Capitolo 15

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                                                                                 MARIA

 Erano passati circa dieci giorni da quello stupido galà e nei giorni successivi non avevo fatto altro che ignorare David.

Quando lui entrava in cucina, io uscivo.

Quando usciva lui, entravo io.

Quando usciva con Matias, io me ne stavo a casa e quando lui stava a casa, io mi organizzavo con Bella, pur di non vederlo. 

Insomma, per i nostri migliori amici, non era una situazione facile da affrontare, così come per i nostri genitori che rimproveravano entrambi di non riuscire a cenare mai tutti insieme e non ne capivano il motivo. Ma con che coraggio avrei dovuto dire a suo padre: ''Pedro, tuo figlio è un emerito stronzo, pallone gonfiato, deficiente e troglodita, perché a quel galà di merda non mi ha minimamente prestato attenzione'?'

Niente, non avevamo spiccicato una sola parola da quel giorno e mi stava bene così. Non poteva invitarmi al galà e poi farmi sentire un pesce fuor d'acqua in quel modo, non lo meritavo, dato che avevo fatto il possibile per non fargli fare brutte figure.

Avevo anche comprato una cravatta dello stesso colore del mio vestito solo perché avevo capito che l'essere coordinati con il proprio accompagnatore, in una serata di galà, per lui era importante. Lui invece neanche aveva fatto lo sforzo di starmi vicino e aveva semplicemente interrotto la mia conversazione con Joshua, proprio quando mi stava chiedendo un ballo.

La differenza tra Joshua e David era proprio quella: 

Joshua mi mandava delle rose, David mi dava il suo dannatissimo silenzio. 

Joshua mi diceva che ero bellissima, David mi diceva che ero carina ed è un aggettivo non userei neanche per descrivere una pianta. 

Joshua non interrompeva mai i miei dialoghi con David, al contrario ci lasciava dialogare o, meglio, litigare, mentre David interrompeva sempre i miei dialoghi con Joshua. 

Scorrendo questa lista di cose, mi chiesi il perché volessi il silenzio, i ''carina'', l'interruzione e le braccia tatuate di David? Perché mi faceva male che non si fosse scusato dopo quel giorno?

Era una notte di domenica e sentii dei tonfi alla mia porta che interruppero i miei pensieri. Chi poteva essere a quell'ora? Guardai il display del cellulare che segnava le due e mezza. Decisi di ignorare i colpi così magari mi avrebbero lasciata dormire, ma i colpi sulla porta tornarono più insistenti, così decisi di abbandonare il mio letto e andai ad aprire la porta.

Il mio cuore perse un battito quando vidi David, davanti a me. I capelli scombinati, la camicia nera sbottonata che lasciava intravedere i suoi pettorali e i tatuaggi. Le guance rosse e gli occhi ridotti a due fessure. Mi sorrise e in quel momento mi chiesi quanto avesse bevuto. Restai zitta davanti a quella visione, che seppur era orribile, lo rendeva davvero sexy. Mi superò entrando nella mia stanza e alzai gli occhi al cielo per la sua sfacciataggine.

<<Accomodati pure>> dissi in modo sarcastico, chiudendo la porta alle mie spalle.

Lui si mise seduto sul bordo del letto e mi rivolse uno sguardo. Mi sorrise e io volevo capire cosa cazzo avesse da ridere quel cretino, dopo che erano dieci giorni che non ci rivolgevamo la parola. Grandissimo idiota.

<<Dobbiamo parlare>> mi disse con una voce impastata e non proprio sobria.

 <<Non credo che tu sia in grado di parlare>> gli dissi.

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