Osservai Niall prendere l'ennesimo respiro profondo. Il suo petto si alzò e si abbassò lentamente. Le sue dita picchiettavano il volante, testimoniando quanto fosse in agitazione.
Aveva deciso di raccontarmi la sua storia, ma dopo solo una frase si era bloccato. Era come se avesse un blocco, che gli impediva di parlarmi.
Passò una mano tra i suoi capelli, voltandosi verso di me. Appoggiai la mia schiena allo sportello dell'auto, sedendomi a gambe incrociate sul seggiolino.
Avrei aspettato i suoi tempi. La prima volta in cui avevo raccontato al mio psicologo cosa mi era successo, la seduta era durata un'eternità. Niall invece voleva raccontarlo a me, una persona che conosceva e con la quale viveva, era decisamente più difficile.
«Come sai io sono irlandese» disse tentando nuovamente di cominciare il suo discorso. Riuscii a percepire quanto fosse impastata la sua bocca, a giudicare da come aveva espresso quella frase. Io annuii.
Avevo paura di dire o fare la cosa sbagliata, riuscivo solo a percepire la sua difficoltà nell'esprimere quello che lo turbava. Soprattutto se era qualcosa legato alla sua infanzia.
«Credo che ti piacerebbe, l'Irlanda» disse poi smorzando la tensione, «le strade sono grandissime. C'è anche il mare, sai?» mi chiese alzando lo sguardo per guardarmi. I suoi occhi blu mi fissarono come fari nella notte.
«No. Non sono mai uscita fuori da Taouton. Al massimo sono stata qui, a Boston» dissi lui, pensando al fatto che mi sarebbe piaciuto poter viaggiare. Poter visitare posti nuovi, uscire dal Massachussets. C'era un mondo lì fuori ad aspettarmi, ne ero certa.
«Quando ero piccolo, passavo le mie giornate in grandi prati» sorrise debolmente, guardando verso l'alto. Probabilmente ricordando qualche momento in particolare. Io continuai ad ascoltare, mantenendo la calma e aspettando i suoi tempi per narrare i fatti.
«Vivevo con i miei genitori e mio fratello. Le mie giornate erano quelle di un semplice bambino, almeno fino al compimento dei miei sette anni» il tono della sua voce si incrinò. Lo guardai mentre i suoi occhi cambiavano espressione, così come il suo volto.
«Mia madre si ammalò» ammise debolmente. Capii che probabilmente non lo aveva mai raccontato a nessuno. Allungai istintivamente una mano verso una delle sue. Lui sussultò al contatto, era concentrato nel suo racconto, ma lasciò che io gli stringessi la mano. La accarezzai dolcemente.
«Mio padre cominciò a bere, nel frattempo» disse riprendendo il filo del suo discorso, «mentre mio fratello, che era molto più grande di me, aveva deciso di trasferirsi fuori città» continuò con voce tremolante. Il suo disagio era evidente. Non faceva altro che prendere respiri profondi e deglutire pesantemente la saliva.
«Niall» lo chiamai. Lui posò lo sguardo su di me, aveva gli occhi lucidi, «non devi» continuai a dirgli. Non c'era motivo di avere fretta. Non volevo che si rovinasse questo giorno. Non volevo che vivesse nuovamente momenti che lo avevano fatto soffrire, non se non era pronto per farlo.
«Voglio farlo, Mel. Voglio che tu conosca la mia storia» ribattè e io non risposi. Del resto, era una sua scelta e io l'avrei di certo rispettata. Fece un altro respiro profondo e continuò a raccontare.
«Non era facile stare senza mio fratello, sai?» chiese retoricamente, «soprattutto quando si è piccoli come lo ero io. Non era facile perché ancora non capivo bene» disse. Immaginai un piccolo Niall a dover combattere contro tutto il dolore che un bambino non dovrebbe di certo sopportare e mi si spezzò il cuore.
STAI LEGGENDO
Room 69
FanfictionNiall e Melody si ritrovano a condividere la stanza all'università di Boston per via di un errore. Melody, ancora fragile per la perdita del padre, è contrapposta a Niall: il biondino irlandese di cui tutti parlano, pieno di segreti che nessuno sa...