CAPITOLO 29

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Lotte ci accompagnò al piano di sopra; la sua postura austera mi ricordava quella delle sacerdotesse che salivano i gradini dei templi di Aegel.

Aegel...

L'avrei mai più rivista veramente? E la mia famiglia? Avevano capito che c'era qualcosa che non andava, che ero in pericolo?

Avevano iniziato a cercarmi? O mi stavano ancora punendo?

E se in realtà il Signore Roxior non avesse avuto alcuna intenzione di riportarci nei nostri rispettivi regni, una volta guadagnata la sua vendetta?

Non avrei vissuto un'esistenza da schiava, stroncando esistenze per il mio padrone e sopravvivere, di questo ero sicura. Se Roxior non avesse tenuto fede all'accordo, avrei trovato il modo di scappare. Anche a costo della vita.

Percepii lo sguardo indagatore di Amlach su di me mentre, alla fine della rampa di scale, imboccavamo un lungo corridoio con mobili bassi su cui svettavano bellissime composizioni floreali in vasi variopinti.

«Stai bene?», mi chiese.

Lo guardai male, ma questa volta il sorrisetto non spuntò sulle sue labbra. Tornai a concentrarmi sulla nuca grinzosa della governante, pentendomi della mia reazione sgarbata. Anche lui era prigioniero come me, d'altronde, e con ogni probabilità era assalito dalle mie stesse preoccupazioni. Non avrei dovuto trattarlo così.

Lotte si fermò davanti a una porta a metà corridoio e la aprì, entrando. «Questa è la vostra camera. Immagino vogliate riposare, dopo la notte trascorsa a terra», proseguì mentre ci davamo un'occhiata intorno. «Una servitrice verrà a chiamarvi per il pranzo».

La stanza era più confortevole di quanto immaginassi, con pareti color ambra, uno scrittoio vicino alla finestra con le tendine amaranto e un armadio.

Vi era soltanto un problema.

«C'è un solo letto», esclamai prima che la donna lasciasse la camera.

Lei indugiò sulla soglia, osservando prima il materasso e poi noi, quasi ci stesse prendendo le misure mentalmente. «È largo abbastanza per entrambi».

«Non possiamo condividere il letto», affermai oltraggiata. Un conto era stato trascorrere la notte su uno strato di paglia, ma dormire insieme su un letto vero e proprio era fuori discussione. «Non siamo amanti».

Perché anche lei, come Escrain, lo aveva presupposto?

L'anziana rimase inespressiva. «Allora immagino che lo diventerete presto», sentenziò.

Uscì, chiudendosi dietro la porta e lasciandoci soli in quella che a un tratto mi sembrò una stanza molto, molto piccola, satura di un'aria bollente come magma.

All'improvviso, Amlach ruotò verso il letto – più stretto di un matrimoniale – e con uno sbuffo decise di sedervisi, trascinandomi con sé.

«Che stai facendo?», sibilai, lottando contro la forza di inerzia per restare in piedi davanti a lui e non finire sul materasso.

Sgranai gli occhi nel vederlo accavallare una gamba e fui costretta ad assecondare i suoi movimenti con il braccio destro mentre si toglieva lo stivaletto.

«Nauriel, sono undici giorni che non vediamo un letto», replicò in tono caustico, cacciandosi anche l'altra scarpa. «Quindi stai zitta e vieni qui».

Prima che potessi reagire, mi avvolse un braccio intorno alla vita e mi attirò a sé con tanta veemenza che finii a cavalcioni sul suo grembo. Mi bloccai con le mani sul suo petto un istante prima di cozzare con la fronte sulla sua, ciononostante i nostri nasi si sfiorarono. La sua bocca si schiuse e il suo fiato caldo lambì la mia in un seducente invito a socchiuderla.

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