Capitolo 7

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"Dovremmo fermarci e risposare."
Sono le prime parole che James mi rivolge dopo il nostro scontro per decidere se uccidere o no la ragazza della Provincia del Sud.
So che è arrabbiato, e come dargli torto del resto: ciò che ho fatto è stato irrazionale e inconcepibile. L'ho anche trattato duramente, e questo non ricade certo a mio favore.
Annuisco, ansante. È da tutto il giorno che corriamo tra il folto della boscaglia, senza una meta precisa: il nostro unico obbiettivo era mettere quanta più distanza possibile tra noi e i nostri rapitori, senza badare a dove stessimo andando. Ma ora, dovremmo cercare di capire come fare ad arrivare alla Provincia dell'Ovest.
Non sappiamo neanche dove siamo, per non parlare del rischio che stiamo correndo: potrebbero esserci altre pattuglie di soldati della Provincia del Sud, nelle vicinanze.
Un soffio di vento gelido mi spezza il respiro e mi provoca un brivido. Inspiro l'aria tagliente della sera, i miei polmoni in fiamme dopo la lunga corsa. Il fischio di una civetta, da qualche parte su un ramo sopra di noi mi fa capire che è davvero tardi: tra poco spunteranno le prime stelle nel cielo.
La luce sta lentamente scemando, il tramonto ormai svanito, una luna nascente che lentamente si aggrappa al seno della volta celeste, avida di vita. Chissà se Rachel è lassù. Chissà se mi sta guardando, se ha capito perché non ho ucciso quella ragazza. Se si ricorda di me.
La tristezza mi pervade come una dolce marea, gonfiandosi in tutto il mio corpo. Sento una lacrima scendermi lungo una guancia, quasi in un saluto per la mia migliore amica.
La asciugo velocemente, il mio orgoglio che prega che James non mi abbia visto.
Ma girandomi, mi accorgo che mi sta guardando, un'espressione indecifrabile sul viso. Pietà mista a rabbia, credo. È qualcosa di orribile, comunque. Rimane in silenzio, senza dire una parola, forse non sapendo bene cosa fare. Ed è proprio questo che mi fa arrabbiare, probabilmente scioccamente.
"Vado a cercare delle provviste." Dico seccamente, e prima che lui abbia il tempo di rispondere sono già corsa via.
Le mie gambe protestano, i miei polmoni sembrano sul punto di scoppiare. Ma non mi fermo, non posso. Se lo facessi crollerei. Ed è un lusso che non posso permettermi.
Sento James urlare il mio nome, ma a quel suono accelero ancora di più, perché non voglio che mi veda così, perché è arrabbiato con me, perché non capisce. Forse sono pazza.
Forse gli ultimi avvenimenti mi hanno portato via il senno, riducendo il mio corpo ad un guscio vuoto.
L'urlo della ragazza della Provincia del Sud mi ritorna in mente, vivido, come se io stessa avessi provato quel dolore squassante.
Quasi non mi accorgo di essere dentro ad un torrente, le ginocchia che faticano per lottare contro la limpida corrente.
Rimango a fissare l'acqua lucente alla luce delle stelle, le onde scure che giocano tra di loro, schizzandosi con spuma candida. Chissà quanto ho corso. E dove sono. Non lo so, e non mi interessa. Sono sola, e questo mi basta.
Chiudo gli occhi, mentre il mio respiro ritorna regolare. Le mie orecchie, prima sorde, ora colgono l'immensità dei suoni che pullulano la foresta, lo scrosciare dell'acqua, l'ululato del vento che mi accarezza, simile ad una madre affettuosa, i capelli.
Mi inginocchio nel torrente, rendendomi conto solamente ora che muoio di sete. È da un giorno che non tocco né cibo né acqua, e mentre la mia gola si rinfresca, il mio stomaco si risveglia brontolando.
Con la mente, rivado al mio amato zaino pieno di viveri che mi ero preparata in caso di attacchi, alla caserma. Quanto vorrei averlo preso, ora.
Scrollo le spalle. Non sarà difficile procurarsi del cibo, in ogni caso. Ho una pistola, so prendere bene la mira e la notte mi consente di mimetizzarmi meglio.
Così esco dall'acqua, avvicinandomi alla boscaglia. Faccio un lungo respiro, prima di rientrare.
La foresta intorno a me, ora che ho la mente lucida, mi appare pulsante e piena di vita.
Appoggio i piedi a terra con cautela, senza fare alcun rumore. Il mio respiro è più lieve di un fruscio di vento. Il colore della mia ombra è identico a quello del bosco intorno a me. Qua nel folto della boscaglia l'aria è più fresca, e gli alberi alti non fanno passare la luce dolce delle stelle chiare. L'odore intenso e pulito degli aghi di pino riempie l' aria. La tranquillità di questo posto mi riempie il cuore, prima affannato, di pace.
Mi inginocchio sul terreno morbido, cosparso di pigne e felci, per esaminare le tracce. Vedo impronte di conigli, una di un cinghiale solitario e quella di una lepre. Decido di scartare sia i primi, poiché sono troppo piccoli e dovrei ucciderne più di uno per sfamarci, sia il secondo: dalla profondità delle orme lasciate capisco che è un maschio adulto, troppo pesante da trasportare nel caso lo uccidessi, e comunque pericoloso; Un rischio che non voglio correre in questo momento. Così opto per la lepre. Mi rialzo e inizio a seguirla. È da tanto che non caccio, ma credo di riuscire ancora a cavarmela: nelle fasi iniziali di addestramento, alla caserma, la prima cosa che ci hanno insegnato è stato come sopravvivere in casi simili a questo, incluso il saper cacciare, riconoscere le piante commestibili, quelle curative e così via. Scuoto la testa, cacciando via da me questi pensieri. Non è né il momento né il luogo adatto a loro.
I miei occhi aguzzano la vista, per trovare eventuali impronte o segni che mi facciano verificare la giusta direzione che ho intrapreso. Le tracce che trovo in seguito, un ciuffo di pelliccia candida e dei fori sul terreno -chiaro segno che la lepre si è fermata a scavare il suolo alla ricerca di qualche germoglio- mi confermano che sono quasi arrivata dalla mia preda. Infatti, poco più avanti, la vedo. In un piccolo spazio aperto, si sta abbeverando con la rugiada delle foglie. Mi inginocchio nascondendomi dietro a un fitto cespuglio di ginepro, e scruto la mia preda. È bella in carne: nonostante il rigido inverno se la deve essere cavata bene. È anche di una media stazza. Guardarla mi fa venire l' acquolina in bocca. Mi sfilo dalla cintura il revolver silenziosamente. Poso il dito sul grilletto, che ormai mi accoglie come un vecchio compagno. La fisso per un istante. So che non sbaglierò la mira. Mi sposto con cautela per avere maggior spazio di manovra. Noto che, tra gli appuntiti rami del ginepro, vi è un buco, probabilmente causato dal peso eccessivo della neve di qualche mese fa. Per me è perfetto. Mi metto vicino al pertugio, dove faccio affacciare la canna della pistola. Tendo le braccia, sentendo l'arma viva e vibrante tra le mie mani: come se fossi con essa una cosa unica. Fisso la mia preda. Inspiro. Espiro. Premo il grilletto. Un secondo dopo, la lepre è stesa a terra. Esco dal cespuglio e vado nella radura. prendo in mano il corpo della lepre, ancora caldo, un senso di soddisfazione che mi pervade. Sono ancora brava.
"Tu" sussurro al corpo ancora pieno di vita della mia preda "mi sfamerai ben bene".
Prendo una boccata d'aria. No, non sono ancora pronta per tornare indietro e affrontare James. Così decido che forse posso cercare qualche erba per aromatizzare la lepre.
Mentre, nella semioscurità, frugo con lo sguardo ogni più piccola superficie, inizio lentamente a tornare verso la direzione da cui sono fuggita. Lo zampettio di uno scoiattolo sopra un abete, alle mie spalle, mi accompagna.
Il bramito di un cervo, in lontananza, sembra quasi un saluto.
L'ululato di un lupo, da qualche parte sulle montagne del Nord, alle spalle della nostra Provincia, si intreccia con quello del vento, in un canto melanconico e struggente.
Mentre passeggio, a volte trovo una sporadica ortica, o qualche pianta di alliaria, che raccolgo: daranno sapore alla lepre.
Quando ritorno nel punto in cui ho lasciato James, vedo che ha acceso un fuoco, ormai spentosi, e le ultime braci scintillano ancora, un addio lucente prima della loro morte, ormai prossima. É seduto, la testa fra le mani, le spalle appoggiate ad un pino.
Quando mi vede, mi corre incontro.
La luna gli illumina il volto bellissimo, in questo momento trasfigurato dalla rabbia. Ahi. Guai in vista. Ho una mezza idea di fare retromarcia e tornarmene indietro da dove sono venuta, ma lui sembra capire le mie intenzioni e mi afferra saldamente per gli avambracci, in una stretta un po' troppo energica.
"Ma si può sapere dove ti eri cacciata?" Mi urla in faccia. Non l'ho mai visto così, e per un momento mi fa quasi paura.
"Sono... Sono stata ad un ruscello che c'è qui poco distante e ho cacciato questa." E dicendo ciò alzo la mano destra, quella che regge la lepre e le poche erbe trovate.
Noto il suo viso rilassarsi di un poco, la sua stretta si allenta.
"Quindi... Quindi sei stata tu a sparare?" La sua voce è piena di apprensione, e mi sento quasi lusingata.
Annuisco, guardandolo negli occhi.
Lui rimane lì, fermo, a fissarmi per lunghi istanti. Poi mi attira a sé e mi abbraccia, e lo fa in una maniera tale che solo adesso avverto quanto abbia bisogno di me in questo momento.
"Jay..." Sussurro, cercando di tranquillizzarlo, e a queste parole lo sento stringermi ancora di più, sollevandomi alla sua stessa altezza.
"Credevo ti avessero trovata, credevo..."
La sua voce si incrina, e per la prima volta in tutta la sua vita lo sento singhiozzare, piano. È un suono bellissimo, ma così triste che mi si stringe il cuore.
"Smettila..." Gli sussurro.
"Appena ho sentito lo sparo sono morto di paura, ti ho cercata dappertutto e non ti ho trovata..."
"Stai zitto, ti prego..."
"Allora sono tornato qui, sperando, pregando in un miracolo..."
Un altro singhiozzo, e ho voglia di piangere anche io.
Lascio cadere a terra la lepre che, mi accorgo solo ora, avevo ancora in mano. Lentamente, gli passo una mano tra i folti capelli, piano, dolcemente. Sento il suo respiro spezzarsi, per poi continuare più delicatamente.
"Stai tranquillo, sono qui, va tutto bene" gli sussurro.
Rimaniamo così, stretti in quell'abbraccio per quello che mi sembra un'eternità, felici di essere lì, di godere l'uno dell'altra.
Quando mi sembra che si sia calmato del tutto, mi scosto da lui.
"Credo che sia arrivato il momento di mangiare." Dico, e dal suo sorriso capisco che è ritornato il mio solito Jay.
Con il fuoco acceso abbiamo più possibilità di essere trovati dai soldati del Sud, ma abbiamo fame e non molta altra scelta, comunque.
La lepre ci mette poco più di mezz'ora a cuocere, e quando finalmente la togliamo dallo spiedo (improvvisato con dei rami secchi) ci avventiamo sulla carne, famelici.
Il sapore non è dei migliori, ma tutto sommato é meglio di niente.
"Sai, non sei male a cucinare." Mi canzona il mio migliore amico con la bocca piena, seduto vicino a me, accanto al fuoco scoppiettante.
Gli dò una spallata, ridendo.
"Attento a quello che dici, se non vuoi finire anche tu su uno spiedino." Lo minaccio, mentre lancio nel fuoco il rametto ormai spolpato che ho in mano, per rendere il tutto più teatrale.
Jay rimane a guardarlo mentre brucia nel fuoco, una stupida espressione sul viso che credo sia finta paura.
"No sul serio. Dovresti fare la cuoca."
È troppo. Mi giro, con l'intento di tirargli un pugno scherzoso, ma James è più veloce e mi blocca la mano. Cerco di liberarmi dalla stretta, ma lui non mi lascia andare, un ghigno divertito sulle labbra perfette.
"Lasciami!" Rido, divincolandomi.
"Perché dovrei?" Mi risponde, negli occhi un lampo di divertimento.
"Perché rivorrei indietro il mio braccio!"
Jay ride, ma non allenta la presa.
"Ad una condizione." Mi propone poi.
"E cioè? Che ti prepari il dessert?"
Il mio migliore amico mi sorride, scuotendo lievemente la testa.
"Che mi spieghi perché diavolo non hai ucciso quella maledetta ragazza."
Il suo tono è dolce, ma le sue parole mi trafiggono il cuore. Tutta l'angoscia che durante la caccia era svanita, ritorna a me, implacabile.
Sento il mio corpo irrigidirsi, e quel terribile urlo si propaga nuovamente in tutto il mio essere, come un canto struggente.
Mi scosto bruscamente da James che mi lascia andare, e mi avvicino al fuoco per ravvivarlo. La danza ammaliante delle fiamme mi riscalda, infondendomi coraggio.
Rivedo il volto della ragazza, disperata, che invoca la morte, sapendo che forse sarebbe stata l'unica cosa che le avrebbe dato sollievo.
Scuoto la testa, cercando di scollarmi di dosso quell'immagine.
Dietro di me, sento James alzarsi, venendo ad accovacciarsi davanti al fuoco, vicino a me.
"Non sono arrabbiato... Non più. Quando..." Sento la sua voce affievolirsi, ma non trovo l'energia sufficiente per girarmi a guardarlo, ora "quando sono venuto a cercarti, dopo aver sentito lo sparo, lo ero eccome." Ricomincia. Il suo tono è dolce, rassicurante. "Ma dopo averti chiamata a lungo, e non trovandoti, mi sono spaventato. Ho iniziato a pensare a te, e ho capito che c'è una buona ragione se non l' hai uccisa."
Il mio cuore perde un battito. Pensava a me?
"Voglio solo capire." Sento che prende le mie mani tra le sue. La sua stretta mi dà la certezza che con lui posso confidarmi. Che è qui per me.
Continuo a guardare il ballo sempre più intenso del fuoco, come se tante piccole danzatrici dorate, rosse e blu stessero ballando per il cielo. Mi danno la forza di parlare.
"Non l'ho fatto perché..." La voce mi muore in gola. No, devo dirlo. Altrimenti il fantasma di quella ragazza mi perseguiterà per sempre.
"Quando ho alzato la canna della pistola e l'ho puntata su di lei" ricomincio, più sicura "volevo solamente ucciderla. Non credere che avessi sentimenti diversi da quelli che avevi tu."
Le sue mani stringono ancora di più le mie. Continuo a fissare il fuoco.
Mi ricorda molto il mio stato emotivo. Ardente e selvaggio, ma basta un soffio di vento a spegnerlo.
"Ma... Ma poi..." Sbatto gli occhi, le mie guance non possono fare a meno di arrossire. "Mi... Mi sono riconosciuta in lei. Ho... Ho pensato che se tu.. Se tu dovessi..."
Credo di avere il volto dello stesso colore del fuoco accanto a noi.
"Bhe ecco, io credo che mi sentirei come si è sentita quella ragazza guardando il compagno morto."
Ecco, l'ho detto. Tutto il turbamento che avevo, è come se si fosse dissolto nel nulla, volandosene via trasportato dal vento. Mi sento rinata.
Avverto James lasciare le mie mani e un terribile imbarazzo investe tutto il mio corpo.
Ma quando mi prende il viso tra le mani e lo gira verso di sé, ho già dimenticato tutto.
Solo ora ho la forza di alzare gli occhi verso di lui, che scopro grandi e pieni di dolcezza. Pieni di me. È la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita.
"Andy." La sua voce è delicata come la nascita di un fiore. "Io ti prometto che non ti lascerò mai sola."
Sento il terreno mancarmi sotto i piedi. Il suo viso si avvicina al mio, come se avesse bisogno della mia vicinanza per continuare a vivere.
"Promesso?" Sussurro. Le nostre labbra sono ormai a un soffio l'una dall'altra.
Lo vedo sorridere, e nel farlo il suo respiro profumato si propaga dentro di me.
"Lo prometto." Le sue mani mi iniziano ad accarezzare il viso, mentre quella destra scivola delicatamente tra i miei capelli, avvicinandomi ancora di più a lui.
Il mio cuore è impazzito dentro al mio petto, e prego con tutta me stessa che non si senta.
I nostri respiri si fanno più affannosi, l'uno che brama l'altro, simile a due amanti.
"Sei proprio un idiota." Gli bisbiglio sulle labbra.
Lo vedo ridere, in memoria della nostra conversazione di stamattina, le labbra che si schiudono lievemente, facendo intravedere i suoi denti candidi.
"Un idiota carino." Sussurra lui, provocante.
Poi mi attira ancora di più a sé, i nostri corpi che si modellano perfettamente l'uno all'altro, come due pezzi di uno stesso, bellissimo insieme.
Sento il mio corpo fremere ad ogni suo tocco, il desiderio di lui che mi assale, mi rende sua schiava. La mano che era ancora sul mio viso scivola sulla mia vita, accompagnandomi a lui.
"No non lo sei." Gli rispondo in un soffio.
Ormai i nostri nasi si sfiorano, e questo contatto proibito è così bello che vorrei rimanere qui, così, per sempre. Lentamente, gli passo una mano tra i suoi bellissimi capelli, e quel contatto lo fa sussultare. L'altra la appoggio lievemente sul suo viso, mentre assaporo i suoi tratti, scendendo giù per lo zigomo perfettamente scolpito, fino ad arrivare alle labbra piene. Mi fermo, l'indice posato su di esse, felice di poter assaporare così tanto di lui. James mi bacia la punta del dito, ed il mio cuore sobbalza. I suoi occhi sono puntati sui miei, ardono come due pezzi di carbone, frugano dentro me stessa come se fossi un enigma irrisolvibile.
I nostri visi si avvicinano ancora di più, ormai solo un battito di cuore ci separa. James piega leggermente la testa di lato, mentre le sue labbra sfiorano le mie, esitanti.
Tutto il mio essere si crepa di luce, calda e buona, che mi infonde sicurezza e coraggio, e non posso fare a meno di non ricambiare.
O almeno è quello che sto per fare, perché in quel momento sento una voce alle mie spalle che mi fa sussultare.
"Ed ecco a voi, gente, come muore il romanticismo."
Mi giro di scatto, il mio cuore galoppante. Perché io conosco questa voce.
Davanti a me, con un ghigno divertito stampato sul viso, torreggia Philippe.

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora