CAPITOLO 32

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Stavo andando a fuoco. Era questa l'impressione che avevo mentre guadagnavamo il centro del campo circolare sotto il sole più cocente che avessi mai avvertito sulla mia pelle.

Il boato del pubblico, ammassato sulle gradinate, era più assordante del fragore di qualsiasi battaglia avessi mai sostenuto e faceva tremare la sabbia compatta sotto le mie suole. I Signori e le Signore di Rubra invece si godevano lo spettacolo dai loro palchi privati, scavati a diverse altezze in sei torri.

Oltre a quello da cui eravamo passati io e Amlach, altri cinque ingressi si susseguivano lungo la circonferenza del campo.

Da un momento all'altro, da uno di essi, sarebbero apparsi i nostri avversari.

D'un tratto un uomo tozzo, con una toga bianca e rossa a maniche lunghe e larghe, si affacciò da un balcone che sporgeva sul campo. Portava un'inquietante maschera in gesso raffigurante un'espressione sorpresa, con la bocca spalancata e foglie di vite e grappoli d'uva tra i boccoli.

Allargò le braccia per evocare il silenzio generale. Poi, la voce amplificata dalla maschera, iniziò a recitare con fervore, come un attore consumato su un palcoscenico. «E ora il momento che più aspettavate! Sopravvissuti a una brutale battaglia nelle Terre dell'Est. Precipitati nel Mar Thalion. Alla deriva per tre giorni, in balia delle tempeste e degli squali, prima che il Capitano Escrain li salvasse e li portasse nella nostra bella città...»

Amlach non trattenne una mezza risata colma di livore, mentre io fui sul punto di ruggire agli spettatori che quelle parole non erano nient'altro che una vile menzogna. Che eravamo stati catturati, non salvati. Che perfino un uomo all'apparenza d'onore come Roxior era disposto a riportarci a casa solo dopo aver ottenuto il suo tornaconto.

Lo cercai con lo sguardo sulla torre vicino all'entrata che io e Amlach avevamo varcato, trovandolo comodamente seduto al palco più basso, intento a piluccare acini d'uva nera. Mi augurai che potesse percepire tutto il rancore che gli scagliai contro.

«Popolo di Rubra», strillò il presentatore. «Ecco a voi la Principessa degli Elfi di Aegel e il comandante dell'esercito degli uomini delle Terre dell'Est!»

La folla esplose, estasiata.

Centinaia di dita mi indicarono. Le parole elfa e orecchie rimbalzarono da una parte all'altra dell'arena, spingendomi ad accostarmi ancora di più ad Amlach, quasi volessi inconsciamente nascondermi nella sua ombra.

«Chi avrà il coraggio di sfidare i nuovi gladiatori della Casa del Signore Roxior?», continuò l'uomo con la maschera.

Tutte le teste si girarono verso l'ingresso alle nostre spalle, la cui saracinesca si stava aprendo. Il fatto di non essere riuscita a coglierne il cigolio, nonostante le grida, mi fece rabbrividire.

Due schiavi corsero nel campo, si arrestarono a poca distanza dall'entrata, gettarono due scudi rotondi di legno nella sabbia e fecero dietrofront, riscomparendo nel tunnel come se avessero un demone alle calcagna.

Io e Amlach ci occhieggiammo, circospetti.

«Signori e Signore di Rubra! Cittadini!», strillò il presentatore, mentre la saracinesca sotto il suo balcone incominciava a sollevarsi. «Date il benvenuto ai gladiatori della tribù Ramil!»

L'istante dopo tre bighe rosse, con decorazioni in argento e trainate da cavalli sauri, entrarono una dopo l'altra nell'arena. Gli auriga e gli altri tre uomini indossavano una lunga fascia beige che fungeva da turbante e velo per coprire il viso al contempo, lasciando scoperti gli occhi. Una corazza in pelle marrone schiacciava i pensanti strati di abiti sul loro torace, su cui mi parve di scorgere varie cinghie per i pugnali.

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