CAPITOLO 39

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Quando ci ricongiungemmo a Roxior e la Signora Yrrek, mi tenni distante da Amlach tanto quanto la catenella che univa le nostre manette lo consentiva. Gli sguardi guardinghi dei due ricchi indugiarono sulla mia acconciatura sfasciata, e dovetti fare del mio meglio per apparire indifferente.

«È tutto a posto, miei gladiatori?», domandò Roxior, lanciandoci occhiatacce da sopra il bordo del calice.

Amlach sfoderò il più affascinante dei suoi sorrisi. «Perfettamente». Indirizzò la sua attenzione sulla donna e le prese la mano per baciarne di nuovo il dorso, l'espressione inequivocabile. «Sarebbe un piacere godere della vostra compagnia, Signora».

Saettai con gli occhi su di lui, annichilita e furente.

Amlach non mi guardò, all'apparenza del tutto rapito da Yrrek.

«Molto bene», replicò costei, la voce simile alle fusa di un gatto. Non degnò né il Signore né me di uno sguardo, quando aggiunse: «Ti spiace sganciarlo dall'elfa, Roxior?».

L'uomo si rigirò il vino nella bocca, emettendo un borbottio gutturale. Infine, lo ingoiò come se fosse fiele e, con un cipiglio rancoroso, estrasse la copia esatta della chiavetta dei nostri collari da una tasca interna della toga.

Gli occhi spalancati per l'ira, lo fissai liberare Amlach dalle bande d'argento.

Soddisfatta, la Signora accarezzò il polso spoglio di Amlach e, rivolta a Roxior, disse: «Il mio tesoriere verrà dal tuo domani mattina».

L'anziano la ringraziò con un compito cenno del capo, l'odio più viscerale che sembrava irradiarsi dalle sue iridi di ghiaccio. «Buonanotte, Yrrek».

«Oh, lo sarà senz'altro, mio caro amico», ribatté lei in tono allusivo, lanciandomi un affilato sorriso vittorioso mentre accettava il braccio che Amlach le aveva offerto.

Un istinto omicida mai provato prima mi pervase. Faticai a domarlo e, stravolta, cercai gli occhi di Amlach. Ma lui non mi guardò mai, mentre guidava l'umana fuori dalla sala dei ricevimenti. Nemmeno di sfuggita.

Era come se non esistessi più.

Avrei voluto urlargli contro. Avrei voluto attaccarlo. Avrei voluto chiedergli come poteva anche solo pensare di giacere con un'altra, dopo ciò che mi aveva detto, dopo il modo così famelico in cui mi aveva toccata. Dopo essere stato dentro di me con le dita.

Invece non feci niente.

Rimasi a fissare la soglia che oltrepassò insieme alla donna che lo aveva comprato per divertirsi, impotente, tenuta al guinzaglio da Roxior come un cane.

«Non angustiatevi, Altezza», mi rassicurò lui, nonostante la voce aspra. «Qualsiasi cosa chiederà in cambio questa prima volta, sono certo che ne chiederà in abbondanza anche per voi». Fece una pausa in cui avvertii il suo sguardo su di me. «Vi ha molto a cuore».

No, non era vero. Era soltanto un maschio che, dopo una lunga astinenza, moriva dalla voglia di accoppiarsi. E come tutti gli umani, poco importava quale fosse la femmina da portarsi a letto.

Avrei fatto bene a ricordarlo, così come doveva fare il mio cuore, ora stretto in una morsa tanto insopportabile che avrei voluto cavarmelo e gettarlo via, lontano, lontano, lontano.

Amlach non avrebbe mai potuto capire cosa aveva significato per me permettergli di avvicinarsi tanto da farmi quasi cedere all'idea di concedermi a lui. Quanto male mi aveva appena fatto andandosene con quella donna.

Perché lui non era un elfo.

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