Capitolo 15

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L'urlo di dolore di James mi attraversa tutto il corpo, seguito da quello pieno di rabbia da parte del capo dei servizi segreti, ma ormai è troppo tardi. Sono avvolta da un mantello invisibile che mi sta dolcemente portando giù, sempre più giù, fino al centro della terra. È quasi confortante sapere che sta per finire tutto. Niente più dolore, niente più sofferenza... Solo silenzio. Mi ritrovo a sorridere, un ghigno folle di una pazza suicida. Suicida... Che strano umorismo che ha la vita. Sono un soldato, anche se ancora per poco, ho sempre pensato che la mia morte se la sarebbero presa i miei nemici, nei casi più probabili. Che sarei morta combattendo, con onore. Rispettando gli ordini. Ma non è quello che, in un certo senso sto cercando di fare? Non è per salvare la vita di chi amo che mi sono buttata giù da quella ringhiera?
Sì, ne sono sicura. Ma allora cosa c'è che mi tormenta tanto, perché non sono fiera di morire così?
"Andy!" Quella voce. Apro gli occhi e lo cerco, ed è la mia rovina. Lui è lì, mi sta invocando con tutto sé stesso, le braccia forti che si divincolano come matte dalle catene, il petto muscoloso che si muove su e giù affannoso, la ferita al ventre che pulsa. Cerca il mio viso, i nostri sguardi si incatenano l'un l'altro, si frugano l'anima, un legame eterno che ci unisce e ci lega.
Vedo una lacrima solcargli una guancia. Un'unica, scintillante lacrima. Il mio cuore perde un battito. Non ha mai pianto in tutta la sua vita.
Le sue labbra stanno scandendo qualcosa. Cerco di frenare la mia discesa, ormai mancheranno pochi metri al suolo. Concentro tutta me stessa, ogni parte del mio essere per captare le sue parole. Voglio sia la mia ultima immagine prima di morire, voglio imprimermi questo momento per sempre nella memoria, così lo porterò con me, ovunque io sarò, una volta morta.
"Resta con me."
La mia caduta d'un tratto si fa molto più lenta, così come il rombo del sangue nelle mie orecchie e ogni cosa intorno a me. Sento qualcosa intrecciarsi nella mia mente, unirsi in un nodo indissolubile. Ecco perché non sono fiera di morire così. Perché sto rinunciando a combattere, perché mi sto arrendendo. Perché sto voltando le spalle all'amore e alla vita. Quando ero là sopra, sulla balaustra, mi sembrava di non avere altra scelta. Ma mi sbagliavo. C'è sempre una scelta. E io ho preso la mia. Quella di restare e combattere al fianco del ragazzo che amo.
In quel momento vengo catapultata nuovamente alla realtà, e solo ora mi accorgo che mancano pochi piedi allo scontro col terreno. No, questa volta mi impongo di non aver paura. Devo portarci via di qua, devo reagire. Solo dopo potrò piagnucolare. Chiudo gli occhi e lascio che l'istinto e gli insegnamenti degli istruttori alla nostra caserma, mi attraversino. Sgombro la mente da qualsiasi cosa, e capisco di non essere mai stata così lucida. Mancheranno ormai pochi centimetri all'impatto.
'Ora!'
Di scatto ruoto su me stessa, al fine di arrivare a terra a pancia in giù, la testa alta, le gambe e le braccia piegate. Poi, appena sfioro la superficie del pavimento, mi lascio rotolare a sinistra. Quando vado a sbattere con il gomito contro il muro che delimita la stanza impreco. Un dolore sordo e lancinante si sprigiona in tutto il mio braccio sinistro, ma non è questo il momento adatto a piagnistei. Con un balzo sono in piedi. Non ho nemmeno il tempo di ragionare, corro verso l'uomo più vicino a James e gli assesto un forte calcio in mezzo alle gambe. Ho solo un secondo per guardarlo accasciarsi agonizzante a terra, poi uno spostamento d'aria alle mie spalle mi fa voltare di scatto, facendomi schivare un pugno ben mirato alla giugulare, dal secondo uomo che voleva torturare James. Ho i polsi legati, ma questo non basterà a fermarmi. Schivo un altro colpo del mio avversario, poi contrattacco con un calcio al ventre. L'uomo barcolla, ma non è ancora sufficiente a fermarlo. Con una rabbia sempre più crescente che mi attanaglia lo stomaco, roteo il bacino su me stessa, colpendo il mio nemico in pieno petto, facendogli perdere tutta l'aria che aveva nei polmoni e mandandolo disteso per terra, svenuto.
Sospiro, il mio cuore in subbuglio, il respiro affannoso. Poi mi dirigo senza alcun indugio verso gli strumenti di tortura attaccati alla parete. Devo liberarmi da queste infernali manette. I miei occhi scivolano velocemente sulle varie armi. Devo sbrigarmi, tra poco ne arriveranno altri e senza mani libere sarei ben presto sopraffatta.
Poi la vedo. Una specie di mazza chiodata, piena di sottili sporgenze rettangolari spesse quanto un foglio di carta ma resistenti, fatte probabilmente in acciaio. L'arma è all'altezza della mia testa, così devo allungare le braccia per raggiungerla. Inserisco una di queste lamelle nel meccanismo di chiusura in modo che scorra contro il dente, stringendo la manetta di una tacca.
Delle urla alle mie spalle mi fanno saltare il cuore in gola. Devo muovermi. Gocce di sudore mi scivolano lungo il collo e la schiena, il mio corpo è un fascio di nervi.
Spingo con tutta me stessa la lamella contro le manette, poi le apro.
Ma non succede nulla. In un lungo, interminabile minuto capisco di essere rimasta incastrata. Le grida dietro di me si fanno sempre più forti. Forse hanno raggiunto James... No. Non lo permetterò. Un rosso velo di rabbia scende sopra di me, rendendomi più forte, più furiosa. Inizio a divincolarmi come una matta, imprecando a denti stretti. Poi, finalmente, quell'oggetto infernale mi lascia andare. I miei polsi sono sanguinanti e scorticati, ma in questo momento non sento nemmeno il dolore. Inspiro, rendendomi conto che ho bisogno di un'arma. Scorgo una pistola corta semiautomatica e me la allaccio alla cintura. Poi prendo un'ascia. È lunga, la falce è larga e spessa. Non oso neppure immaginare quali tipi di torture possa aver causato, so solo che mi serve. Mi giro di scatto, appena in tempo per vedere altri cinque uomini entrare di corsa nella stanza. Sollevo la testa: il capo dei servizi segreti è sparito. Maledetto.
Poi non ho tempo di pensare a nient'altro.
L'uomo più vicino ha quasi raggiunto James. Succede tutto in un nano secondo: sento il mio braccio destro, quello che regge l'ascia, scagliarla contro le catene che imprigionano James, che si accascia a terra con un leggero tonfo. Un secondo più tardi, lo segue anche il suo assalitore, l'arma conficcata nel cranio.
"James!"
Le mie gambe gli corrono incontro, la paura per le sue condizioni che si fa strada dentro il mio petto.
Lui alza la testa verso di me.
"Andy..." La sua voce esprime solo sollievo.
Vorrei con tutte le mie forze tuffarmi tra le sue braccia e farmi cullare fino ad addormentarmi. Ma non posso.
Mi inginocchio vicino a lui, che mi sfiora una guancia con dolcezza. La sua voce è un bisbiglio tra i miei capelli.
"Credevo che ti avrei persa per sempre..."
Scuoto il capo, lacrime calde mi scavano solchi profondi sul viso sporco di sabbia.
"No, no. Sono qui. Non ti lascerò mai."
Altre grida, altre voci. Dobbiamo andarcene.
"Ce la fai a camminare?"
Lo vedo alzarsi in piedi, un sorriso scintillante sulle labbra.
"Con te al mio fianco potrei anche volare."
Sento le mie labbra schiudersi a mia volta in un sorriso, poi ritorno alla realtà. Con rapidità stacco l'ascia dal corpo senza vita dell'uomo per terra, mentre porgo la pistola a James. Sarà più facile per lui da maneggiare.
"Te la senti di sparar..." Non ho nemmeno il tempo di finire la mia domanda, che tre soldati cadono a terra, morti. Mi giro a guardare l'arma che James tiene tra le dita, fumante.
"Te l'ho detto, piccola. Con te al mio fianco sono in grado di fare qualsiasi cosa."
Il mio cuore accelera i battiti, impazzito, poi mi avvento contro l'ultimo uomo rimasto. Dalla bocca mi esce un urlo di battaglia atroce, che fa accapponare la pelle anche a me stessa. Poi mulino l'ascia in aria, come se fosse l'estensione del mio braccio, come se fosse parte di me. Il mio avversario non ha nemmeno il tempo di aprir bocca. In un secondo l'arma è conficcata nel suo petto. Dalle sue labbra sgorga un caldo fiotto di sangue.
"Dove tenete rinchiusi gli altri prigionieri?" Gli ringhio, incurante di avere rivoli del suo sangue sul viso.
L'uomo non risponde, si limita a fissarmi, il respiro debole.
Lascio andare l'ascia, posizionando un piede sul petto del mio nemico.
Lo vedo contorcersi dal dolore ma non mollo, anzi, aumento la pressione.
"Posso ancora farti soffrire, finché la morte non verrà a interrompere la tua stupida, schifosa, miserabile vita."
Gli occhi dell'uomo roteano impazziti, schiuma gialla gli fuoriesce dalla bocca. Non demordo. So che è vicino a cedere.
"D'accordo." Sputa infatti lui dopo qualche istante.
"Sono nel corridoio superiore, in fondo nelle prime due stanze a destra."
Annuisco, ma non lascio la presa sulla sua ferita.
"Dove si trova l'uscita?"
L'uomo sogghigna, e non capisco perché. Il suo respiro si fa più difficile. Devo avergli bucato un polmone.
"Sul tetto. L'unica uscita possibile è... Sul tetto."
Un terribile dubbio si insinua nella mia mente, ma prima che possa fargli altre domande lui inizia a tossire sangue, fino a reclinare il capo all'indietro. È morto.
Mi stacco da lui, afferrando l'ascia.
Dobbiamo sbrigarci. Per ora non ci sono altri uomini in vista, ma il capo dei servizi segreti avrà in mente qualcosa di certo. Dove potrà essere andato?
Scuoto la testa, correndo verso James. Non abbiamo il tempo per ipotizzare piani nemici.
"Muoviamoci!" Gli urlo, poi mi dirigo verso le scale che portano al piano da dove poco prima mi sono buttata.
Quando sono in cima, dò una rapida occhiata in giro, ma non vedo nessuno. Mi volto a guardare James. Cerca di andare il più veloce possibile, ma gli mancano ancora una decina di gradini. Esortarlo ad avanzare sarebbe una cattiveria, così mi affretto ad andare ad aiutarlo. O almeno sto per farlo, perché in quel mentre da tutti i lati veniamo circondati da uomini. Saranno almeno una trentina, e in quel momento capisco la tattica del loro capo: indebolirci il più possibile all'inizio con pochi uomini, per poi darci il colpo di grazia. Probabilmente lui sarà al sicuro in una stanza riservata a godersi lo spettacolo da qualche telecamera. Digrigno i denti, la stessa cieca furia che mi aveva accecato poco fa che riprende il sopravvento. Io non morirò qui, in una prigione buia e claustrofobica. Non lascerò soccombere il ragazzo che amo.
Non è oggi il nostro momento.
In quel mentre vedo James schierarsi al mio fianco, scrutando impassibile l'orda di soldati sempre più vicina a noi.
"Insieme possiamo farcela." Dice soltanto, tenendo gli occhi fissi sul nemico. Annuisco, facendo lo stesso.
Poi mi volto, facendoci finire schiena contro schiena.
"Io prendo quelli dietro e tu davanti."
Gli grido. Lo sento annuire impercettibilmente.
Gli uomini si avvicinano, solo pochi metri ci separano.
Tendo le gambe, ancorandomi maggiormente al suolo.
"Qualunque cosa accada, sappi che ti amo." Mi urla James.
Sto per rispondergli, il mio cuore che si scioglie e l'adrenalina in circolo che mi rendono quasi ubriaca, ma in quel momento un soldato mi si para davanti. Pochi secondi dopo la sua testa sta rotolando per terra. Mi concedo solamente un attimo per chiedermi come mai nessuno dei nostri avversari sia armato, mentre invece i loro compagni nel deserto lo erano, poi un secondo uomo mi si para davanti. Mi ci scaglio sopra urlando come un'ossessa. Un lampo di paura nei suoi occhi e poi è tutto finito. Dietro di me iniziano gli spari, poi sento solo tonfi ovattati che indicano la vittoria di James.
