34. La rivincita

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«Minho, come stai?»

«Bene.» rispose con tono secco.

Era conscio che, uscito dall'ospedale, avrebbe dovuto incontrare il suo psicologo per la sua visita, soprattutto per parlare di ciò che era successo qualche giorno prima, nonostante fosse stato comunque messo al corrente di tutto da Jisung. Solo che... non si sentiva ancora psicologicamente pronto a farlo.

Appena l'altro giorno aveva avuto un attacco di panico al Luna Park solo alla vista del sangue addosso, sentendosi irrimediabilmente sporco.

Namjoon emise un lungo sospiro. «Minho. Lo sai che dobbiamo parlare di quello, vero?» disse il suo psicologo, le braccia conserte, gli occhi gentili sulla figura del suo paziente, fermo, rigido, silenzioso, chiuso nella sua bolla.

Minho si morse il labbro, intestardito a mantenere il silenzio, una strana sensazione all'altezza del petto che lo opprimeva.

«Jisung mi ha detto che sei tornato alla tua vecchia scuola di danza.» proseguì Namjoon, sperando di avere una corrispondenza dall'altra parte, non quel silenzio assordante nel quale si era immerso il ragazzo. «Ne vogliamo parlare, che dici?» silenzio totale dall'altra parte, la musica jazz riprodotta dal suo giradischi in sottofondo. «Minho, per favore, guardami almeno.»

Minho sollevò pigramente gli occhi verso il suo psicologo, la gamba sinistra scossa da tremori continui. Si sforzò di parlare, fosse rimasto così senza fiatare per ore non sarebbe cambiato nulla. «Non-Non ha funzionato come speravo.» rise «Pensavo che... che ce l'avrei fatta, che avrei potuto continuare a ballare come prima ma-» sbatté gli occhi sentendoli pizzicare. «mi sbagliavo.» un sospiro tremante lasciò le sue labbra.

«Cosa hai pensato quando sei arrivato lì?» domandò il suo psicologo.

«In un primo momento ero... contento.» sorrise ripensando a quel momento «Ero felice di rivedere le facce dei miei compagni di corso, Hyunjin era così entusiasta di vedermi che mi ha stretto in un abbraccio e poi il mio ex insegnante mi ha anche proposto... di tornare a ballare con loro, come prima.» scostò lo sguardo altrove, in un punto casuale del salotto «È stato allora che... che sono arrivati i sensi di colpa, che mi hanno fatto sentire schiacciato sotto terra e più il tempo passava più non riuscivo a respirare. Mi sentivo sopraffatto da tutto e allora ho deciso di- farla finita.» sibilò le ultime parole sentendo le lacrime minacciare di scendere ogni minuto sempre di più.

«Minho, ascoltami.» si protese col busto in avanti, i gomiti sulle ginocchia, le mani intrecciate tra loro. «In tutti questi anni di terapia te l'ho sempre detto, più e più volte. Tu non hai colpe, non ne puoi avere. Avevi solo 15 anni allora, eri appena un adolescente, non puoi addossarti addosso una tale responsabilità così grande. Eri suo fratello maggiore, lo so, ma ciò non significa che sia stata colpa tua se lui è morto. Cosa penserebbe di te se venisse a sapere che hai tentato di suicidarti così tante volte? Non credo che sarebbe tanto felice, sai? Tu gli vuoi bene, Minho?»

Annuì, le lacrime che avevano preso a scivolare lungo le guance contro la sua volontà.

«Allora devi lasciarlo andare, Minho.»

In quel momento, crollò completamente.

Si coprì la faccia con le mani, scoppiando a piangere come un bambino, un bambino che era cresciuto troppo in fretta, quel bambino terrorizzato sul ciglio della strada, un trauma sulla pelle che lo aveva segnato nel profondo consumandolo fin dentro le ossa.

Pianse, pianse fino a sentire gli occhi bruciare per lo sforzo, fino a urlare, urlare con tutte le sue forze, tra le braccia del suo psicologo che gli dava conforto.

"I'm yours" || MinsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora