CAPITOLO 26

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Le guardie si riscossero e rialzarono di botto le balestre, tenendomi sotto tiro mentre affiancavo la serva con il piglio inflessibile che ero solita usare con i miei soldati.

Lei sobbalzò e smise di toccare Amlach, che con calma tirò fuori la mano da sotto la sua tunica.

«Stai tagliando quella barba a chiazze, ragazza», la redarguii. «Vuoi farlo sembrare un cavallo pezzato?»

«N-no...» balbettò lei, voltandosi verso gli uomini con espressione incerta. «Io...»

Tesi la mano con il palmo rivolto all'insù, così bruscamente che la giovane indietreggiò per lo spavento, uscendo dalla conca delle ginocchia di Amlach.

«Dalle a me», comandai.

Ysia rabbrividì sotto il mio sguardo ferale e mi cedette le forbici, per poi fare dietrofront e abbandonare i bagni come un fulmine.

Sostenni le occhiate turbate delle guardie, sfidandoli a scoccare i dardi, ora che ero armata di un paio di forbici.

Il quinto soldato fece uno sbuffo irritato. «Vedi di fare alla svelta».

Facendo ricorso a tutto il mio coraggio, cercai di non badare agli sguardi che si posavano sulle mie gambe, sulle mie braccia, sulle mie spalle, e mi volsi verso Amlach. Deglutendo a vuoto, mi insinuai tra le sue ginocchia per stargli più vicino.

Lui mi fissò con espressione estremamente compiaciuta. «Qualcuno è gelosa...»

Lo guardai malissimo. «Qualcuno non si rende conto che ho delle forbici a un nonnulla dalla sua gola».

Amlach stirò un angolo delle labbra.

«Testa contro il muro», lo istruii.

Lui eseguì, le iridi verde pino che brillavano di arroganza.

Mi misi al lavoro, tentando di non pensare al fatto che gli stavo toccando il viso per la prima volta. Che il suo respiro mi lambiva le nocche. Che il mio sguardo anelava a posarsi sul suo torso umido.

Che bramavo che mi toccasse come poco fa aveva fatto con l'umana. Che mi toccasse molto più di come aveva fatto con lei.

Avvertii un calore liquido tra le cosce, al pensiero di sentire i suoi polpastrelli callosi scivolare tra le pieghe glabre della mia femminilità. All'idea che le sue dita entrassero in me, ebbi l'impressione di andare a fuoco. Sfregai le ginocchia l'una contro l'altra, imbarazzata dalla inconcepibile reazione del mio corpo, e cercai di ignorare il formicolio che avevo dappertutto, concentrandomi su ciò che stavo facendo.

A poco a poco, il sorrisino scomparve dalle labbra di Amlach, il cui volto divenne così serio e tenebroso, quasi feroce, da farmi irrigidire. Le sue mani, che fino ad allora aveva tenuto sulle cosce, si chiusero lentamente a pugno.

Trattenni il respiro, le forbici sospese sul ciuffetto di barba da accorciare.

Amlach inspirò con forza, con rabbia, e lasciò ricadere piano le braccia ai lati della sedia per afferrarne le gambe posteriori. «Non fermarti», ordinò in un ringhio basso.

Oppure lui non si sarebbe più fermato.

Era questo il messaggio che mi stavano trasmettendo i suoi occhi. Troppo intensi, troppo foschi di un desiderio che minacciava di possedermi, divorarmi.

Rovinarmi.

Con il cuore che batteva a mille, finii di tagliargli la barba, poi presi l'unguento lenitivo per spalmarglielo sulle zone del viso ancora arrossate e un po' spellate per via dei giorni trascorsi sotto il sole.

Amlach mi agguantò di soprassalto per il polso, scrutando corrucciato le mie dita. «Stai sanguinando».

L'unghia spezzata del mio medio era circondata da uno spesso anello vermiglio che aveva già incominciato a colare sul resto della falange.

«Non è niente», dissi spiccia.

Ritirando la mano, Amlach fece scorrere l'indice sul mio dito, sporcandoselo di sangue. Lo sguardo ancorato al mio, se lo portò alle labbra e lo leccò.

Seguii il movimento lento della sua lingua con gli occhi, per poi distoglierli di colpo, le orecchie in fiamme. «Sei disgustoso», borbottai mentre riavvitavo il coperchio del barattolino.

«E tu sei fortunata che non siamo soli», replicò lui, la voce cavernosa che racchiudeva oscure promesse carnali.

Lo trafissi con un'occhiata omicida, acchiappai gli abiti della mia misura e, furente, marciai verso la doccia in fondo alla stanza.

«Ah, ah, ah», udii esclamare Amlach con un improvviso fastidio. «Fate i bravi soldatini, rimanete dove siete e lasciatela vestire laggiù senza la preoccupazione di avere i vostri sguardi da pervertiti puntati addosso».

Non riuscii a impedirmi di abbozzare di nuovo un sorriso, mentre lasciavo cadere il telo a terra. Mi infilai i pantaloni marroni e la blusa bianca, entrambi di fresco e morbido lino; mi stavano un po' grandi, ma era stupendo poter finalmente indossare abiti puliti e non induriti dal sole e dall'acqua salina.

Tornai da Amlach, che nel frattempo si era messo casacca e calzoni uguali ai miei, e mi sedetti accanto a lui per ficcarmi gli stivaletti. Mentre li allacciavo, sentii i suoi occhi su di me, nondimeno non mi azzardai a incrociarli nemmeno di sfuggita.

Quando fummo pronti, la quinta guardia ci riammanettò insieme e ci ordinò di seguirla.

Tuttavia, Amlach non se ne curò e diede un prepotente strattone alla catena, esigendo la mia piena attenzione. «Non tenermi il broncio solo perché non riesci ad accettare di volere anche tu quello che voglio io», sibilò sottovoce.

«Ti sbagli», replicai tra i denti, reprimendo l'istinto di spintonarlo lontano da me, di urlargli contro, di...

Sbattei convulsamente le palpebre per scacciare il pensiero proibito che mi aveva invaso la mente e mi incamminai di slancio verso il quinto soldato, che era rimasto ad aspettarci sulla soglia dei bagni.

Un istante prima che uscissimo all'aperto, avvertii il fiato caldo di Amlach nell'orecchio. «Sei una bugiarda, elfa».


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