20. Cosa vuoi da me?

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Sentivo un dolore lancinante alla testa, un forte senso di vertigini e nausea messi assieme. Provai ad alzarmi ma... ero bloccato. Guardai in basso, notando di avere le caviglie legate così come anche le mani davanti a me.

Cercai di mettere a fuoco l'ambiente intorno a me, nonostante ci fosse a malapena una luce soffusa appesa al soffitto. La stanza nella quale mi trovavo era molto piccola, quasi come un mini magazzino. Non c'era praticamente nulla lì dentro, se non un tavolo piazzato in mezzo alla stanza e una rampa di scale sulla destra che doveva condurre ai piani superiori. Dunque, ipotizzai di essere nel seminterrato della casa.

Ma... dove? Chi era quella persona che mi aveva rapito all'improvviso? E... Minho? Lui stava bene? Ero preoccupato da morire per lui, probabilmente si sarà spaventato da morire non trovandomi più sulla panchina e sarà andato nel panico.

Tentai di sciogliere con i denti le corde che mi stringevano i polsi, ma erano piuttosto robuste e parevano quasi impossibili da spezzare con la sola forza che avevo in corpo.

«Tenta anche all'infinito, moccioso. Tanto sarà comunque inutile.» sghignazzò una figura enorme sulle scale.

Sobbalzai, spaventato, arretrando fino a toccare il muro dietro di me.

La figura entrò dentro la piccola stanzetta, avvolto ancora nell'ombra. Solo quando giunse sotto la lampadina pendente dal soffitto, riconobbi il volto di colui che mi aveva sequestrato.

Ne rimasi sconvolto.

«Z-Zio?» lo stupore era evidente nel mio tono di voce.

Non potevo credere che fosse lui. Anzi, fino a quel momento l'avevo dato per morto. Era il marito di mia zia che, a quanto ne sapevo io, era morto in un tragico incidente stradale più di 10 anni prima. Mi ricordavo del suo volto a malapena, ero molto piccolo l'ultima volta che ci ho parlato.

Come poteva essere ancora vivo? Era stata una una messinscena, la sua morte?

«Vedo che ti ricordi ancora di me, nipotino.» si inginocchiò all'altezza del mio viso ridacchiando.

«Cosa vuoi da me?» mi azzardai a domandare.

Nella stanza proruppe una sonora risata. «Non è abbastanza ovvio?» un ghigno malefico balenò sul suo volto, un tempo dolce e gentile da quel che ricordavo io. Mi agguantò violentemente le mani legate, avvicinandomi a lui. Sentivo il suo alito puzzolente penetrare nelle mie narici. Mi venne quasi la nausea.

«Voglio l'eredità, ragazzino. Lo sai che la tua cara zietta ti ha lasciato un bel gruzzoletto di soldi da darti quando sarebbe morta? E quei soldi saranno miei.»

Soldi? Eredità? Di cosa stava parlando?

Non ne avevo minimamente idea, che la zia mi avesse lasciato qualcosa, dopo la sua morte.

«Hai paura... vero?» sibilò a un palmo dal mio viso, annusando l'aria come se potesse percepire quel che stavo provando. «Non hai tutti i torti, ad averne.» mi toccò la guancia con un dito, facendomi sentire l'impulso di ritrarmi all'istante ma ero bloccato e non potevo sfuggirgli. «Vedrai, Jisung. Ti torturerò a dovere prima di ammazzarti.»

Percepii un dolore pungente al collo. Inclinai il capo. Mi aveva appena iniettato un sonnifero in corpo. Non vedevo quasi più nulla, avevo i sensi ovattati. Stavo perdendo di nuovo coscienza. Appena prima che ciò accadesse, vidi il ghigno malizioso di mio zio davanti agli occhi. Dopodiché... il buio.

[...]

Una luce accecante era piazzata sopra la mia testa. Mi sentivo ancora frastornato, mi dolevano tutti i muscoli e non riuscivo ancora a distinguere ciò che mi circondava.

"I'm yours" || MinsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora