CAPITOLO 21

50 6 2
                                    

L'ira si innalzò in me come un falò, unendosi a quella emanata da Amlach in una pericolosa spirale che mutò l'atmosfera nella sala.

Anche Escrain la avvertì, poiché si scostò da me e con nonchalance fece qualche passo verso Roxior. «Signore», iniziò in tono rigido. «I nostri affari hanno lunga data. Vi ho forse mai venduto schiavi di cui non foste soddisfatto?»

L'anziano espirò il fumo, squadrandolo come fosse un insetto. «No. La tua merce si è sempre dimostrata utile e leale fino alla fine».

«Allora perché dubitate di me, adesso?», si inalberò il capitano.

Lo sguardo di Roxior si fece ancor più affilato. «Stai esitando, Escrain».

Questi si dondolò impercettibilmente sui talloni. «Oh, be'», sospirò alla fine con leggerezza. «Tanto l'orecchio non le servirà per quello che ho in mente per lei. Perciò...» Accennò un inchino, toccandosi il cappello. «Come desiderate, Signore».

Girò sui tacchi e tornò da me. Scambiò uno sguardo turbato con il suo secondo, che si sfilò il pugnale ricurvo infilato nella fascia azzurra intorno all'addome e glielo porse dalla parte dell'elsa.

Consapevole, ora, della mia lentezza, contrassi ogni muscolo del corpo e mi preparai ad agire, sentendo appieno il pavimento fresco sotto i piedi per scattare non appena quella lama si fosse avvicinata al mio orecchio.

Escrain fece un cenno del mento ai suoi tre uomini. «Tenetela ferma», ordinò con un falso sorrisino spavaldo.

Misi tutto il peso sulla gamba destra e incominciai a staccare il tallone sinistro da terra per roteare con un calcio...

«Signore!», proruppe Amlach d'improvviso, avanzando fino a tendere la catena tra di noi con un sonoro schiocco.

Le serve nella stanza emisero un singulto unisono, terrorizzate. Era chiaro che nessun umano si fosse mai azzardato a rivolgersi al loro padrone, durante una vendita, tantomeno con quel tono.

Amlach sostenne lo sguardo glaciale del Signore con tanta risolutezza che, dopo qualche istante, egli fece segno con una mano a Escrain di soprassedere. Questi parve quasi sollevato e subito si allontanò da me.

Amlach gli scoccò un'occhiata in tralice, così tenebrosa e mortifera che una gocciolina di sudore scese sulla tempia del capitano. Poi tornò a rivolgersi a Roxior, la testa alta e la schiena dritta come un fuso.

«Il mio nome è Amlach Pýrós», iniziò con voce stentorea, «Comandante dell'esercito di Re Amlach III del Regno degli Uomini». Ruotò leggermente il busto verso di me per indicarmi. «Costei è la Principessa Nauriel, figlia di Re Erech del Regno degli Elfi».

Raccontò per filo e per segno ciò che ci era accaduto nelle ultime due settimane, sottolineando come io lo avessi aiutato a sopravvivere giorno dopo giorno.

Come non lo avessi mai abbandonato.

«Avrebbe potuto lasciarmi a morire di sete in mezzo al mare», disse. «Avrebbe potuto annegarmi, o massacrarmi una volta giunti sull'isola, visto che io e i miei soldati volevamo invadere la sua casa come dei barbari per prenderci qualcosa che non ci appartiene».

Mascherai un'espressione sbalordita, intimandomi di rimanere stoica mentre osservavo il suo profilo.

«Eppure, non lo ha fatto. Avrebbe potuto abbandonarmi al mio destino, quando il Capitano Escrain ci ha trovati, e tornare dalla sua famiglia. Eppure, non lo ha fatto», ribadì Amlach con veemenza. «Perfino adesso potrebbe liberarsi facilmente di quelle manette e decidere di fuggire o di ucciderci tutti. Eppure», inarcò le sopracciglia con eloquenza, «non lo sta facendo».

Black SeaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora