Capitolo 12. (Sequel)

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Continuo a vagare in mezzo a tutte le strade solitarie nel buio più pesto della notte. Osservo attentamente ogni piccolo particolare, ogni vetrina illuminata, qualcosa che sia in grado di farmi ritornare il sorriso.
Non ho la più pallida idea del perché mi senta così in questo momento. So solo che quando Allan è ritornato dal lavoro, ho avuto il bisogno, la necessità di andare via. Avevo il desiderio irrefrenabile di scappare via da lì, era da tutta la giornata che ci pensavo.
Forse avevo semplicemente bisogno di fare due passi e schiarirmi le idee, ma adesso che sono qui, al freddo, non credo sia possibile.
Mi sento come se da un momento all'altro qualcosa mi sia scivolata via di mano, ma purtroppo non riesco ancora a capire cosa.

Il telefono suona, risvegliandomi dai miei pensieri e interrompendo quel silenzio insostenibile, quasi spaventoso. «Pronto?» chiedo quasi in un sussurro. Non ho neanche controllato chi ci fosse dall'altra parte della linea prima di rispondere.

Mi maledico mentalmente appena sento la voce di Allan. Forse in questo momento era l'ultima persona che avrei voluto sentire, o forse neanche quella. Volevo stare semplicemente da sola, e nient'altro. «Samantha? Si può sapere dove sei? È più di un'ora e mezza che provo a chiamarti senza nessuna risposta! E la cena non è nemmeno pronta! Ti consiglio di venire immediatamente a casa prima che venga a prenderti io.»
Rimango col telefono a mezz'aria, senza riuscire ad andare avanti, o indietro. I piedi non ne vogliono sapere nulla di muoversi, sono incollati all'asfalto freddo.
Dopo diversi bip capisco che la telefonata si è conclusa lì, e che a me non rimane altro che obbedire e tornare a casa con la testa bassa e la coda fra le gambe.
Inspiro profondamente, prima di rimettermi sui miei passi, e rassegnarmi al pensiero di convivere con la tristezza ancora per molto tempo, o forse per sempre. Una tristezza di cui nemmeno io conosco la provenienza.

***

«Scusami se ho fatto tardi. Ero...» richiudo la porta alle mie spalle, e nel frattempo cerco di trovare una scusa plausibile per farmi credere. «... Sono andata da Kriss, aveva bisogno di parlare con me... Sai, problemi di coppia con il suo ragazzo.» mi sistemo i capelli, cercando di mostrarmi il più tranquilla possibile, cosa che non sono assolutamente.

Allan annuisce, avvicinandosi a passo svelto a me. «Scusami tu, amore. Ma sai, sono stato davvero in pensiero per te. Non farlo mai più, okay?» mi posa un bacio sulla fronte, ma non riesco a cogliere nessun senso di dolcezza.

«Ti spiace se vado a letto?» chiedo in un sussurro. «Sono un po' stanca, e poi... Non sto molto bene.» faccio un sorriso tirato, sperando che abbocchi anche a questo.

Alza un sopracciglio, ma dopo averci riflettuto diversi secondi, annuisce. «Buonanotte.» gli lascio un bacio sulla bocca, e in un attimo mi fiondo dentro la camera da letto, richiudendo la porta alla mie spalle, e ricadendo lentamente sul pavimento.

***

Il giorno dopo.
Kristine.

«Pronto?» lo guardo negli occhi. In quegli occhi che forse dopo due anni stanno riprendendo a brillare, ma come sempre è soltanto uno dei miei stupidi "miraggi".
Annuisce debolmente, e con lo zaino in spalla esce da questa maledetta stanza che probabilmente non rivedrà mai più.
Saluto Rosie che, come sempre, è seduta alla sua solita scrivania. Il viso stanco e le rughe sulla fronte sono ormai parte di lei.
Prendo la mano di Jason, e la stringo con tanta forza da sperare di riuscire a trasmettergli qualcosa, qualcosa di... Vero.
«Dove ti porto?» mi volto verso di lui, accennando un sorriso, che difficilmente verrà ricambiato con tanta facilità. Vedendo che non risponde, lo trascino verso una gelateria. «Ti va un bel gelato? Puoi metterci tutti i gusti che vuoi, e... Lo mangeremo insieme. Ci stai?» annuisce, ma senza particolare entusiasmo.
Mi fa davvero male vederlo così. È come se tutte le sue capacità siano rinchiuse in una scatola con il lucchetto. L'unico problema, però, è che la chiave di questo stupido lucchetto si è persa da qualche parte, e sembra impossibile trovarla.

Gli porgo il gelato multi gusto, ma quando dalla sua bocca escono parole, parole vere, mi cade di mano, spiaccicandosi sul pavimento. «Come scusa? Puoi ripetere?» credo che il gelato possa andare a farsi fottere.

«Ho solo detto che sono stanco, e vado a casa.» annuisco incredula, ma quando faccio per accompagnarlo si volta di scatto guardandomi in modo brusco. «Vorrei stare da solo, s-scusa.» lo guardo ancora un'ultima volta prima di vederlo allontanarsi.

Jason.

Finalmente. Finalmente sono riuscito ad andare via da quel posto straziante, che era tutto fuorché quello che volevo : la libertà. L'unica cosa che mi tratteneva dallo scappare via, da rifarmi una nuova vita, era solo e soltanto Kriss. Veniva a trovarmi tutti i santi giorni, e probabilmente le sarebbe venuto un colpo nel non trovarmi lì.
Ma ora, ora che sono uscito, voglio rivendicare me stesso, voglio rivendicare Samantha.
Voglio vedere quello stronzo di Travis morto. Lui ha ucciso l'unica mia ragione di vita, e per questo la pagherà. Non merita nient'altro. Soffrirà quanto ha sofferto lei. È per colpa sua se ho perso anche mio figlio, e adesso nulla ha più senso.

Il telefono squilla, ma non guardo neppure chi è. Ho soltanto bisogno di trovare un posto in cui dormire, e so benissimo da chi posso andare. L'unica persona che dopo tutti questi anni sarebbe ancora disposta a ricevermi.
Afferro il cellulare, e cerco fra tutti i contatti inutili proprio il suo.

Risponde subito. «Ciao, Jason.» proprio come credevo, la sua voce nei miei confronti non è cambiata. È sensuale come sempre, e sarebbe pronta a strisciare ai miei piedi in qualsiasi momento.

«Jenny, tesoro. Ho bisogno del tuo aiuto.» Dopo averle spiegato in ogni singolo dettaglio in quale situazione mi trovo, acconsente ad ospitarmi in casa sua, e a darmi notizie di Travis.
«Arrivo subito.» stacco la chiamata, e immediatamente inizio ad incamminarmi. La casa di Jennifer non è molto lontana da qui, ma neanche troppo vicina. Mi maledico mentalmente per essermi dimenticato di chiedere a Kriss di ridarmi la mia macchina insieme alle chiavi.

Cammino per circa un chilometro, e la stanchezza inizia a farsi sempre più vicina. Mi fermo un attimo, posando lo zaino per terra, e sedendomi sull'asfalto freddo.
Le palpebre iniziano a farsi pesanti, ma una voce mi riporta alla realtà. «Mi scusi, ha bisogno d'aiuto?»

Quella voce.

Alzo la testa di scatto, probabilmente sto avendo solo delle allucinazioni.
Deve essere sicuramente così. Stare rinchiuso per tanto tempo a lungo in quella stanza deve avermi fatto male, ne sono più che certo.
Eppure la figura davanti ai miei occhi sembra così vera, quasi da poterla toccare, ma è impossibile. «Samantha?» scoppio improvvisamente a ridere, una risata amara. Questo è sicuramente uno scherzo di cattivo gusto, uno stupido sogno.

«Jason?» la sua voce trema. Si porta una mano alla bocca, quasi come esterrefatta. «Sei proprio tu?»

SPAZIO AUTRICE.

Hooolaaa👋🏻💞
Ed eccomi ritornata con questo capitolo 🎉

"E se la luce improvvisamente si dovesse trasformare nel buio più totale? Se il buio che in realtà lei crede uno dei suoi peggiori incubi dovesse improvvisamente trasformarsi in luce? Che farà lei?"

Mi raccomando, continuate a leggere la storia di Angy_07 : Non era una illusione, era amore 😍

Ci vediamo al prossimo capitolo! 🌚

All the love, xoxo 💋

Perfettamente sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora