Capitolo 35

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La cella che ci si presenta davanti è umida e buia. Una minuscola finestrella rende l'aria stagnante lievemente fresca e illumina con un chiarore bluastro ogni cosa. Tutto ciò che si nota guardando fuori è un disco di luna argenteo perfettamente circolare, così diafano e distante da apparire surreale.

La canna della gelida pistola del maggiore mi proietta una scarica di freddi brividi lungo la colonna vertebrale quando si appoggia alla mia schiena. La pressione del suo polso è così insistente che le mie gambe avanzano di un passo, pur di non entrare a contatto con lui. Le suole dei miei scarponi si appiccicano lievemente al suolo nel momento in cui entro in quella stanza dal pavimento marcio. Un denso odore nauseabondo mi si insinua nelle narici morbosamente, facendomi trattenere a stento un conato di vomito.

Il suono della porta in ferro battuto che si chiude cigolante mi fa voltare di scatto, proprio nel momento in cui il nostro carceriere serra l'ingresso.

Ora siamo murati vivi in questa fogna.

Un ghigno crudele si stira sulla faccia tozza di quello che una volta era il nostro tenente, la barba ispida a rendere quella smorfia ancora più odiosa. Forse anche lui è stato attraversato dallo stesso pensiero.

<<Non è divertente pensare che una volta voi due eravate le nostre punte di diamante? E ora guardatevi, state sguazzando nella merda di altri prigionieri morti prima di voi. Forse farete la loro stessa fine.>>

Le sue parole canzonatorie penetrano quel muro di paura e delusione che mi era piombato addosso nel momento in cui avevo visto Jorgen arrendersi. Qualcosa dentro di me si affila, pronta a scagliarsi con violenza contro quella presenza così fastidiosa... Ma avrò abbastanza forze per riuscire ad ucciderlo?

Magari, diminuendo le distanze...

I miei piedi scivolano su quella consistenza collosa mentre si dirigono senza esitazione vicino alle sbarre che mi separano da lui. Una sorda rabbia mi scorre nelle viscere mentre mi avvicino, rendendomi cieca d'odio. Le mie labbra si increspano quando sfiorano le barre di ferro che mi separano da lui. La sua espressione confusa mi provoca un guizzo di ilare divertimento.

<<Certo che solo tradendo il Nord un idiota come te aveva la possibilità di fare carriera. Mi fai pena.>> il mio tono è tagliente, un coagulamento rappreso di furore.

I miei tentacoli mentali guizzano nella sua direzione, deboli e nebbiosi ma pur sempre taglienti...

Un tocco. Qualcosa mi afferra la mano, caldo e morbido ma tremendamente deciso. Il mio attacco viene completamente spazzato via da quel gesto, gli occhi iniziano a inumidirmisi, allibiti.

Mi giro a guardarlo, il viso di Jorgen una maschera di marmo. Il suo sguardo infuocato brucia scuro, aggressivo e supplicante. Le sue dita sono aggrappate alle mie con apprensione, in un turbinio di sensazioni che non riesco a comprendere del tutto... Ma in fondo è come se non riuscissi più a capirlo.

<<Non farlo.>> la sua voce sembra provenire dall'oltretomba, gli occhi famelici, i capelli scarmigliati a ricadergli come un'ombra scura sulla fronte. La sua presa è a metà fra un'implorazione e un ordine, quasi che al contempo avesse paura che l'attacco mi sfinisse e per la vita del maggiore.

Nonostante ti abbiano rinchiuso in una cella non hai ancora capito?

Deglutisco, un pulsante dolore a velarmi lo sguardo. Qualcosa dentro di me si spegne, incapace di combattere se a sabotarmi è lui stesso. Mi stacco dalle sbarre, ma i miei polpastrelli non hanno la forza per riuscire ad allontanarmi anche da Jorgen. Forse è proprio questo il mio punto debole.

Perché basta una sua parola per farmi arrendere? Perché mi sento così impotente?

<<Lei dimostra molto più buonsenso di quanto credessi, generale. Forse dopotutto abbiamo sbagliato sul suo conto.>> la voce oleosa del maggiore mi distoglie dalle riflessioni, colpendomi con forza allo stomaco.

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora