Capitolo 23.

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Come previsto, ho passato la nottata in bianco a fare i conti con i miei numerevoli pensieri, ne ho così tanti che nemmeno li ricordo tutti. Forse avrei dovuto risolvere con Neymar ieri sera anziché starmene qui a rimuginare. Per quanto farò durare questa cosa? Dio, spero per poco... Spero solo che Neymar non si arrenda tanto facilmente. Perché continuo a pensare a lui? Non devo perdonarlo. No. Proprio no. O forse sì... NO.
Mi alzo dal letto e mi dirigo come uno zombie in cucina, tiro fuori la Nutella e mi affogo nel piacere. Questa è la soluzione a tutto; pensi solo a quel sapore dolce che ti manda in estasi e basta. Penso che compreró una fornitura di Nutella che duri per tutta la vita.

«Nice? Sei tu?» domanda Rafaella piombando in cucina e scrutandomi attentamente.

«No, sono la sua proiezione! » rispondo sarcastica e lei alza gli occhi al cielo.

«Hai un'aspetto terribile! Ma che hai fatto?» si siede e infila il suo cucchiaino nel mio barattolo.

«Non ho dormito per niente. Nemmeno per un minuto!» esclamo e faccio un gesto con le mani per sottolineare il concetto.

«Ma come diamine hai fatto? Okay,senti: risolvi subito questa situazione!» mi grida e quasi non mi rompe un timpano.

«Tocca a lui risolverla, non a me.»

«Ma tu ieri non gli hai voluto parlare!»

«Rafaella, mettiti nei miei panni. Tu cosa faresti al posto mio?» chiedo e appoggio il cucchiaio sul tavolo.

«Non gli parlerei per qualche giorno...» sussurra abbassando gli occhi.

«La discussione è chiusa.» chiudo il barattolo di Nutella e lo ripongo nello scaffale, poi mi dirigo in bagno.

«Ma tu non sei me!» urla lei dalla cucina quando ormai apro il getto d'acqua calda della doccia. Prima di entrarci, mi guardo nello specchio e la visione è orribile: occhiaie violacee, occhi rossi e capelli increspati. Pertetta,direi. Mi fiondo nella doccia e tutti i miei pensieri piano piano scivolano via.

Due giorni dopo.

E con questo fanno tre giorni che non vedo né sento Neymar e in più Rafaella è incazzata con entrambi.
La mia solita routine è: lavoro e casa. Ho anche smesso di andare all'università, altro motivo dell'incazzamento di Rafaella. Giuro che non avrei mai pensato di avere un carattere così orgoglioso, però quando ci vuole ci vuole! Perché dovrei farmi avanti io se il torto ce lo ha lui? Certo, che mi manca è logico... Non avere lui accanto che ti illumina le giornate è come se la vita non avesse più un significato.

«Rafa, io vado!» esclamo dalla porta di casa.

«Okay, buon lavoro.» grida lei dalla sua camera.

Uscendo dall'appartamento, c'é una leggera brezza che mi accarezza il viso. Amo l'aria di maggio.
Quando prendo la via per il locale, sento come una presenza dietro di me, così comincio a velocizzare il passo, dato che nei dintorni non c'è nessuno. Dio, e se ci fosse qualche maniaco?
Dopo qualche attimo di indecisione, mi volto, ma, per fortuna, non c'è nessuno. Tiro un sospiro di sollievo ed entro nel bar già aperto.

«Buon pomeriggio, capo!» saluto con un sorriso.

«Sempre in anticipo!» dice il brizzolato e mi lancia una maglietta striminzita con sopra il nome del locale. «Oggi servi al banco.» mi ordina, ed io sparisco nel bagno a cambiarmi.

Giuro che non lavorerò più dietro al bancone! Ogni uomo che veniva ad ordinare qualcosa non mi guardava in faccia, mi guardava le tette. Non indosserò mai più una maglietta così.

«Berenice, va bene così. Puoi andare.» Mi dice il capo

«Sicuro? Potrei ancora dare una mano!»

«Sicuro. Sono le otto e il tuo turno è finito già da mezz'ora.»

«Allora, buona serata.» sorrido ed uscendo fuori,noto che è già buio. Involontariamente, mi ritrovo a guardare in cerca di una macchina bianca ormai molto familiare e d'improvviso sento un senso di tristezza pervadermi il cuore. Cerco di scacciare via questi brutti pensieri e mi incammino verso casa, cercando di concentrarmi ad ogni minima cosa pur di non pensare a lui. La strada è completamente desolata e un brivido mi percorre lungo la schiena.

