CAPITOLO 47

56 4 4
                                    

Gli occhi verde giada di mio fratello guizzarono nella mia direzione. «Nauriel», boccheggiò.

Fu dinanzi a me in poche falcate e le sue braccia mi avvolsero con tanta enfasi da farmi gemere. Lo strinsi più forte che potevo con il braccio libero, respirando appieno il profumo silvestre dei suoi lunghi capelli castani che mi solleticavano la faccia.

«Sei qui», singhiozzai in elfico. «Finalmente sei qui».

Non riuscivo a crederci. Stavo sognando?

Lui aumentò la stretta, trasmettendomi tutto il proprio dolore. «È tutta colpa mia».

Perché non mi aveva tirato fuori dall'acqua, quando ero precipitata nel Mar Thalion dalla cascata del Glawar. Perché era rimasto a guardare mentre Amlach mi salvava la vita. Perché mi aveva abbandonata al mio destino per punirmi.

«Mi dispiace», mugolò, baciandomi prima i capelli e poi la tempia. «Mi dispiace così tanto».

Ricacciai indietro il risentimento e gli accarezzai la guancia liscia, semplicemente grata oltre ogni misura che mi avesse trovata. «Lo so».

L'emozione svanì dallo sguardo di Araton man mano che si rese conto delle polveri colorate che enfatizzavano i tratti del mio viso, del mio abito scarlatto scollato e senza maniche. «Spiriti», imprecò con una smorfia inorridita, facendomi scorrere le dita sulle ferite e i lividi che mi adornavano le braccia. «Come ti hanno ridotta...»

Intrecciai le mani alle sue, donandogli un sorriso rassicurante mentre piangevo. «Sono ancora tutta intera», provai a scherzare.

Ma lui non mi sorrise. I suoi occhi disgustati, fissi sul mio collare d'argento, seguirono la catenella fino alla manetta per poi proseguire lungo quella che mi collegava ad Amlach.

Questi gli rivolse un sogghigno tanto arrogante che un muscolo pulsò sulla mascella di mio fratello.

«Alla buon'ora, Principe», lo canzonò Amlach nella lingua comune.

Quelle parole fecero suonare uno strano campanello nella mia mente. Gli scoccai un'occhiata guardinga in tralice. Perché avevo come l'impressione che si aspettasse l'arrivo degli elfi? Che cosa mi stava nascondendo?

Araton staccò le mani dalle mie e serrò quella predominante intorno all'elsa del pugnale assicurato sul suo fianco destro. Fissò Amlach come se volesse squarciargli la gola e infilarvi una mano per strappargli via la trachea.

«Allontanatela da questo rifiuto», ordinò in elfico.

«Araton», sibilai di rimando, abbrancata da un feroce istinto di protezione.

Mio fratello mi fulminò con lo sguardo, incredulo.

Il ghigno di Amlach si fece ancora più tronfio.

Uno dei soldati rimise la freccia nella faretra e l'arco a tracolla, avvicinandosi per esaminare il mio collare e quello di Amlach. «Serve una chiave, mio principe», comunicò alla fine.

Quasi avesse compreso la nostra lingua, Amlach guardò verso l'uomo che ci aveva comprati. «Signore Roxior». Sollevò lievemente il polso ammanettato al mio. «Vi dispiace?»

Se era spaventato come tutti gli altri umani raggruppatisi al centro del salone, l'anziano non lo lasciò trasparire e, impettito, venne verso di noi con tutta la calma del mondo. Una breve occhiata diffidente a mio fratello e alla spada che gli pendeva dal fianco sinistro, in seguito la sua espressione rancorosa si fissò su Amlach.

Questi lo osservò dall'alto in basso come se fosse un insetto che era pronto a schiacciare.

Ciò non fece che aggravare l'astio sul volto di Roxior, che arricciò appena il labbro superiore e tirò fuori la solita chiavetta da un taschino interno della toga rossa, consegnandola al soldato elfo.

Black SeaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora