Occhi di ghiaccio

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Dormimmo per tutto il mattino, persino dopo l'ora di pranzo e, quando mi alzai, lo stomaco richiamava a gran voce qualcosa di solido da poter digerire. Mi svegliai e scoprii che erano passate le tre del pomeriggio, ma vista la sbornia della sera prima, la visita al commissariato e tutto quello che ne era seguito, pensai che la mia stanchezza fosse del tutto giustificata. Durante la notte mi ero distesa fino ad appoggiarmi contro il bracciolo del divano; me ne stavo mezza allungata, con la testa di Jared ancora in grembo.

«Oh, Cristo» mi lamentai, sentendo fitte di dolore lungo il collo, la schiena ed un braccio.

Jared si mosse appena, raggomitolato su se stesso, e si strinse di nuovo sulle mie gambe. Sembrava un bambino, così piccolo a forza di stringersi, pronto a ciucciarsi il dito. Sorrisi e rimasi incantata dalla beatitudine sul suo viso. Mi venne spontaneo accarezzargli i capelli scompigliati, morbidi come seta sui polpastrelli, o sfiorargli il profilo di una guancia, giusto un poco ruvida per via della barba non ancora fatta. Bellissimo, pensai. E forse, sarei rimasta lì, se nello sbloccare lo schermo del cellulare non avessi trovato una decina di chiamate perse ed un messaggio che mi fece scattare in piedi come un soldato.

Luke.

Austin mi ha detto che vuoi parlarmi. Ho un'ora di buco dalle tre alle quattro. Vediamoci al B&B alle 3 e mezza.

Fissai con occhi sgranati l'ora sul mio cellulare : le 3.19. Dovevo sbrigarmi! Non potevo rischiare di bruciare quell'unica possibilità che mi veniva data.

Provai a sistemarmi i capelli, rastrellando delle ciocche con le dita, ma non avevo tempo per lavarmi i denti, togliere la puzza di alcol, o rinfrescarmi la faccia. Mi serviva un taxi, subito! Quando mi voltai a guardare Jared, vidi che si era "spalmato" sul divano per tutta la lunghezza; dormiva ancora come un angioletto, e Camilla, nella camera del padre, era ancora bella che andata. Corsi in cucina, strappai un foglio di scottex, e vi scrissi sopra queste parole :

Avevo un impegno e sono scappata. Spero vi siate riposati abbastanza. XOXO, Scarlett.

Mi fiondai fuori dall'abitazione come una scheggia impazzita. Fuori, il sole a picco, non lasciava neppure il minimo sospetto del tempaccio che aveva imperversato per tutto il giorno precedente; anzi, faceva anche piuttosto caldo e mi ritrovai a correre a maniche corte, con il giacchetto legato in vita. Dovevo avere un aspetto davvero trasandato. Speravo solo che Luke non sarebbe scappato per via della mia pessima presentazione.

«Taxi!» gridai, un isolato più in là.

La cabina gialla si fermò giusto in tempo perché vi piombassi dentro con la delicatezza di un animale. Biascicai l'indirizzo all'autista con il fiatone, e spazientita imprecai ogni qual volta che eravamo costretti a fermarci per via dell'ingorgo nelle strade. Dopo mesi trascorsi a Chicago, non mi ero ancora abituata all'idea che tutti, ma proprio tutti, giravano muniti di macchine e che esistevano orari di punta in cui si restava imbottigliati nel traffico.

Finalmente, alle 3.36, arrivammo. Lanciai le banconote nel palmo dell'autista e filai via correndo. Luke se ne stava lì, seduto davanti la vetrata con un frappè in mano. Non mi accorsi delle occhiaie o del suo pallore, sino a che non vi fui più vicina. Aveva tutta l'aria di chi negli ultimi giorni aveva dormito poco e niente, ma forse ero l'ultima persona a poter parlare, viste le condizioni ed il ritardo con cui mi presentavo.

«Ehi» dissi, cercando di non ansimare troppo o di farlo piano.

Luke sorrise, un sorriso di quelli stanchi e mi salutò a sua volta «ehi, credevo non saresti venuta».

«Scherzi? E' stata una mia idea!»

Luke abbassò lo sguardo, posò sul tavolo il frappé, e tornò a parlare estremamente serio «allora? Cos'è che vuoi dirmi?»

«Io..»

M'interruppe e la sua voce parve farsi più accesa «c'è una qualche spiegazione per l'irruzione del tuo ex ragazzo, nella tua attuale camera, mentre stavamo per fare l'amore?»

Sollevai lo sguardo a fatica, con il respiro corto ed il groppo in gola «il modo in cui ci siamo lasciati è stato...»

«Sì, lo so, ero arrabbiato» spiegò lui, il volto diventato una maschera di pietra.

Cercai di aggrapparmi a quegli occhi grigi, di trovarvi qualcosa all'interno che mi riaccendesse come era successo prima del ritorno di Jared, ma tutto quello che sentii fu solo mesta desolazione, dispiacere e fastidio. Perché non scoppiavo a piangere e non lo supplicavo come una disperata, disposta a sacrificare la mia dignità? Perché non cercavo di convincerlo, con il cuore in mano, tra i singhiozzi?

Improvvisamente realizzai che non c'era niente che volessi dire. Non ebbi paura che tra di noi fosse finita, ma mi spaventò il fatto che non me ne importasse niente, perché avrebbe voluto dire soltanto una cosa : che non ero mai riuscita ad andare avanti.

«Voglio solo che tu sappia che tra me e Jared non c'è stato più niente» fu tutto quello che riuscii a dire.

Luke annuì mesto, lo sguardo basso «e perché non mi hai detto che era tornato? Che ha pagato al posto tuo il risarcimento di Rebecca?»

Lo guardai, sorpresa.

«E' arrivata una lettera e non è stato difficile fare due più due».

«Non gliel'ho chiesto io, Luke» ribattei, irrigidita dall'accusa velata tra le sue parole «non sono squallida come credi che sia».

Lui scosse la testa «non era quello che intendevo dire».

«E' stata una sua scelta perché si sentiva in colpa, e me la sono presa con lui per questo, ma cercava solo di aiutarmi».

Luke ridacchiò tra sé e sé «aiutarti, certo. Se avessi avuto un padre trafficante, lo avrei fatto anch'io» sollevò le mani in aria «ma, ehi, scusami se non dispongo di un patrimonio di qualche milione di dollari, davvero».

Allibita, lo fulminai con lo sguardo «non me n'è mai fregato niente dei suoi soldi, Luke, e se mi credi una sgualdrina, allora puoi anche andartene. Sono qui per chiarire le cose, e tu non fai altro che lanciare stupide frecciatine e mi sono stancata di essere giudicata dagli altri per aver amato qualcuno!»

«Dove sei stata questa notte?» mi chiese, gli occhi di ghiaccio e la voce affilata e ferma.

Rimasi così spiazzata, che persino la rabbia si trasformò in una nebulosa, pronta a volare via.

«Ero presente quando Alex ha chiamato Austin, preoccupata, dicendogli che non eri tornata a casa».

Silenzio. Spostai lo sguardo, scossi la testa, mi portai via una ciocca di capelli dal viso.

«Forse potrai fregare gli altri, persino lui, ma non me» disse, sollevandosi e scostando la sedia alle sue spalle «prova prima a fare pace con te stessa, Scarlett, e forse imparerai a fare meno male alle persone che ti circondano».

E detto questo, se ne andò.

Non riuscivo a capire che cosa m'avesse fatto più male; se il suo lasciarmi o le sue parole. Dentro la testa, sotto la pelle e dietro il cuore, si fece strada una consapevolezza che non riuscivo a mandare giù. Tutto l'amore che avevo creduto di provare, tutto il dolore che avevo sentito davvero, portava quel suo maledetto nome, come la firma di un artista sulla sua opera d'arte. Perché c'era arte nella distruzione, persino nella nostra.

E per tutto quel tempo, in realtà, non l'avevo mai dimenticato. 

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