Capitolo 6

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Buio. Silenzioso, caldo e tranquillo, mi avvolge come una morbida coperta. Il sonno, suo inseparabile compagno, mi trasporta in lungo e in largo, avanti e indietro, cullandomi in uno stato di torpore da cui sono troppo debole per svegliarmi. O troppo stanca. Che senso ha aprire gli occhi e ricominciare a soffrire? quante persone che conoscevo e con cui sono cresciuta sono morte questa notte? E Rachel e Frederica? Sono state uccise anche loro?
Troppe domande  difficili, che richiedono risposte spietate. A cui non voglio pensare, da cui voglio fuggire.Altrimenti impazzirei. Lo so.
Così, preferisco indugiare in questo calmo riparo, nel quale posso sottrarmi alla verità e alla realtà.
Verità.
Realtà.
Che strane parole. Ho sempre pensato che fossero portatrici di giustizia, e di lieto fine. Solo ora mi rendo conto scioccamente che non è così. Il mondo non è come lo raccontano gli istruttori o gli insegnamenti: è spietato e crudele, e uccide chi è troppo debole. Forse Fred aveva ragione. O forse, era troppo debole. Forse, la sua arroganza l'ha ucciso.
Forse. Quante volte ho basato il mio futuro su probabilità, calcoli, aspettative.
Dopo quello che è successo stanotte, è come se fosse tutto sfumato dalla mia mente. Non lascerò mai più la mia vita affidata a statistiche, al caso.
Deciderò io che piega avrà e dove mi porterà. E il prossimo passo, giuro a me stessa, è quello di vendicare i miei compagni caduti. Ucciderò qualsiasi soldato della Provincia del Sud che mi si parerà davanti. Per Rachel. Per Frederica. Per Jon. Per me stessa. Ma non ora. Non ancora. Non sono pronta per tornare alla dura e crudele realtà. Voglio solo rimanere qua, al buio. Dove non può accadermi niente di male.
Sento un bisbiglio indistinto, che si propaga crepando di luce questo limbo oscuro in cui vago. Il mio inconscio cerca di schermarsi, girandosi dall'altra parte. Quel ronzio luminoso si propaga nuovamente, questa volta più forte e più fastidioso della precedente.
La mia mente si piega su se stessa, cercando di scappare da quello scintillio. Ma ormai è troppo tardi. La luce mi circonda, mi avvolge fino quasi a farmi soffocare.
Cerco di ribellarmi, ma sono ancora troppo debole per riuscire a liberarmi dalla stretta.
Sento una voce bisbigliare qualcosa, ma in questo momento non mi importa. Non mi importa di nulla, in effetti. Mi muovo, mugolando. Cerco in tutti i modi di aggrapparmi a quella fievole ombra che rimane del mio pacifico riparo. Ma ormai è troppo tardi. La realtà mi attira a sé, mi risucchia, facendomi perdere la presa sull'incoscienza. Lo stacco è doloroso, sento tutte le emozioni e i pensieri che mi assillavano da sveglia turbinarmi in testa e ritornare a me. Percepisco lacrime gelide cadermi sulle guance. Poi sono sveglia. Il mio respiro si fa più forte, inalando aria fredda e tagliente. Avverto anche odore di aghi di pino, resina e terriccio. Sono in un bosco, probabilmente la foresta che circonda la nostra caserma. La caserma! Chissà se abbiamo vinto. E perché io mi trovo qui. Gli ultimi avvenimenti mi scivolano addosso, svegliandomi completamente. Ero in prima linea, parlavo con James e poi... Jay! E' qui con me anche lui?
Mi muovo impercettibilmente, turbata.
Facendolo mi accorgo che sono sdraiata su un fianco, i polsi legati dietro alla schiena con una corda.
Li fletto, cercando di capire quanto sono stretti insieme.
Il mio cuore fa una piroetta per la gioia: la corda non è tanto robusta.
Ringrazio mentalmente Aper per averci insegnato una tecnica per liberarci in caso di prigionia, mentre il mio subconscio sogghigna.
Quello stronzo alla fine qualcosa di utile è riuscita a farla.
"Genn, smettila con questa assurda idea di tornare indietro a combattere, è folle!"
La voce che interrompe il flusso dei miei pensieri è di una ragazza. Ha un accento diverso dal nostro, le vocali sono più aperte e marcate e le consonanti più calcate. E' evidente che sono della Provincia del Sud. Dal tono di voce capisco che è abbastanza agitata, e il mio cuore fa una piroetta. Questo potrebbe significare che i nostri hanno vinto.
"Questa missione è folle. Tra poco si sveglieranno, e ci procureranno solo casini. Riflettici Raja! La mia idea è sensata."
La seconda voce é maschile, l'accento uguale a quello della compagna.
A giudicare dal volume, sono molto vicini a me, qualche metro alla mia sinistra.
Il sangue mi ribolle nelle vene dalla voglia di balzare loro addosso e ucciderli, il cuore inizia a danzare un ballo di guerra nel petto, preparandosi alla vendetta.
Ma la mia mente lo ferma. No. Sarebbe una pazzia. Meglio aspettare, e si presenterà un momento migliore. Ha ragione.
Il mio cuore si acquieta, convinto.
Così, Lentamente, inizio a tendere i polsi, mettendo in pratica gli insegnamenti di Aper.
"Non mi interessano le tue preoccupazioni! La Base ci ha ordinato di rapire gli ufficiali medi dei Plotoni della Provincia del Nord e portarli da loro e così faremo! Se ti manca il fegato non sono affari miei, sei libero di andartene all'istante."
Quasi scoppio a ridere. Io un ufficiale medio? Cioè un capitano? Ma come gli è saltata in mente un'idea simile?
Io sono un caporale maggiore, sono solamente un membro, nemmeno quello più importante, di una delle nostre squadre!  Figuriamoci di un Plotone!
A quanto pare i nostri nemici, oltre che a essere dei traditori sono anche incredibilmente stupidi. E codardi, a giudicare dalla paura che assilla il ragazzo.
Che evidentemente non sa cosa ribattere alle parole della compagna, in quanto non lo sento più fiatare.
Una brezza profumata accarezza i rami degli alberi che rispondono con fusa delicate.
Un fringuello cinguetta in lontananza.
Continuo a tenere gli occhi chiusi, cercando di sfruttare questo vantaggio per appropriarmi di quante più informazioni possibili, mentre i miei polsi lavorano febbrilmente.
"D'accordo." Sbotta alla fine quello che la compagna ha chiamato Genn.
"Ma rischiamo di incappare in guai grossi, credimi." Aggiunge poi.
"Sei il solito paranoico." Gli risponde la ragazza, il tono più dolce rispetto a prima. "Ora aiutami a raccogliere delle provviste, sarà un lungo viaggio." Ordina.
In quel momento, riesco a liberarmi.
Il mio cuore esulta, trionfante.
Ce l'ho fatta. Mi sfrego i polsi indolenziti, digrignando i denti per il dolore.
Poi, lentamente, apro gli occhi.
La luce quasi mi acceca, a causa del mio lungo tempo passato tra le tenebre.
Sono sdraiata sul terriccio, che è lievemente umido: è quasi finito l'inverno, ma essendo a Nord la mattina è sempre accompagnata da morbida brina.
Ci impiego qualche istante a mettere a fuoco, ma quando lo faccio vedo solo abeti e alberi secolari. I miei rapitori non rientrano nella mia visuale, il che è un bene: finché sarà così, loro non potranno accorgersi del mio risveglio.
Rimango sdraiata a terra ancora qualche istante, il silenzio che mi avvolge, il cuore a mille, l'adrenalina che, come una vecchia amica, mi ritorna a fare visita all'improvviso.
Ho una voglia matta di alzarmi e correre via, ma non ho idea di dove siano i due della Provincia del sud.
Inspiro. Espiro.
Il rombo del mio cuore diventa quasi insopportabile.
La brezza che scompiglia gli alberi mi sussurra di scappare.
Silenzio.
Lentamente, Poggio i gomiti a terra e mi tiro su, pregando, sperando che vada tutto bene.
Non succede niente.
Mi alzo in piedi, i miei occhi che iniziano a scrutare febbrilmente tutto ciò che mi circonda, i miei nervi tesi come le corde di un violino.
Ma stranamente, non vedo nessun soldato.
Il mio corpo intero si rilassa di colpo, e mi sorprendo di quanto fossi in tensione.
Tuttavia c'è qualcosa di sovrannaturale, quasi di inquietante in questa pace.
Sento un mugolio alle spalle e mi giro di scatto, la mano destra che va istintivamente alla cintura dove durante le esercitazioni teniamo la pistola. Ma non c'è nessun arma a rassicurarmi. Sicuramente i miei rapitori me l'avranno sequestrata mentre ero svenuta.
Deglutisco, mentre cautamente mi avvicino verso il rumore.
È lontano, tra il fogliame, almeno una quindicina di metri.
Un passo, due, tre.
Nessun rumore.
Continuo ad avvicinarmi, la mia mente in bianco.
Un passo, due, tre.
Il mio respiro è il mio unico compagno.
Un altro mugolio.
Ora sono vicina, forse troppo.
Mi scorgo lentamente, il cuore che mi martella nel petto.
Ma quando capisco, non riesco a non trattenere un urlo.
"Jay!"
Mi butto su di lui, le mie mani che corrono a sciogliere le corde che lo legano.
Jay è vivo, è qui con me!
"Oh Jay..."
Non dovrei farlo, ma la mia mente è troppo lenta e non riesce a fermarmi.
Gli getto le braccia intorno al collo, mentre sento una tristezza incolmabile farsi strada dentro di me.
Non so neanche io perché, ma inizio a piangere, a dirotto, le lacrime che si accavallano a vicenda sulle mie guance, implacabili.
Sento le braccia di James circondarmi, e per la prima volta dopo giorni mi sento completamente al sicuro, perché so che li dentro, tra le sue mani e il suo petto non potrà mai accadermi nulla di male.
"Sono morte... Sono morte tutte"
Singhiozzo, la consapevolezza del dolore che si propaga nel mio petto. Non ci sono più. Non erano nelle prime file, non erano in campo.
Non erano tra i vivi.
Percepisco Jay accarezzarmi piano i capelli, assaporando il mio odore, unica cosa di familiare rimasto.
"Lo so... Lo so..." Sento che anche lui ha la voce rotta, ma non capisco se stia piangendo o sia solo stanco.
"Li hanno uccisi loro, sono stati loro!"
Urlo, ma non mi interessa adesso.
Un odio cieco, scuro e tagliente mi trapassa da parte a parte il cuore.
È tutta colpa loro, solo loro.
Sento le labbra di James sfiorare il mio orecchio.
"Un motivo in più per ucciderli tutti."
Mi stacco da lui, che però mi trattiene a se. Lo guardo negli occhi, sicura di avere la sua stessa espressione selvaggia sul volto.
Dunque è così. Solo quando sarà finita riusciremo ad uscirne.
Sono stati loro ad attaccarci, ad incominciare tutto. Loro e loro solo sono gli unici responsabili per quello che è successo.
Annuisco. E così sia.
James mi sorride tristemente, il suo viso mi appare invecchiato di anni.
Lentamente mi accarezza il viso con la mano destra, l'altra che è ancora aggrappata, quasi disperatamente, tra i mie capelli.
"Pensavo fossi morta anche tu" dice in un fil di voce, e sento la sua voce incrinarsi.
Mi si spezza il cuore a vederlo così. Scuoto la testa, cercando di rassicurarlo.
"Ho intenzione di rimanere ancora per un po qui a darti fastidio" sussurro, cercando di sdrammatizzare.
L'ombra di un sorriso accarezza le labbra di James.
"Ti assicuro, tu non potrai mai darmi fastidio."
Il mio cuore accelera scioccamente i battiti.
Il mio migliore amico sembra stia per aggiungere qualcosa, ma in quel momento il rumore di passi pesanti ci blocca.
Jay si mette il dito indice sulle labbra, in segno di fare silenzio, poi mi tira giù, tra i cespugli.
Percepisco le sue braccia circondarmi, una promessa che non sono più sola.
Dalla mia posizione riesco soltanto a scorgere il terreno dove poco prima ero sdraiata.
Vedo delle scarpe entrare nella mia visuale, marroni e diverse da qualsiasi   altra calzatura abbia mai visto.
Sono come delle ciabatte, e sulla punta hanno un ricciolo che ricade all'insù.
"Raja! Vieni a vedere."
È il ragazzo. Probabilmente si è accorto della mia scomparsa, e mi avrà sentito urlare. D'altronde sono stati così stupidi da non lasciare nessuno di guardia, mentre andavano a rifornirsi.
Sento dei passi affrettati, poi delle seconde scarpe, identiche alla precedenza, compaiono.
"Dannazione!"
"Te l'avevo detto che ci avrebbero procurato soltanto scocciature."
"Stai zitto, e aiutami a cercarla piuttosto."
Mi faccio ancora più piccola tra le braccia di James, mentre il fruscio dei passi dei nostri rapitori sul terreno si fanno viscidi come un serpente strisciante.
Se ci trovano, sicuramente ci separeranno.
