Capitolo 8. (Sequel)

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Jason.

'Perché?' Continuo a chiedermi. Perché Samantha deve trovarsi in questo posto di merda? Non dovrebbe esse qui, e... In lontananza vedo una figura femminile agitare con forza la mano verso di me. Socchiudo gli occhi per cercare di capire di chi sia. Quando vedo Kriss quasi sbianco. È ridotta malissimo, quasi è irriconoscibile. Ha il viso pallido, e man mano che mi avvicino a lei posso benissimo notare le due occhiaie enormi e i suoi occhi talmente rossi da fare quasi paura. Mi viene in contro, e senza aspettare un secondo di più aumento il passo, cercando di raggiungerla il più velocemente possibile. Appena si ritrova a mezzo metro da me inizia di nuovo a singhiozzare, e si fionda nelle mie braccia. Le sue lacrime mi bagnano la maglia, ma faccio finta di nulla, perché mi fa male vederla in questo stato. E più lei continua a piangere, poi la preoccupazione e l'ansia non fanno altro che aumentare, e aumentare...

«J-Jason.» dice con la voce spezzata e tremante. Vorrei riuscire a guardarla negli occhi, ma è più forte di me, non ci riesco, sono troppo vigliacco.

«Ti prego, Kriss. Dimmi cosa sta succedendo. Io... Io non ce la faccio davvero più.» sospiro, passandomi una mano fra i capelli, quasi come un segno di frustrazione.

Fa cenno di no col capo. «Non ci riesco nemmeno io. È così... Non lo so. Non so nemmeno perché l'abbia fatto. Cosa c'era di tanto sbagliato nella sua vita per ridursi a fare quello? Nulla! Cazzo... Nulla, nulla!» sta urlando, ma non me ne preoccupo. Ha bisogno di sfogare tutta la rabbia, e anche la tristezza. In fondo dovrei solo rimanere ad ascoltarla in silenzio. È colpa mia se Samantha si trova qui, di nuovo, e di nessun altro.

«Devo parlare con un medico.» dico quasi in un sussurro strofinandomi le mani sulla maglia, ormai bagnate dal sudore per l'agitazione. Spero davvero che non sia nulla di grave, anche se in verità non ho mai visto Kristine così... Preoccupata, sconvolta, persa. Tutte queste cose messe insieme.
Mi dirigo a passo svelto alla ricerca di qualcuno con cui poter parlare. Non posso, e non voglio pensare che sia davvero in pericolo. Voglio soltanto augurare a me stesso che vada tutto bene.
Continuo a camminare, quasi senza sapere dove mi sto realmente dirigendo. Appena noto un signore con il camice bianco corro verso di lui con tutto il fiato che ho in corpo, non preoccupandomi degli sguardi indesiderati puntati su di me.

«Scusi...» accenno cercando di riprendere fiato. «Vorrei... Vorrei sapere dove si trova la ragazza Samantha Jenkins. È importante, per favore, sono il suo fidanzato.» le parole escono quasi strozzate. Non so nemmeno cosa siamo io e lei, probabilmente niente, o ancora peggio, siamo dei perfetti sconosciuti.
Il dottore alza lo sguardo verso di me, e facendo aderire meglio gli occhiali al naso controlla frettolosamente il grande numero di fogli che tiene in mano.

«È nella stanza numero 243.» dice mostrandomi un sorriso. «Buona fortuna.» aggiunge. Vorrei solamente urlargli 'buona fortuna un cazzo!', ma è meglio che io vada da lei, senza perdere un secondo in più. Continuo a sperare che non sia ferita gravemente, o robe varie, ma il mio cervello per il momento non riesce a pensare a nulla di positivo, nulla. Arrivato davanti alla maledetta porta grigia, la apro senza esitare. La vista davanti a me è orribile. Anzi, peggio. Sul lettino c'è una figura pallida, senza nessun colorito, con decine di tubicini ovunque. È così...
Faccio un lungo respiro, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Non ho mai pianto, e non voglio farlo di certo adesso. Vedo la piccola macchina accanto a lei segnare i battiti del cuore, e fortunatamente sono regolari, ma è come se qualcosa non andasse. Come se...

«Non può stare qui dentro senza un permesso.» sento una voce femminile dietro di me, e automaticamente mi volto di scatto.

«Sta scherzando, vero? Sono il suo ragazzo, ho il diritto di rimanere al suo fianco!» sbraito cercando di calmarmi e evitare di fare del male a qualcuno. Non adesso.

Perfettamente sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora