Capitolo 29

35 3 0
                                    

Il pavimento sotto di me è freddo e liscio, composto da piastrelle di ceramica bianche. Sbatto le palpebre, la mente annebbiata, avvolta in un fastidioso torpore. Il braccio destro su cui sono distesa mi formicola, molle sopra il pavimento duro. Da dietro le ciglia la foschia si ritira lentamente.

Dove mi trovo? Che cosa è successo?

Mi tiro stancamente a sedere, il mio stomaco cerca di combattere quel senso di vertigine uncinato alle viscere. È come se mi fossi appena svegliata da un lunghissimo sonno per nulla riposante. Avverto la bocca impastata, gli occhi gonfi. Mi passo gli indici sulle palpebre, nel tentativo di schiarire la vista e i pensieri... Anche se non riesco a ricordarmi assolutamente nulla. L'unica, vaga immagine che riaffiora nella mia mente è un lungo corridoio scuro, che stavo attraversando insieme a...

Balzo in piedi di scatto, ignorando le fitte alle tempie che mi provoca il gesto. Perché sono sola? Che fine ha fatto Jorgen? Siamo ancora all'interno della Base dei Servizi Segreti?

Il mio sguardo rimbalza sulle pareti cercando di raccogliere più informazioni possibili: mi trovo all'interno di una stanza quadrata dai muri fastidiosamente candidi, il pavimento composto da una scacchiera di pianelle nere e bianche. Il cuore si stringe in una morsa di preoccupazione quando mi accorgo che non vi sono porte.

Ma allora...?

Uno scintillio improvviso sembra come una risposta al mio interrogativo interiore. Mi volto di scatto, gli occhi a posarsi su uno specchio fissato alla parete. Un'intuizione mi sfiora per un istante mentre mi avvicino al fondo della parete. La vista della mia immagine riflessa mi insinua nelle vene una fredda adrenalina. I vestiti bianchi che indossavo, tipici del Sud, sono spariti, sostituiti dalla classica tenuta di addestramento utilizzata al Nord. I miei capelli sono legati in un laccio alto, come usavo fare durante gli allenamenti alla caserma. Corrugo la fronte, quel vetro trasparente a restituirmi la mia espressione preoccupata e confusa.

Come può essere la realtà? Chi può aver architettato questa messinscena diabolica?

Chino il capo, imponendomi di ragionare... Scorgendo per la prima volta un dettaglio utile.

Perché non l'ho notato prima? C'è sempre stato?

Di fronte a me, appoggiato alla parete, un enorme tavolo bianco troneggia inquietante. Le gambe magre lo fanno sembrare un grosso ragno scheletrico, ma quello che offre sulla sua superficie potrebbe essere il mio asso nella manica. Sulla sua superficie sono disposte ordinatamente diverse tipologie di armi: mazze chiodate, asce, martelli, spadoni, catene, balestre, lance, archi, fioretti, fionde, fucili, coltelli, pistole... Tutte dipinte di nero.

Un'idea mi folgora decisa, le mie labbra si incurvano per un istante in un ghigno di sfida. Questa è una prova. Una prova che possa consentire l'accesso alle informazioni dei Servizi Segreti. Una prova che dimostri loro l'identità dell'individuo non autorizzato, assicurandosi così di far accedere solamente le persone fidate. Un'illuminazione ancora più geniale della precedente mi elettrizza la pelle, provocandomi un brivido.

E se tutto questo fosse un'allucinazione?

Sarebbe molto probabile. Anzi, mi ci gioco la testa che è un altro trucco realizzato utilizzando un qualche tipo di gas allucinogeno, magari rilasciato silenziosamente in modo tale che chi non ne fosse a conoscenza non se ne potesse accorgere...

Inspiro quest'aria asettica nei polmoni, drizzando la schiena. Ora so cosa fare.

Avanzo di un passo verso il tavolo, i pugni stretti in una morsa decisa. Devo pensare come una spia. Quale arma sceglierebbe un Sussurratore di ombre? Scarto immediatamente lo spadone, l'arco e la balestra; sono troppo caratteristici del Sud, loro nemico da sempre. Non opto nemmeno per i vari tipi di mazze, difficili da utilizzare e scomode da trasportare, specie se non si vuole essere notati. Per lo stesso motivo elimino dalla mia scelta anche il fioretto, le catene, la fionda e la lancia. Sposto lo sguardo verso le armi da fuoco, un primordiale istinto abitudinale che mi spinge a considerare la pistola come unica scelta possibile. È piccola, efficace e semplice da usare e i soldati sono abituati a maneggiarla. Allungo la mano verso il tavolo, le mie dita a sfiorare il calcio... I miei polpastrelli esitano, le iridi si voltano a scorgere il coltello... La sua lama scintillante mi fa sgranare gli occhi, facendomi comprendere in un istante quale sia l'opzione corretta.

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora