𝖢𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗈 22

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«Mel, come stai?» chiese la dottoressa, prendendo il suo solito taccuino e la mia cartellina.

Nelle ultime settimane il mio sonno non andava per niente bene. Mi svegliavo ogni notte aprendo gli occhi di scatto verso il soffitto. Restavo lì. Immobile.

Mentre il mio cuore pompava sangue per tutto il corpo, il mio petto si sentiva schiacciato da un peso insostenibile. Tentavo di chiudere i pugni, sperando in un riflesso muscolare spontaneo del mio corpo, non ottenendo risultati.

Immagini offuscate, buie si dilaniavano nella mia mente. Immagini di dolore, sofferenza. Tentavo di strizzare gli occhi invano.

Non si muoveva niente. Nessun muscolo. Nemmeno un piccolo rumore nella mia stanza, solo il respiro di Niall ed il battito accelerato del mio cuore.

Ogni notte, dopo cinque minuti, mi concentravo sul respiro del biondo. Lento. Regolare.

Inspira, espira. Me lo ripetevo come un mantra.

Inspira, espira. Piano, lentamente dicevo a me stessa. Cercavo di darmi forza, sostegno.

La camera era sempre buia. I miei occhi sgranati, impauriti da ciò che mi succedeva. Il flebile respiro di Niall. Lento. Regolare.

Inspira. Espira. Non riuscivo nemmeno a voltarmi verso il biondino. Era come se Niall respirasse ed il mio respiro dipendesse direttamente dal suo.

Dopo tre minuti - che per me erano ore infinite - riuscivo a chiudere i pugni.
Stringevo talmente tanto da infilare le mie unghie nella carne. Provavo finalmente qualcosa: dolore. Il palmo della mia mano bruciava.

La dottoressa l'aveva definita paralisi del sonno. Tutto avveniva a causa di un disfunzionamento della mia fase REM, che anziché interrompersi durava ancora qualche istante.

«Credo bene» dissi accavallando le gambe e tornando alla nostra conversazione. Osservai le mie mani. Erano magre e pallide. Ero magra. Troppo magra.

«Hai preso appuntamento con un nutrizionista come ti ho chiesto?» domandò dubbiosa. Pensai che mi avesse letto nel pensiero.

«Sì. Ci andrò Lunedì» risposi in fretta.

«Ottimo» disse annotando qualcosa sulla sua agenda. Mi domandai come facesse a svolgere quel lavoro ogni santo giorno.

Come riuscisse a convivere con ciò che avveniva ai suoi pazienti.

«Come va con i problemi legati alla tua psiche?» domandò probabilmente non soddisfatta del mio iniziale sto bene. Stava cercando di scavare più a fondo, ormai avevo cominciato a capirlo.

La paura dell'abbandono. Una delle costanti della mia vita, con la quale convivo da anni. La dottoressa dice sempre che dovrei cominciare a familiarizzare con le mie paure, con le mie vulnerabilità.

Come si fa a familiarizzare con qualcosa che ci fa soffrire? Con qualcosa che ci tiene ancorati alle debolezze dell'animo umano, alle imperfezioni.

«Ho smesso di stare sola. Mi sembra un progresso» risposi dopo un po'.

Ed era vero. Solo che, dopo anni di sedute, non mi sembrava un gran progresso. Avevo cominciato ad uscire, avere degli amici, insomma, ad avere una vita un po' più normale.

Nonostante tutto, non riuscivo a vedere dei miglioramenti. Mi guardavo allo specchio e mi facevo schifo. Vedevo il riflesso di tutto ciò che avevo sempre odiato.

Mi guardavo allo specchio e non vedevo più quella ragazza solare e divertente che ero un tempo. Non amavo più la vita.

Come si faceva a non amare più la vita alla mia età? Non la conoscevo nemmeno la vita.

«Hai anche un ragazzo» ribatté la dottoressa riferendosi a Louis.

Pensare a lui mi fece stare meglio. Rassicurò il mio cuore. Cominciai a riflettere riguardo quell'affermazione, mi domandai se fossi o meno migliorata nelle ultime sedute.

Da ormai due settimane io e Louis eravamo diventati praticamente inseparabili, passavamo tanto di quel tempo insieme da farmi dimenticare come si vivesse senza di lui. La notizia del nostro fidanzamento era giunta a tutti ma quando mi toccò dirlo alla persona della quale temevo più il giudizio, ossia la mia migliore amica Eleonor, avevo avuto molta paura. El si era rivelata incredibilmente felice per noi. Nonostante il suo consiglio di prendermi del tempo per me, del tempo per decidere cosa mi servisse per stare bene, non aveva detto nulla.

Niall aveva scoperto del nostro fidanzamento pochi giorni dopo, ci aveva sorpresi a baciarci nel mio letto.

Non dimenticherò mai la sua reazione quando entrò dalla porta: impassibile.

Non mosse nemmeno un muscolo, nemmeno uno. Restò sul ciglio della porta, attonito. Dopo qualche minuto tossì lievemente sussurrando delle scuse, prese i suoi quaderni e uscì.

«Mel?» mi chiamò la dottoressa, «a cosa pensi?» domandò.

«A Niall» risposi senza pensare. Mi maledii subito dopo per averlo detto.

Perché dovevo dire tutto quello che pensavo? Potevo anche starmene buona e zitta per i fatti miei.

«Perché?» domandò.

«Perché quando ha saputo di me e Louis» mi fermai un attimo, «non ha avuto nessuna reazione» continuai.

«Cosa ti aspettavi?» chiese.

«Credo rabbia. Lui è sempre così scontroso» sussurrai appena.

Niall sembrava avere rabbia repressa. A volte, era come se fosse arrabbiato con il mondo intero.

«Hai mai provato a chiedergli perché?» ribatté.

«No» il mio tono si abbassò, osservai l'orario dal mio orologio. Le sette del pomeriggio.

Notando il mio gesto, la dottoressa osservò il grande orologio posto di fronte alla sua scrivania. Mi alzai e, dopo averle stretto la mano, ci congedammo.

«Mi raccomando, Mel» disse in un sussurro. Annuii scattosamente.

Quando tornai in stanza, dopo aver mangiato qualcosa a mensa, ringraziai il cielo per aver fatto finire quell'interminabile giornata

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Quando tornai in stanza, dopo aver mangiato qualcosa a mensa, ringraziai il cielo per aver fatto finire quell'interminabile giornata.

Dopo aver messo il pigiama, qualcuno bussò alla porta. Osservai il letto vuoto di Niall, chiedendomi dove si fosse cacciato.

Dopo aver aperto la porta vidi Louis sulla soglia di quest'ultima. Sorrise. Mi avvicinai lasciandogli un timido bacio sulle labbra.

«Ciao Mel» disse dolcemente. Lo feci accomodare e andai a sdraiarmi sul letto.

Ero così stanca. Le sedute dalla dottoressa mi uccidevano. Sembrava che prendesse il mio cervello e lo spremesse fino a farlo esplodere.

«Sono molto stanca» dissi in linea con i miei pensieri. Louis annuì e si sdraiò sul mio letto.

Appoggiai la mia testa al suo petto. Il suo cuore, al contrario del mio, batteva lentamente.

Mi accarezzò i capelli, il viso, la pelle. Dopo qualche minuto chiusi gli occhi, finché mi addormentai.

Room 69Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora