Chapter 29

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Mi aggiro nei  corridoi di un ospedale. Ha le luci spente ed è completamente vuoto. Ci sono solo io. L'atmosfera e talmente cupa da incutermi timore. Continuo a camminare cercando di fare meno rumore possibile. Svolto a destra e poi a sinistra, senza una meta ben precisa. Nei corridoi ci sono lettini disfatti, cuscini per terra e lenzuola sporche. Ma che posto è mai questo? Dove sto andando? Cosa cerco? Domande a cui nessuno sa rispondere. Svolto ancora a destra e sbuco in un corridoio lungo, non c'è nulla. Nessuna finestra, nessun lettino, nessuna emozione. Inizio a percorrere quel corridoio lungo e stretto, non vedo la fine. La paura sale e il suono che mi accompagna alla fine di quel corridoio è il mio fiatone. Mi giro, intenzionata a tornare da dove sono venuta, ma l'unica cosa che trovo è un muro. Un muro bianco al posto della via d'uscita. Ho solo una possibilità: continuare ad avanzare senza fermarmi. Mi giro di nuovo e adesso si vede la fine del corridoio, ancora spoglio di qualsiasi emozione. Adesso davanti a me si trova una porta, una tipica porta dell'ospedale, solo che sopra c'è scritto in caratteri grandi 'CHIUSO'. Tento lo stesso ad entrare, poggio la mia mano sulla maniglia fredda della porta e tiro verso il basso. 

Si apre.

Un brivido mi scivola lungo la schiena, è come se sapessi cosa c'è là dentro. Sicuramente non mi piacerà. Decido di aprire la porta lentamente. Mi affaccio solo con la testa per scrutare l'interno di quella stanza. Tutto buio, assolutamente buio. Nero come la pece, come i capelli di Francesco. Sembra come se quella stanza fosse in mezzo ai suoi capelli. Decido di entrare, ma non chiudo la porta, la lascio socchiusa. Do le spalle ad essa e sto là, a guardare il nulla. Passa poco tempo, ad un certo punto al centro della stanza si fa largo una scia di luce, illuminando qualcosa. Aguzzo la vista e la figura si fa limpida. Un lettino ospedaliero. Le coperte sono rialzate, c'è una persona sotto. Non si muove, sta ferma, come addormentata. Decido di avvicinarmi, per scoprire di chi sia la sagoma.
Percorro lo spazio che ci separa molto lentamente, come per paura che mi saltasse addosso da un momento all'altro. Inizio a notare il fumo che mi esce dalla bocca e il freddo cala su quella stanza, apparentemente immensa. Mi giro, dando le spalle al lettino. La porta è ancora là, socchiusa, come l'avevo lasciata. Guardo il lettino. Dal cuscino alla tastiera finale. Il corpo che si trova sotto le coperte verde spento è di statura bassa, un po' più alta di me. La curiosità prende il sopravvento.

Scosto le coperte.

Mi si gela il sangue. Lancio un urlo di spavento e il cuore inizia una maratona tutta sua. Mi porto le mani alla bocca, cercando di bloccare l'urlo. Non riesco a crederci. Non voglio crederci. 

La figura che mi si presenta davanti è di una donna, difficile da constatare, visto che è priva di capelli. Il viso, come il resto del corpo nudo, è bianca, occhi chiusi, espressione rilassata. Guardo attentamente il viso, per capire chi è, ma non mi viene in mente nessuno. Noto però che ha le sopracciglia su un arancione chiaro, quasi bianco, come il cadavere. Sposto lo sguardo sul resto del corpo nudo. Non trovo nessun particolare. Mi guardo ancora attorno e adesso è comparso un tavolino vicino al letto. faccio il giro di esso ponendomi vicino al tavolino. Sopra di questo ci sono cartelle cliniche. Decido di aprirne una per constatare il nome della povera vittima.

Causa morte: overdose.

Nome della vittima: Sara Russo.

Il mio cuore sembra fermarsi e la cartella clinica mi cade per terra. 

No..

Mi giro verso il cadavere della mia migliore amica con le lacrime agli occhi.

Fuck Distance  #WATTYS2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora