CAPITOLO 15

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Lo sguardo di Amlach richiamò il mio a sé. In un battito di ciglia vi scorsi balenare un misto di sorpresa e rabbia e felicità e desiderio, poi tornò a concentrarsi sui balordi che ci avevano raggiunti.

«Io prendo i più grossi a sinistra», fece Amlach, cambiando l'impugnatura sull'elsa e preparandosi a saltare sulla scialuppa.

«Non hai ancora imparato», lo redarguii, analizzando la distanza tra la prua delle barche e la nostra zattera accorciarsi sempre più.

«Imparato cosa?», ribatté lui distrattamente, spostando un piede indietro per darsi lo slancio.

Stirai impercettibilmente le labbra. «Che io sono più forte di te», e balzai sulla scialuppa di sinistra.

Rapida come un fulmine, passai tra i primi due uomini a prua e sferrai un pugno a quello che stava dietro di loro, facendolo piombare in mare. Ferii alle braccia il pirata ai remi e mi fiondai sui due a poppa. Sinuosa come l'acqua che ci circondava, schivai i loro fendenti e li tagliai in diverse parti del corpo per poi farli finire in ammollo.

Mi girai all'istante per fronteggiare gli omaccioni rimasti sulla barca, ma prima impiegai mezzo secondo per controllare come se la stesse cavando Amlach.

Aveva già ucciso due uomini e ne aveva appena sgozzato un terzo, gettandolo senza alcuna pietà verso quello che si avventò su di lui con un verso barbaro. Gli altri due aggirarono il compagno permeato dal sangue del loro amico e si fiondarono su Amlach, che li attendeva con un sorriso perfido e gli occhi scintillanti di perversa eccitazione.

Un sibilo nell'aria mi fece riportare l'attenzione alla scialuppa su cui mi trovavo e tirai indietro la testa appena in tempo per evitare una sciabolata. Incrociai le lame con i miei avversari rimasti e, prima che avessero l'occasione di reagire, tagliai i tendini dietro il ginocchio di uno e i legamenti al bicipite dell'altro. Sferrai un calcio ciascuno, e le loro urla di dolore si spensero non appena impattarono la superficie azzurra.

«Amlach, andiamo!», ordinai a gran voce, pronta a mettermi ai remi e a portarci il più lontano possibile da questa nave.

«Sono un po' occupato, al momento», replicò lui tra un grugnito di combattimento e l'altro.

Uno dei pirati gli diede un pugno in faccia e l'altro ne approfittò per disarmarlo con un calcio, mentre il terzo gli affondava un montante nella pancia.

Appena il pugnale di Amlach sprofondò in mare, mi lanciai sull'altra barca e presi il primo energumeno alle spalle, stordendolo con un colpo alla nuca che lo fece accasciare. Il secondo menò un fendente e, facendo mezzo passo indietro, evitai per un soffio che mi sbudellasse.

Amlach gli piazzò un calcio in pieno petto, facendolo volare fuori dalla scialuppa. L'attimo dopo il terzo pirata provò ad accoltellarlo al cuore con un verso bellicoso. Amlach lo agguantò per il polso, la punta della lama vicinissima a lacerargli la tunica, e cercò di respingerlo.

Feci per scagliarmi sul nemico, tuttavia un improvviso e violento capogiro mi fece ondeggiare più di quanto la barchetta non stesse già facendo.

Mi immobilizzai, lo sguardo smarrito nel vuoto mentre tentavo di capire cosa mi stesse succedendo.

«Mi sento strana», bisbigliai.

Come se stessi perdendo qualcosa.

Il suono della fronte di Amlach che cozzava contro il naso del pirata, mettendolo al tappeto, spazzò via quella sospetta percezione che mi aveva attraversata.

Ma fu il rumore di un arco che veniva teso a farmi scattare.

In un millesimo di secondo mi allungai verso Amlach, lo afferrai per il braccio e lo tirai verso di me un istante prima che una freccia lo centrasse al petto.

Il respiro sostenuto e una copiosa striscia di sangue che gli colava da una narice, lui guardò il dardo finito in acqua, poi mi rivolse un'occhiata maliziosa. «Mi salvi ancora, dopotutto».

Gli riservai un'espressione irritata, in seguito colsi altri archi tendersi e sollevai lo sguardo sul veliero.

Cinque arcieri ci tenevano sotto tiro dal cassero di poppa. Anche buttandolo in mare, non sarei mai riuscita a impedire a tutte quelle frecce di conficcarsi nel corpo di Amlach. Con molta probabilità me ne sarei beccata una io stessa, provandoci.

Un applauso riecheggiò nella brezza salina.

Ruotai il capo verso il castello di prua. Appoggiato con il fianco alla ringhiera di legno, colui che supponevo fosse il capitano ci sorrise; la luce accecante del sole si riflesse su alcuni denti d'oro che gli adornavano la bocca.

«Grazie per lo spettacolo», esordì con una sgradevole voce aspra, togliendosi il tricorno nero per sbeffeggiarci con una riverenza accennata. «Portate i nostri nuovi passeggeri a bordo», comandò ai due sottoposti rimasti sulla scialuppa con noi, che nel frattempo si erano ripresi.

Un giovane con una bandana nera e la camicia bianca – forse il suo secondo – gli si accostò. «Aiutate i feriti», ingiunse a nessuno in particolare.

Alcuni membri della ciurma salirono sul parapetto del ponte per tuffarsi.

«No!», tuonò il capitano, e i suoi uomini si scambiarono occhiate perplesse.

«Ma, signore...» incominciò a protestare il suo secondo, a voce più bassa, ma facilmente udibile dalle mie orecchie.

«Se sono così idioti da farsi battere da una femmina», lo interruppe perentorio il capitano, «per me possono anche diventare cibo per gli squali».

Vederlo osservare con noncuranza, quasi con divertimento, i pirati feriti che tentavano di restare a galla e di risalire sulla seconda scialuppa mi fece ribollire di astio.

«Getta il pugnale in acqua, donna», mi intimò l'uomo a cui Amlach aveva rotto il naso, pulendosi il sangue grondante con il dorso villoso della mano con cui impugnava il coltello. Lo feci, e lui sogghignò. «Sedetevi, piccioncini».

L'altro ceffo che avevo colpito alla nuca piazzò una manona sulle nostre rispettive spalle e ci spinse su una delle panche trasversali; dunque si accomodò su quella destinata al rematore e iniziò a vogare verso il galeone.

Amlach mi toccò il gomito con il suo, sporgendosi un po' verso di me. «Scusa, elfa», mormorò.

Per non avermi avvertita prima di segnalare la nostra posizione a una nave sconosciuta.

Perché, alla fine, eravamo stati catturati.

Lo occhieggiai di soppiatto, la mano che scottava dall'impulso di intrecciarsi alla sua per rendere le mie parole ancor più veementi. «Troveremo un modo per tornare nella nostra terra. Te lo prometto».


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