Non so quanto tempo passi. Secondi, minuti, forse ore intere. Trascorro quel tempo a tranciare, mutilare, uccidere qualsiasi essere vivente mi si pari davanti. Poi, non c'è più nessuno dinanzi a me. Li ho uccisi tutti. Solo ora mi accorgo che c'è il silenzio, e che James non sta più sparando. Con il cuore in gola mi giro di scatto.
Appena lo vedo, tutto il mio corpo si scioglie dalla tensione accumulata. È vivo. Ce l'abbiamo fatta.
Gli corro incontro, euforica, dimenticandomi di dove siamo, del pericolo che stiamo correndo, della sua ferita, del fatto che siamo armati.
Lo bacio come se fosse la prima volta, come se non lo vedessi da mesi, come se non avessimo un futuro. Le sue labbra sono calde, segno della febbre che lo attanaglia, la sua lingua è un balsamo per il mio cuore martellante.
Poi lui si stacca da me, troppo presto.
Lo vedo sorridere.
"Rimarrei qui con te molto volentieri, ma credo che dovremmo rimandare."
Ha ragione. Ci rimettiamo a correre, imboccando lo stretto corridoio per il quale poco tempo prima il capo dei servizi segreti mi aveva trascinato. Il soldato morto aveva detto in fondo, le prime due porte a destra. Non appena ci arriviamo, assesto un bel colpo d'ascia ad entrambe le serrature, che si aprono come se fossero fatte di burro. Il sorriso raggiante di Sarah mi infonde rinnovato coraggio, lo sguardo sollevato di Richard sicurezza.
Sento la mia amica abbracciarmi.
"Ho sentito dei rumori, credevo che foste..."
Non le dò il tempo di finire la frase.
"Siamo una squadra. E siamo bravi. Riusciremo sempre a trovare un modo per salvarci."
La vedo annuire, gli occhi scintillanti, e le dò un buffetto affettuoso sulla guancia.
Poi mi volto verso Richard.
"L'unica uscita possibile è uscendo dal tetto. Ciò vuol dire..."
"...che o chi ti ha dato l'informazione ha mentito, oppure che siamo sott'acqua." Conclude il nostro compagno di squadra per me. Annuisco. Era quello che avevo ipotizzato anche io.
"Ma come può essere? Eravamo nel deserto quando ci hanno attaccato, come hanno potuto in così poco tempo portarci in un ambiente pieno d'acqua? Alla provincia dell'est, magari?" La voce di Sarah è dubbiosa.
Alle mie spalle, sento James ridere.
"Non è così. Siamo ancora nella Provincia del Sud."
Sono d'accordo con lui. Non c'è altra spiegazione possibile. Ma allora come... Ed è in quel momento che capisco.
"Siamo in un oasi. O meglio... Sotto." Dico.
James annuisce.
"Quindi nuotando dovremmo riuscire senza sforzi a raggiungere la superficie. Senza bombole o altro. Non potrà mai essere tanto profondo."
Mi giro verso Richard, in cerca di risposta. Lui si sistema gli occhiali, in un tic nervoso al quale mi sto man mano abituando.
"Dovrebbe essere esatto. C'è da dire che un'oasi non è mai del tutto naturale, ossia che, come in questo caso, potrebbe esserci voluta una mano da parte dell'uomo per apportare maggiore quantità d'acqua e rendere il fondo più... Profondo."
Ha ragione. Ma non abbiamo molte altre scelte.
"Vale la pena provare." Sento dire a James, alle mie spalle. Gli scocco un'occhiata d'intesa.
"Muoviamoci. Abbiamo già perso abbastanza tempo." Esorto gli altri.
Poi lascio posto a Richard. È lui il più adatto a guidarci, ora. Sono pronta a giocarmi la testa che sa esattamente come è strutturato l'impianto architettonico di ogni edificio in cui si sia mai trovato. In fondo, lo ha già dimostrato nella prova che abbiamo fatto alla Provincia dell'Ovest, quando è riuscito a dirci come era stata fabbricata e di che tipo di materiale era la porta che ci stava davanti.
Infatti, poco dopo lo vedo muoversi deciso in direzione di un corridoio laterale. Tutto intorno a noi è immerso nel buio quasi totale, il silenzio che non prelude a nulla di buono. Che fine hanno fatto i soldati? Li abbiamo davvero uccisi tutti?
Un altro cunicolo, nessun rumore sospetto.
Delle scale, un ennesimo tunnel oscuro. Il respiro di James accanto a me inizia a farsi sempre più affannoso. Guardandolo, il mio cuore sprofonda. È pallido, sudato, le labbra esangui, la ferita sempre più infetta.
"Ci siamo quasi! In fondo a questo corridoio c'è l'uscita!" Sento dire a Richard, poco più avanti di noi. Sto quasi per abbozzare un sorriso di gioia, quando un sibilo raccapricciante mi fa accapponare la pelle. Non faccio in tempo a fare un'altro passo che tutta l'aria intorno a noi si riempie di fischi inquietanti. Poi, una strana puzza di marcio inizia a diffondersi intorno a noi.
C'è qualcosa che non torna, qualcosa...
In un lampo di lucidità capisco che cosa sta succedendo. Ecco qual è l'asso nella manica del capo dei servizi segreti.
Le spie mandate a combatterci avevano gli indumenti, o loro stessi avevano ingerito veleno, che ora sta reagendo con l'ambiente circostante producendo sostanze tossiche.
Per questo non erano armati: dovevano morire. Probabilmente il capo delle spie è ormai lontano da qui.
E quella stessa sostanza tossica ora ci insegue, ci brama, desiderosa di averci nella sua presa.
"Correte! È veleno!" Urlo.
Vedo Sarah e Richard scattare avanti, verso la salvezza. Inizio a farlo anche io, poi vedo James dietro di me che arranca, stremato.
No. Non lo lascerò mai qui. Torno indietro, e solo raggiungendolo vedo alle nostre spalle una nube verdastra avvicinarsi rapidamente.
"Metti il braccio intorno alla mia spalla!" Gli grido. Lui cerca di replicare, ma poi fa come dico. Grugnisco sotto al suo peso, ma non demordo. Mi rimbombano in testa le parole che mi ha detto poco fa, quando stavamo per combattere.
"Qualunque cosa accada, sappi che ti amo."
"Ti amo anche io." Sussurro.
A dieci passi da noi, Richard e Sarah sono arrivati alla porta. Ha una valvola, che stanno cercando di aprire.
Il peso di James è troppo e crollo per terra, senza più forze.
Richard sta lottando contro la maniglia, che non ne vuole saperne di aprirsi.
Un sibilo dietro di noi mi dà la forza di rialzarmi. Con un urlo viscerale mi rimetto in piedi, le mie mani che si aggrappano disperatamente al corpo quasi incosciente di James, sbucciandogli la pelle.
Anche dall'altra parte del corridoio una nube verdastra fa la sua comparsa.
Sento Sarah battere le mani, segno che sono riusciti ad aprire la valvola, poi Richard si volta verso di noi.
Ci mancano poco più di due metri, ce l'abbiamo quasi fatta...
"Quando aprirò la porta, l'acqua sommergerà l'intero edificio. Questa è un uscita di emergenza; ci sono dei campi magnetici che ci permetteranno di tuffarci per un breve tempo. Probabilmente l'uomo che ti ha dato questa informazione non si aspettava che tu arrivassi qui viva." Mi urla Richard.
Annuisco. So che è un modo velato per dirmi che sta aspettando me e James per aprirla.
Un metro e siamo liberi.
La nube ormai è alle nostre spalle, ci circonda, la puzza acre che si infila dappertutto.
Non c'è più tempo.
"Apri la botola!" Grido, proprio quando io e James siamo arrivati, lasciando cadere per terra l'ascia che fino a quel momento avevo tenuto tra le mani.
Richard non se lo fa ripetere due volte. Ho solo il tempo di dare una rapida occhiata al veleno dietro di noi e a trattenere il fiato, poi l'acqua gelida e dolce ci trascina verso di lei, trasportandoci fuori da quel dannato edificio e lavando via quella nube infernale. Poi inizio a nuotare, trascinando per una mano il corpo esanime di James, sperando di riuscire ad arrivare viva in superficie.

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora