CAPITOLO 36

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Fissai contrariata i pigmenti neri, blu e dorati che enfatizzavano il mio sguardo, la polvere che faceva sembrare arrossate le mie gote e il colore rosso con cui mi avevano pitturato le labbra. La mia chioma era stata intrecciata in molteplici trecce, poi raccolte insieme alla base della nuca e abbellite con un grosso fermaglio di foglie d'alloro in oro che mi percorreva il retro del capo da un orecchio all'altro.

«Per gli dèi, basta con quell'olio», scattò Lotte all'improvviso, e le due servitrici che me lo stavano massaggiando sulle braccia e sul petto ubbidirono.

Scrutai corrucciata le minuscole particelle d'oro che mi scintillavano sulla pelle, per fortuna immune al sole, così chiara e levigata in confronto a quella delle due ragazze che si erano occupate di me nelle ultime ore.

«Adesso i sandali», fece l'anziana governante, sbrigativa.

Mi alzai dallo sgabello davanti allo stretto mobile con specchio che era stato portato per me qualche giorno dopo il nostro arrivo alla villa, provvisto di varie spazzole per capelli, creme emollienti e oli profumati. Sollevai la gonna e lasciai che le schiave mi allacciassero i cordoncini delle scarpe.

In quel mentre, la porta si spalancò e Amlach si bloccò sulla soglia con solo il telo chiaro intorno ai fianchi. I suoi occhi percorsero ogni drappeggio del mio abito blu, con una rigida cinta in oro che mi fasciava la vita e una lunga stola che mi ricadeva dietro la spalla ferita e ricucita dal curatore, per poi incupirsi minacciosamente quando si posarono sul mio viso colorato.

«Finalmente», esclamò Lotte con voce ancora più aspra del solito, rompendo il silenzio carico di tensione che era sceso nella stanza. «Preparatelo, svelte!»

Le ragazze si scostarono da me per prendere la tunica blu dai ricami dorati che avevano messo sul letto insieme ai nostri collari con manette e i relativi sandali di cuoio, quindi si avvicinarono ad Amlach, a metà tra intimorite e affascinate dalla sua presenza così magnetica.

Lui non le degnò della minima attenzione, lo sguardo così ancorato al mio che ebbi la sensazione che volesse invadermi la mente.

«Dove sei stato?», gli chiesi in tono duro.

«A calmarmi», rispose e, incurvando la bocca in un sorrisetto perfido, si tolse il telo, gettandolo da parte.

Tenni gli occhi nei suoi, mentre la mia immaginazione iniziava a galoppare a briglie sciolte, mostrandomi Amlach che si dava piacere da solo, la sua mano grande che avvolgeva il sesso duro, la sua testa che si rovesciava all'indietro con un grugnito voluttuoso.

Mostrandomi la giovane formosa che si era offerta ad Amlach nei bagni della servitù affondare sulla sua erezione, ancora e ancora, lui che la teneva per i fianchi e dettava il ritmo della sua cavalcata mentre lei gemeva e gridava.

Quale delle due era la verità?

L'espressione di Amlach mi sfidò a domandarglielo, a dar sfogo alla mia gelosia. A continuare a negare il desiderio che provavo per lui.

I risolini imbarazzati delle due schiave spezzarono il duello di sguardi tra di noi.

Fu allora che, atterrita, mi resi conto che lui era completamente nudo. E io non mi ero girata. Ero rimasta a fronteggiarlo senza vergogna. Senza paura. Come se fosse il mio...

Lotte batté le mani di colpo, facendo sobbalzare le ragazze. «Piantatela», sbottò. «Come se non ne aveste mai visto uno... Muovetevi!»

Mi voltai di scatto e raggiunsi la finestra, aggrappandomi al davanzale per resistere con tutte le mie forze allo sconvolgente impulso di strappare la tunica dalle mani di quelle due mocciose e vestire Amlach io stessa.

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