Il mio cuore perde un battito. È un'alternativa ancora peggiore alla morte.
Mi giro verso Jay, che ha un'espressione indecifrabile.
Dobbiamo scappare. Andare alla Provincia dell'Ovest, com'era in programma già dall'inizio.
Sento lo sguardo del mio migliore amico su di me e so che ha capito.
Lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile, ci alziamo.
Per fortuna i soldati si sono leggermente allontanati, così riusciamo a strisciare all'indietro, il respiro soffocato, lo stomaco un blocco di ghiaccio.
Sento il sangue affluire alle guance, la consapevolezza del rischio che stiamo correndo che mi è stretta addosso come un'ombra invisibile.
Sussulto impercettibilmente quando Jay mi afferra la mano, una morsa quasi disperata, la sua paura che diventa la mia, in una danza vorticosa.
Mi inizia a girare la testa, sento di stare di nuovo per crollare a terra. Forse è l'adrenalina.
Un passo dopo l'altro, il morbido tappeto di aghi di pino a ovattare ogni suono, retrocediamo sempre più nel folto della boscaglia.
Uno scoiattolo che compare all'improvviso su un tronco di un albero poco distante, quasi mi provoca un infarto.
La mano di Jay attorno al mio polso è l'unica cosa che mi da la forza di continuare a camminare, impietrita come sono.
Una folata di vento improvvisa ci scompiglia i capelli.
Forse ce l'abbiamo fatta.
Piano piano, iniziamo a girarci verso la nostra via di fuga, i nemici lasciati ormai alle spalle.
Una parte di me vorrebbe tornare indietro e ucciderli, ma so che in questo momento non è possibile. Non abbiamo nessun arma, ed è quindi di vitale importanza raggiungere al più presto possibile la Provincia dell'Ovest. Non avrebbe senso tornare indietro, perché se la nostra caserma ora fosse nelle mani del nemico, io e Jay non ne usciremo vivi. No, meglio scappare e tornare, semmai, armati e con un esercito.
Sempre che riusciremo a trovare la Provincia dell'Ovest: orientarsi nel mezzo di questa foresta non mi sembra impresa facile.
"Fermi!"
Una voce alle mie spalle mi fa accapponare la pelle.
Perché io conosco quella voce. È la ragazza della Provincia del Sud.
Il mio cuore si ferma, atterrito, e per un momento credo di essere sul punto di perdere i sensi.
"Mettete le mani sopra la testa e arrendetevi. Altrimenti sparo."
Non riesco a fare nulla, solo tenere lo sguardo fisso sul fogliame di fronte a me, crudele promessa di libertà, che mi invitano accattivanti ad andare da loro.
La mano di James non molla il mio polso.
All'improvviso, come uscite da un baratro, mi risalgono alla mente le sue parole di stanotte. "Forse, è meglio così". Forse lo è davvero. Forse dovremmo farci uccidere qui, ora. Se lo facessimo, è come se non ci fossimo mai arresi. Come se fosse una protesta silenziosa.
Ma un momento. Durante la conversazione che ho origliato prima i nostri rapitori dicevano che dovevano portarci vivi come ostaggi alla Provincia del Sud. Come mai ora la ragazza ci sta minacciando di morte?
'Sta bluffando!' Mi suggerisce una vocina nella mia testa. Ma certo. Non hanno nessuna intenzione reale di ucciderci. Non al momento, almeno.
Ed è in questo momento, che mi balena nella testa un piano. È folle, sciocco e mi rivolta soltanto pensarlo, ma forse è la nostra unica speranza.
Mi giro verso Jay, che scopro tormentato quanto me. Ma guardando la mia espressione, si tranquillizza. Pongo una mano su quella di lui che mi afferra, quasi in un gesto di saluto. Poi sciolgo la sua presa dal mio braccio, e alzo le mani in aria, sopra la testa. Vedo Jay con la coda dell'occhio fare la stessa cosa.
Sento la ragazza mettere via la pistola, poi due mani robuste mi afferrano i polsi, li traggono e li rilegano, questa volta più stretti della volta precedente.
Non faccio nessun gesto per divincolarmi, e per fortuna neanche James: evidentemente si fida di me. Spero con tutto il cuore di non deluderlo.
"Ora che li abbiamo presi, vedi di non farli scappare di nuovo. Vado a prendere le provviste che abbiamo raccolto, così possiamo subito metterci in marcia."  Sbraita la ragazza, che è bassa, gli occhi a mandorla che fanno capolino sotto una folta chioma scura. Entrambi hanno la pelle color del caffè.
Sono vestiti come i soldati di stanotte: tutto l'abbigliamento è bianco, i pantaloni larghi, ampi e a sbuffo che cascano morbidamente sulle caviglie, la maglietta di lino semplice. Sulle spalle, un mantello.
La ragazza fa sedere James per terra, prima di andarsene.
"Se al mio ritorno non ti ritrovo qui, incapperai in guai seri." Lo avverte.
Poi, a passo veloce, si allontana.
Percepisco il ragazzo che mi ha legata girarmi verso di lui.
È basso e incredibilmente muscoloso, i capelli marroni che schizzano in tutte le direzioni, gli occhi piccoli e a mandorla che mi scrutano con soddisfazione.
"Oramai non puoi più sfuggire, ufficiale. Credevo foste più svegli."
Avverto James soffocare una risata, evidentemente divertito quanto me dal colossale fraintendimento dei nostri gradi, probabilmente dovuta al fatto che eravamo, per puro caso,in prima linea quando ci hanno avvistati.
Il ragazzo si volta indispettito a guardarlo.
"Tu che hai da ridere?" Gli sbraita addosso.
No Jay, non rovinare tutto!
Mi faccio più vicina al corpo del ragazzo, socchiudo gli occhi mentre gli parlo e in un sussurro gli dico: "Lascialo perdere, è solo un' idiota."
Sia James che il ragazzo rimangono stupiti da questa mia risposta.
Sento il mio migliore amico, dietro di me, che borbotta qualcosa come "Andiamo bene..."
'Stai zitto Jay. Pensa a slegarti da quella maledetta corda.' Vorrei urlargli, ma non posso. Spero solo con tutto il cuore che lo faccia.
Il nostro rapitore lo fulmina con lo sguardo.
"Hai visto?" Mi affretto a rispondere, un abbozzo di un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo mi guarda, sembra spiazzato dal mio comportamento. Poi, lentamente, apre la bocca, getta indietro la testa e inizia a ridere di gusto. Funziona. Ha abboccato.
Mentre lo fa, lancio uno sguardo al mio obbiettivo: la pistola alla sua cintura, che probabilmente è quella che mi ha sequestrato quando ho perso i sensi.
"Sai, non sei poi così male." Mi apostrofa il ragazzo, che non ha ancora finito di ridere del tutto.
La mia mente lavora febbrilmente cercando di ricordarsi cosa fa James quando cerca di sedurre qualcuno: gli si avvicina, sussurra, dice frasi provocanti.
Così mi faccio ancora più vicina a lui, ormai solo pochi centimetri ci separano, e gli bisbiglio all'orecchio: "Anche tu non sei male."
Il ragazzo spalanca gli occhi, poi vedo fiorirgli sulle labbra un sorriso perverso. Come pensavo. Lurido verme.
Sento le sue oleose mani afferrarmi la vita e attrarmi verso di lui. Reprimo a stento il ribrezzo e la pelle d'oca. Fortunatamente lui non se ne accorge. Probabilmente perché è un imbecille.
"E allora, cosa vogliamo fare?" Mi bisbiglia a sua volta, le nostre labbra troppo, disgustosamente vicine.
Cerco di non pensare a quello che sto per fare, mentre la mia bocca copre quei pochi centimetri che ci separano.
È un bacio sporco, sbagliato, e mentre lo do ho solo in mente l'immagine di Rachel, Frederica, Emily, Paul e, forse Philippe, morti.
Ma non mi fermo, anzi cerco di essere il più sensuale possibile, perché solo così possiamo avere una vera possibilità di scappare.
Sento le sue mani scendermi lungo i fianchi e un brivido mi percuote da capo a piedi.
Quando ho finito, mi stacco da lui, ma di poco.
"Il prossimo passo potrebbe essere quello di slegarmi." Gli sussurro sulle labbra, piano.
Vedo il ragazzo combattuto, il desiderio che combatte contro il dovere.
"Stai tranquillo." Lo rassicuro. "Non ho nessuna intenzione di scappare insieme a quello sciocco." E dicendo ciò indico James, che mi lancia un'occhiata torva.
Finalmente convinto, il rapitore mi gira.
Mentre inizia a slegarmi, il suo viso si fa vicino al mio collo, che inizia a baciare, fino alla clavicola. La mia pelle rabbrividisce.
Cerco di non guardare Jay negli occhi, perché so che crollerei, così inizio a fissare un punto qualsiasi del cielo grigio, desiderando di poter volare via.
"Hai un buon sapore..." Sento dirgli.
Rimango immobile e non aggiungo altro, sperando che si sbrighi con quella maledetta corda.
Quando finalmente sento i lacci abbandonare i miei polsi, so che ce l'ho fatta.
"E ora, quale sarà la prossima mossa?"
Mi gorgoglia nell'orecchio.
Mi giro verso di lui, mentre con le braccia gli circondo la vita, le mie labbra a un soffio dalle sue.
Sento la pistola sotto la mia mano che mi saluta, come se fossi una sua vecchia amica.
Avverto l'odio sprigionarsi in tutta la sua vastità dentro di me, ormai senza freni, oscura presenza che mi incoraggia.
Afferro l'impugnatura della pistola, sicura.
Il ragazzo si scosta da me, l'espressione sul suo viso che emana solo sorpresa.
"La prossima mossa è uccidere te."
Sgancio il revolver dalla sua cintura, mentre il mio rapitore mi spinge all'indietro.
Rotolo per terra, la presa ben salda sull'arma che ho in mano, mentre il ragazzo inizia a correre. Questa volta è il suo turno scappare. Ma non gli lascerò questo privilegio. Chissà quanti dei nostri ha ucciso, quel verme.
Non mi concedo nemmeno il tempo di alzarmi da terra, rimango sdraiata su un fianco, il braccio che ha la pistola teso e letale. Il mio occhio sinistro si chiude, per prendere meglio la mira.
Non gli sparerò nel petto, potrebbe avere il giubbotto anti proiettile.
No. Mirerò alla testa, così tutti quei pensieri cattivi smetteranno presto di esistere.
Il tempo si dilata mentre ogni cosa sembra fermarsi, la corsa del ragazzo, il mio respiro, il vento che mi accarezza il viso.
Il rombo del battito del mio cuore è l'unica cosa che sento.
Poi uno sparo.
Il ragazzo cade a terra, morto.
Ce l'ho fatta. Il mio cuore inizia a ballare una danza di vittoria, esultante.
Questo è per Rachel. Per Frederica. Per Philippe. Per tutti i miei compagni caduti.
Poi tutto mi ripiomba addosso come una secchiata d'acqua gelida, ed il tempo inizia nuovamente a scorrere implacabile.
Dobbiamo fare in fretta. La ragazza arriverà presto.
Mi volto verso Jay, che per fortuna si è slegato, nel frattempo.
"E così" inizia, mentre mi afferra per le spalle e mi tira su "sono un idiota". La sua voce è tra il divertito e l'ironico.
"Oh smettila, lo sai che ho dovuto farlo." Ridacchio, divertita dal suo disappunto.
"Lo so, lo so. Ma non credere che me ne dimenticherò in fretta." Dice, mentre fa finta di essere indignato.
Gli tiro una pacca sul braccio, cercando di nascondere il mio divertimento.
"Genn!" L'urlo straziante della ragazza alle nostre spalle mi riporta alla realtà.  È seduta di fianco al corpo del ragazzo, singhiozzante, incapace di fare nient'altro se non invocare il suo nome.
"Dobbiamo ucciderla." Mi intima Jay, la voce terribilmente dura.
Ha ragione. Dobbiamo.
Alzo le braccia, il grilletto impaziente di sputare un altro colpo.
Vedo la ragazza guardarmi, il viso devastato dal dolore, che forse brama la morte anche lei, dopo aver perso il compagno.
Quell'immagine penetra dentro di me come se me l'avessero impressa a fuoco nella mente, le sue urla sue urla disperate rimbombano infernali.
No. Non posso farlo. Abbasso la pistola.
"Andiamocene." Borbotto, girandomi verso il folto della boscaglia. So che non ci inseguirà. Non ne è in grado al momento.
"Ma cosa stai facendo? Ammazzala!"
James mi raggiunge, afferrandomi per un braccio.
"Lasciami!" Urlo, e il mio grido lo fa sobbalzare.
Ci guardiamo negli occhi, ambra contro smeraldo, odio contro pietà.
Alla fine, James capisce che non cambierò idea. E decide di lasciar stare. Scelta giusta.
"Va bene. D'accordo. Andiamo." Sbraita poi, e inizia a correre. In pochi secondi, è già sparito nella vegetazione.
Lo seguo anche io dopo qualche istante.
Mentre corro, l'unica cosa che sento è l'urlo straziante della ragazza.
"Oh, Genn..."

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora