Pace

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Mi strinsi nel tepore del bomber grigio e mi lisciai una ciocca di capelli che fuoriusciva dal cappellino sulla mia testa. In quei mesi avevo imparato che Chicago riusciva a diventare fredda in pochi istanti e che non vi era alcun equilibrio tra i cambi di stagione che volavano via con un soffio di vento gelido. Forse, in qualche modo, quella città mi somigliava.

Emily sbucò dalle mie spalle con il suo solito sorriso da ragazza gentile e servizievole «sicura che non vuoi che ti porti qualcosa di caldo nel frattempo?» chiese, dandomi un'occhiata stucchevole ed eloquente «una cioccolata calda offerta dalla casa?»

Scossi la testa, imbarazzata «no, ti ringrazio» feci spallucce «dovrebbe arrivare a momenti».

Lei sorrise per l'ennesima volta e proseguì verso il prossimo tavolo. Il B&B non prosperava più come una volta, o forse dipendeva semplicemente dal fatto che, in quel particolare periodo dell'anno, gli studenti erano restii ad uscire per via delle sessioni d'esame. Continuai a guardarmi intorno, sfiancata dall'agitazione che l'attesa mi procurava. Non ero ancora sicura che quella fosse la decisione giusta, ma la mia crisi con il povero Luke mi aveva spinta a riflettere, cosa che fino ad allora avevo solo creduto di fare. La verità era che non avevo ancora imparato a conoscere a fondo la nuova versione di me stessa, e che questa Scarlett, per mesi, non aveva fatto altro che accantonare i pensieri spiacevoli in un angoletto, covando rabbia, frustrazione e rancore. Ed ora ero lì, pronta a mettere le cose in chiaro, semmai lei si fosse presentata.

Di fronte all'enorme vetrata che dava sull'esterno, riuscii a captare un rumore particolarmente familiare : lo scoppiettio di un motore vecchio e scassato che procedeva singhiozzando. Le dita delle mie mani s'intrecciarono e si stritolarono per l'ondata d'ansia che mi colpì alla sprovvista. Speravo davvero di non dover incappare nell'ennesimo litigio.

Una figura longilinea, dalla pelle chiara ed i capelli biondo cenere, sbucò davanti la vetrata senza prestarvi attenzione, e quando sentii le campanelle della porta suonare, presi in considerazione l'idea di filarmela.

Alex si guardò attorno, fasciata da un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia ed una giacca di pelle, e quando scorse il mio viso, i suoi occhi azzurri si fecero improvvisamente bui e sofferenti.

Fu come ricevere una pugnalata in pieno cuore.

Paralizzata, mi sollevai dalla sedia e le feci cenno di sedersi senza proferire una parola. L'una di fronte all'altra, ci fissammo, occhi negli occhi, vittime della tensione che i nostri corpi sprigionavano.

Quando "Emily L'Invadente" si presentò per prendere le nostre ordinazioni, noi non ci eravamo ancora rivolte la parola «che cosa vi porto ragazze?»

«Un thé al lampone» risposi tempestivamente, nella speranza che se ne andasse.

Alex la guardò, ancora disorientata, e disse «niente, grazie».

«D'accordo, torno tra pochissimo».

Dentro di me imprecai un paio di volte.

Alex tornò a fissarsi le mani, ed io tornai a fissare lei che si fissava le mani. Poi, d'improvviso, sollevò la testa e mi guardò dritta negli occhi, con un'espressione sfrontata.

«Che cosa vuoi?» chiese brusca, la voce diversa da come la ricordavo «Hai per caso dimenticato che non sono più tua amica?»

Guardarla negli occhi e sentirla pronunciare quelle parole piene di astio, mi fecero sentire così in colpa con me stessa, che mi mancò il fiato per la manciata di secondi successivi.

«No...» boccheggiai, pensando a come replicare «io...io ho pensato molto negli ultimi giorni e...»

Lei m'interruppe «credevo avessi scordato come si fa».

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