Una favola imperfetta

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In qualità di brava ragazza, studentessa modello e figlia eccellente nella cittadina di Astor Valley, mai e poi mai avrei immaginato di ritrovarmi per la seconda volta, nel giro di un mese, seduta in una delle sale di attesa del Commissariato di Polizia di Chicago. Camilla, in preda alla frenesia, sbuffò per l'ennesima volta, scalpitando avanti e indietro, appoggiandosi allo stipite di un ufficio, strecciando ed intrecciando le dita. Sbadigliai, sentendo la sbornia svanire lentamente e tramortire il retro del mio cervello a colpi di piccone.

«Dannazione!»

Sussultai, asciugando un accenno di bava al lato della bocca.

«Quanto diavolo ci vuole per pagare una cauzione?» disse spazientita la ragazza, tornando a percorrere nervosamente il corridoio.

I miei occhi si richiusero senza che me ne rendessi conto. Solo un pisolino, per riposare la vista e tornare a pensare lucidamente...peccato che al mio risveglio erano trascorse le successive due ore, e Camilla se ne stava seduta al mio fianco, con una tazzona di caffè bollente in mano. Tutto quel camminare doveva averla sfinita.

«Scusa» mormorò, quando vide che la osservavo «non avrei dovuto coinvolgerti in questa storia» sospirò sonoramente «Jared è un disastro, soprattuto...»

«Adesso che ci siamo lasciati?» provai ad indovinare.

Camilla sembrò mortificata «già».

La porta dell'ufficio si aprì di scatto, e per lo spavento rischiai di colpire con il gomito la bevanda della ragazza.

«Harvey?» chiese un uomo dall'aspetto curato ed il volto di pietra.

Camilla balzò in piedi, facendosi avanti «sono la sorella!»

Quando il tipo realizzò che si trattasse soltanto di una ragazza, parve storcere la bocca «tuo padre non aveva tempo per tirare tuo fratello fuori dai guai personalmente?»

Camilla tacque, interdetta.

L'uomo proseguì «ha chiamato da New York e fatto in modo che gli pagassero la cauzione, ma non è la prima volta che capita una cosa del genere, e fossi in te, farei in modo che tuo fratello se ne resti lontano dai guai per un bel po'; a vent'anni ha tutte le carte in regola per diventare una bella gatta da pelare in futuro».

La ragazza si passò le mani sul viso, stanca, afflitta dal dopo sbornia, e sospirò «mi dispiace signore, ma credo che presto non sarà più un suo problema...lasceremo lo stato a giorni».

«Sì, beh, seguitemi; è ancora ubriaco e nel giro di un'ora non ha fatto altro che attaccare briga con quelli della sua cella».

Attraversammo il corridoio interamente bianco, con macchie di muffa qua e là, e dopo un paio di svolte, l'uomo ci fece cenno di aspettare. Chiese alle guardie di aprirgli il cancello, e sparì oltre questo.

«Forse dovrei andarmene» ammisi, con il cuore che pulsava frettoloso ed i palmi delle mani sudati «non credo che, dopo una serata del genere e tutto quello che è successo, abbia voglia di vedermi».

Camilla mi guardò con fermezza ed altrettanto fermamente disse «resta, ha bisogno di te più che mai».

Oh, bene, e perché faceva così male sentirselo dire?

Jared sbucò all'orizzonte, la sua immagine tassellata dalle minuscole fessure del cancello bianco che ci separava. L'uomo lo teneva stretto per un braccio, alto e statuario, mentre il ragazzo appariva chino su se stesso e svuotato delle ossa. Mano a mano che avanzava, qualcosa risaliva dal centro del mio petto, sino a diventare una morsa soffocante attorno alla gola. Avevo voglia di abbracciarlo, nonostante avesse tutta l'aria di volersene stare per conto suo. Superarono il cancello e mi guardò. Gli occhi arrossati, le occhiaie scavate nella pelle come tracce lasciate da macchine troppo pesanti da sopportare, la felpa nera sporca, le mani gonfie e scorticate, ancora sporche di sangue.

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