Capitolo 34

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Le mura della Caserma dell'Ovest sono molto più spesse e alte di quanto mi ricordassi. Deglutisco, la vista ad analizzare nel dettaglio quell'enorme cinta che si staglia all'orizzonte. La luce rossastra del sole al tramonto la illumina di lievi riflessi rosati, riducendo a minuscole macchie scure le sentinelle di guardia su di essa.

Chissà se lassù c'è lui.

Scuoto la testa, alcune ciocche a liberarsi dalla coda alta con cui mi sono legata i capelli. Non devo pensarci. Devo levarmelo dalla testa se voglio riuscire a portare a termine il mio obiettivo.

Ma come farai ad ignorare la sua presenza, ora che è così vicino a te?

Un ricordo mi lampeggia davanti agli occhi, fluttuanti come le nuvole arancioni nel cielo. La voce di Mark mi inonda le tempie all'improvviso, le parole pronunciate come una sentenza durante la sua confessione nella Cupola. Aveva detto che avrei cercato di riprendermelo... Ma è davvero così? O forse mi sono proposta di intraprendere questa missione suicida solo perché una parte di me non vive che per rivederlo?

Accanto a me, un nitrito mi riscuote dalle riflessioni che ho turbinose dentro la testa. Volto il capo verso lo stallone, un senso di colpa a pungolarmi il petto. È grazie a lui se sono potuta arrivare fino a qui; legarglisi mentalmente e riuscire a domarlo era stato semplice, avendo già esplorato la timidezza da preda tipica del loro carattere. Ero sgattaiolata fuori dalle mura poco prima dell'alba, quando la luna era ancora appesa al violaceo manto celeste, lievemente slavata. L'aria frizzante mi aveva fatta rabbrividire, avendo indossato solamente la tenuta a cachi militare con cui ero arrivata al Sud, troppo leggera per l'escursione termica notturna. E del resto nemmeno durante il giorno era stata in grado di ripararmi dal soffocante calore del sole. Ma ho preferito comunque indossarla, per evitare di dare meno nell'occhio una volta infiltratami nella Base.

Ora inizia la parte difficile.

Il manto dorato del giovane capobranco ha un fremito quando lo accarezzo lievemente. I suoi enormi occhioni color cioccolato mi fissano, dilatati per la stanchezza. Aveva galoppato tutto il giorno senza mai fermarsi, cullato dai pensieri dolci con cui tentavo di rassicurarlo. Il desiderio di ricongiungersi al resto della sua famiglia era palpabile e mi velava il cuore di una triste amarezza.

<<Tra poco tornerai, te lo giuro. Ma adesso devo legarti qui per un po'. Stasera saremo di ritorno, promesso.>> sussurro, la voce più pacata possibile. Il mio palmo indugia sulla pelle vellutata del suo naso, risalendo lungo il muso fino alla crespa criniera scura. Appoggio la mia fronte alla sua, lievemente. Lo sento sbuffare timidamente, a suo agio con la mia presenza.

<<Mi dispiace per quello che ho fatto, ma era l'unico modo per arrivare fin qui. Scusami per le briglie e anche per la sella. Se ti ho procurato dolore per spronarti ad andare più veloce ti chiedo scusa. Ma in fondo a volte lo fanno anche altri soldati del Sud, vero? Preferiamo fare così piuttosto che lasciarvi tutta la vita in cattività. Spero tu possa comprendere.>> il suo nitrito morbido mi scalda il cuore e per un attimo mi attraversa l'idea che abbia davvero capito. Ma in fondo perché non dovrebbe cogliere la mia tristezza? Sono un animale tanto quanto lui, siamo carne, siamo vita. Per quale motivo non dovrebbe avvertire i sentimenti come me?

Le dita della mano destra si staccano dai suoi bellissimi crini, andando a sfilare delicatamente la corda che ho legata in vita. Schiocco le labbra in un verso che spero gli risulti amichevole, mentre gliel'annodo attorno alla briglia.

<<Ti porto a brucare qui, che c'è tanta erba. Così nel frattempo puoi riposarti e rifocillarti a dovere.>> gli mormoro. Il mio braccio tira lievemente la corda; a quel movimento lo avverto fare un passo avanti, facendosi condurre placidamente.

Il cuore di un soldato [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora