CAPITOLO 6

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«Non è così terribile come sembra, elfa», fece il soldato. Lo guardai malissimo e lui, con il fantasma di un sorriso, aggiunse: «Suppongo che il principe sia già su una nave per venire a recuperare la sua sorellina».

Ne dubitavo, pensai adombrandomi. Perché dentro di me ero consapevole che Araton non aveva mosso un dito mentre il mare mi portava via. Dentro di me, sapevo che era rimasto a guardare.

Per punirmi.

«Eri cosciente, dopo la caduta?», chiesi.

L'uomo inarcò un sopracciglio. «Chi pensi ti abbia impedito di annegare?»

Lo scrutai con ostilità, tentando di non avvampare al pensiero delle sue mani su di me mentre mi riportava in superficie. «Perché non sei scappato verso la spiaggia più vicina?»

«Ci ho provato», rispose con un'espressione condiscendente. «Le correnti erano troppo forti».

Non stentavo a credergli. Perfino i più esperti tra i nostri marinai non erano in grado di navigare vicino alle sponde meridionali delle Terre dell'Est ed erano costretti ad aggirarle da lontano per non essere spinti contro la scogliera.

«Quindi», proseguì l'umano, «ho deciso di tornare verso il nostro fedele albero e usarti come contrappeso – anche se sei leggera come una piuma e non sei stata di grande aiuto, onestamente».

Lo fissai, cercando la menzogna nei suoi occhi. Ma non la trovai. Espirai con forza dalle narici e sviai lo sguardo dal suo, d'un tratto a disagio.

«Grazie», dissi piano. Riportai l'attenzione su di lui. «Per avermi salvata».

Il soldato mi guardò con troppa intensità, troppo a lungo. «Così come tu hai salvato me, prima».

Lo osservai, e osservai, e osservai. Non riuscivo a smettere. Il suono della sua voce, calda come una fiamma e intima come quella di un amante, mi riecheggiava nella mente. Il mio cervello anelava a registrare ogni più piccolo particolare del suo volto, dalla fronte alta alle sottili rughe intorno agli occhi. Ogni cellula del mio corpo sembrava protendersi verso di lui, attratta da qualcosa che non comprendevo.

Che non conoscevo.

Lui tirò il fiato di colpo, corrucciandosi, e distolse lo sguardo. «Riesci a vedere terra con i tuoi occhi?»

Il suo tono distaccato mi fece ricomporre. Infastidita dalla mia reazione, ordinai al mio cuore di chetarsi e ispezionai l'orizzonte in tutte le direzioni. «No», replicai.

Solo e soltanto un'infinita distesa d'acqua calma e cielo azzurro e nuvole bianche che si spostavano placide.

Eravamo sperduti nel bel mezzo del Mar Thalion. Chissà quanto a nord, chissà quanto a sud.

Tutto perché ero svenuta. In tremila anni, le volte in cui mi era accaduto si contavano sulle dita di una mano. Come avevo potuto essere così disattenta da battere la testa sul tronco?

L'uomo rilasciò un sospiro irritato. «Allora siamo fottuti».

L'improvviso desiderio di accorciare la distanza tra di noi mi sferzò come una frusta.

Che mi stava succedendo? Dovevo lasciare quest'umano al suo destino. Avevo già rimandato la sua morte una volta, non c'era più nulla che potessi fare per lui. La sua gente non sarebbe mai venuta a cercarlo.

Era spacciato.

Ed era il momento che lo accettassi.

Chiusi le palpebre e rivolsi agli Spiriti la stessa preghiera che avevo riservato a tutti i giovani militi investiti dall'inondazione. Dunque, mi sfilai la corazza bianca dalle incisioni d'oro e la gettai in acqua, contemplando il mantello dorato fluttuare sulla superficie e scurirsi prima che il peso del metallo lo trascinasse giù.

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