Numero 8

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Erano le 11.30. Sapevo solo questo e che dovevo correre, se avevo intenzione quantomeno di salutarli. Ma forse la velocità non era un problema che ci riguardava, visto che la moto nera di Cameron sfrecciava come una scheggia impazzita tagliando la strada a destra e a manca ad autisti dai volti sfocati. Scivolavo nella realtà, aggrappata alla vita di Jared. Le mie dita sudate che si stringevano alla sua giacca di pelle con tutta la forza, per via della paura e l'adrenalina che quella corsa folle mi provocava. Il mio respiro caldo ed affannato che si condensava dentro il casco, l'aria fredda e violenta di Chicago che rendeva impossibile non avere freddo su una moto a quella velocità.

Eppure, sentivo che nulla potesse accadermi. Inarrestabili persino contro il tempo, con il sorriso che si nascondeva dal mondo su quelle labbra distese dietro il casco.

Su un normale mezzo a quattro ruote, rispettando i limiti della velocità consentita, e tenendo conto del traffico che a tratti ci avrebbe tenuti fermi per alcuni minuti, ero certa che non saremmo mai riusciti ad arrivare in tempo. Fortuna che non era così. Fortuna che avevo un folle come ragazzo e sedevo su una moto rombante di quelle da film.

Il cartello delle indicazioni verde riportava il nome dell'immenso aeroporto. Jared imboccò la via che conduceva verso il parcheggio a tutta velocità ed abbandonò la moto dietro un imponente fuoristrada che non sarebbe mai stato in grado di uscire da lì. Mi tolsi il casco, scuotendo la testa per lasciare ciondolare i capelli, e scesi giù con un balzo. Jared prese il casco tra le mani e mi seguì senza prendere neppure in considerazione il fatto che per sostare nel parcheggio ci fosse bisogno del biglietto. Pagare una multa era l'ultimo dei nostri problemi. Cominciai a correre verso l'entrata, trascinandolo con me. Sentivo la frenesia e l'adrenalina prender posto nelle mie vene, ma sentivo anche la paura vivida e indistruttibile che alimentava le altre due per permettere ai miei muscoli di andare più forte. Per poco non ci scontrammo contro una coppia che veniva nella direzione opposta. Non ci fermammo neppure per chiedere scusa, ma ci scostammo dall'altro lato e ricominciammo a correre. Il Chicago O' Hare era immenso ; me ne resi conto quando, sul punto di scendere le scale mobili, capii di non avere idea di dove andare. Buttai gli occhi sul tabellone dei terminal e li scorsi uno ad uno, concentrata e con il batticuore.

«Dobbiamo trovare il gate giusto» biascicai, spezzando le parole per via dell'ansimare.

Jared mi lasciò la mano e si avvicinò per guardare meglio «a che ora hanno il volo?»

«Mezzogiorno, per ....»

Fece un cenno con la testa, tenendo lo sguardo fisso su un punto «eccolo lì : gate 8, secondo piano».

Sgranai gli occhi per guardare meglio e poi lo vidi «andiamo!»

Ripresi Jared per mano e ricominciammo a correre, ma questa volta nella direzione opposta. Non bisognava scendere, ma salire, e quelle maledette scale parevano lontane anni luce. La folla di persone con trolley e borse in spalla era un continuo ostacolo che bisognava evitare. Sapevo come apparivamo io e Jared agli occhi altrui : due folli, e forse era esattamente quello che eravamo. Con il fiatone, continuammo a correre sino a che non ci lanciammo sulle scale che portavano al piano superiore. Un'accozzaglia di gente c'impediva di salirle con il ritmo che avevamo tenuto sino ad allora. Ci lasciammo trasportare da queste, alla velocità di una lumaca, e nel frattempo riprendemmo fiato.

«Ci siamo quasi» mi tranquillizzò Jared, cercando il mio sguardo.

Ingoiai un grumo di saliva ed annuii «sembra di sì».

Il cuore mi batteva più forte alla sola idea che fosse così.

«Preoccupata?»

Feci spallucce «non ho nessuna giustificazione...» ammisi mortificata «ho paura di aver perso la loro fiducia».

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