«Ehy.» dice una voce da qualche parte del marciapiede e il mio cuore comincia a martellarmi nella testa per la paura. Faccio finta di niente e continuo a camminare, sperando che sia stato tutto frutto della mia immaginazione.
«Dico a te.» ripete la voce maschile e questa volta mi tira con forza dal polso. Sono pronta ad urlare ma quando lo riconosco, non mi esce più la voce.

«Andrés...» dico con un filo di voce.

«Ciao, Berenice. Che ci fai tutta sola?» mi domanda facendomi avvicinare ancora di più al suo corpo.

«I-io stavo ritornando a casa.» sto cominciando a tremare, il suo sguardo non promette niente di buono.

«Oh, se vuoi posso accompagnarti io, sai, ho la macchina parcheggiata proprio qui vicino.» nei suoi occhi balena qualcosa di malvagio che mi fa venire i conati di vomito.

«No, grazie, ci arrivo da sola.» provo a divincolarmi dalla sua stretta senza risultato.

«Allora ti ci porterò con la forza.» dice tra i denti e mi spintona sul marciapiede facendomi ancora più male.

«Lasciami stare!» grido e le lacrime cominciano a scendere lungo il viso.

«No,no,no. Non gridare o sarò costretto ad imbavagliarti, e sarebbe proprio un peccato. Sai, mi domando come faresti a farmi un bocchino con la bocca imbavagliata.» il suo tono è fin troppo calmo e questo mi agita ancora di più. Cosa mi vuole fare quest'uomo?

«Aiuto!» grido ancora più forte e lui mi sbatte contro ad una parete, provocandomi un fortissimo dolore alla testa e facendomi perdere i sensi per dei lunghi secondi. Riesco a sentire la sua lingua dentro la mia bocca, le sue mani che mi stringono i seni e poi un tonfo. Quando molla la presa, cado in ginocchio sul marciapiede e cerco con tutte le forze di aprire gli occhi.

«Sei. Solo. Un. Figlio. Di. Puttana.» dice un ragazzo tra un pugno e l'altro. Sento la sua voce come se fosse un eco e dopo un pó sento le sirene della polizia. Provo ancora ad aprire gli occhi ma è inutile.

«Nice!» la voce si avvicina ancora di più e mi prende in braccio. Adesso so chi è.

«Neymar.» dico con le mie ultime forze, e svengo.

Non appena riapro gli occhi, mi ritrovo in camera mia. Mi guardo attorno e sulla poltrona, vedo Neymar.

«Dio,piccola!» si avvicina a me non appena si accorge che ho ripreso conoscenza.

«Ciao... Ma che ore sono?»

«Sono le otto del mattino. Eri davvero stanca.» dice con voce dolce e mi accarezza il viso.

«Tu sei rimasto qui tutta la notte?» chiedo, incredula.

«Sí... Ero veramente preoccupato. Quel coglione ti ha...» lo interrompo.

«Ehy, va tutto bene. Grazie. Di tutto.» gli stringo la mano e sorrido. Quando provo a mettermi seduta, sento una fitta alla testa che mi obbliga a stendermi nuovamente.

«Ieri sanguinavi, Nice. Ero veramente preoccupato. È stata colpa mia! Se ti avessi vista prima...» lo interrompo nuovamente.

«Mi hai salvata lo stesso. Per l'ennesima volta!» ridacchio.

«Sai, in tutti questi giorni non ti ho perso di vista nemmeno per un momento.» finalmente sorride e la mia vita comincia a riavere un senso.

«Che? Tu vuoi dire che mi hai stalkerata?» faccio finta di essere terrorizzata, ma alla fine scoppio a ridere.

«Avrei voluto parlarti, ma avevo paura.» abbassa lo sguardo.

«Tu, Neymar, avevi paura?» ho un sorriso ebete stampato in faccia.

«Avevo paura di rovinare tutto.» dice con tono preoccupato.

«Neymar, Rafa mi ha spiegato tutto. Io volevo solamente sentirmelo dire da te... Certo, hai perso la mia fiducia, ma ciò che hai fatto ieri, ti ha fatto recuperare punti.» lui si rilassa e sorride.

«Quindi... Sono perdonato?»

«Quasi.» sorrido e lui mette il broncio.



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