si tolse la mia mano dalla spalla e la tenne per qualche secondo, contemplandola mentre mi faceva scorrere il pollice sul dorso delle dita. Un tempo mi avrebbe sorriso, prima di lasciarla andare. «Andiamo. I nostri soldati ci stanno aspettando».

Lo guardai incamminarsi verso i nostri cavalli, che stavano brucando l'erba poco più in là, poi tornai a rivolgermi verso il lago. Chiusi le palpebre con un sospiro afflitto.

Araton aveva quasi superato il lutto, ormai era evidente. Da tempo non lo si sentiva più urlare o disperarsi, e da qualche anno aveva ripreso a passeggiare per la reggia, perfino a interagire con gli altri elfi.

Tra non molto avremmo dovuto dirgli addio.

E io non ero pronta.

Il nitrito di Ringil mi riportò alla realtà e il boato della sorgente del fiume, situata sul monte più vicino, sembrò deflagrarmi nelle orecchie. Osservai accigliata le sottili ma impetuose cascate che si tuffavano nello specchio d'acqua scarlatta, quindi feci dietrofront e montai sulla mia giumenta.

Galoppammo su e giù lungo le colline ricche di vegetazione, lasciandoci alle spalle Aegel, la capitale costruita nella foresta sempreverde di conifere e latifoglie che rivestiva le Montagne Aroron.

Man mano che andavamo a sud, i dislivelli si addolcirono fino a trasformarsi in pianura, puntellata qua e là da grossi alberi. Ci ricongiungemmo alla nostra armata e avanzammo fino al Glawar, il grande e splendente fiume che fungeva da confine con il Regno degli Uomini e che si gettava dall'altissima scogliera nel Mar Thalion.

E lì, già schierata lungo la sponda opposta, c'era la legione dell'attuale Re degli Uomini.

Per secoli un bellissimo ponte di pietra aveva unito le nostre due regioni. Ma qualche anno fa, quando il sovrano aveva incontrato mio padre in gran segreto e aveva minacciato di invadere la nostra casa poiché lui si era rifiutato di concedere il potere di Calien per salvare le loro terre, colpite da un morbo sconosciuto che stava facendo morire i raccolti e le piantagioni, Re Erech ne aveva ordinato l'immediata demolizione.

Segnando così la nascita di un'irreparabile ostilità tra i nostri popoli.

Io e Araton spronammo i cavalli fino alla riva del fiume.

«Che il Signore del Regno degli Uomini si faccia avanti», dissi a gran voce nella lingua comune, «e cerchiamo insieme una soluzione senza inutili spargimenti di sangue».

Non vedendo mio padre neppure nelle retrovie del nostro esercito, il re non si abbassò a venire a parlare con noi e mandò il suo generale, un uomo tarchiato in sella a un possente cavallo che potesse reggere la sua stazza.

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