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Il viaggio di ritorno fu triste ed angosciante, non pensavo ci si potesse sentire così vivi un'attimo prima e così vuoti un attimo dopo.

Vedevo attraverso il finestrino sporco e appannato, ciò che lasciavo, mi addormentavo a fasi alterne. Davanti a me avevo una signora nera insieme a suo figlio. Mi sorrideva mostrando dei denti perfettamente bianchi che risaltavano sulla sua carnagione scura, ricambiai, tornando a guardare fuori dal finestrino.

Questa volta non ci sarebbe stata Katy a sollevarmi il morale, a consolarmi e dirmi che tutto sarebbe andato per il verso giusto, non ci sarebbe stata la sua vitalità contagiosa, il suo ballare su un pullman, non ci sarebbe stata lei e questo bastava per sentirmi ancor più sola di quanto già non lo fossi.

Il tassista Si fermò facendo sosta nello stesso Autogrill di quando dovevo arrivare a Miami.

Scesi dal pullman entrando dentro, il posto era sempre logoro e puzzolente come ricordavo, e ad accogliermi trovai la stessa signora tarchiata.

"Salve" accennai Sommessa, di sicuro non dovevo avere un aspetto gioviale.

"Ciao dolcezza...aspetta io ti conosco, eri insieme a quella zuccherina bionda" affermò regalandomi un sorriso che la faceva sembrare ancora più paffuta in viso.

"Si...già" sospirai guardandomi in torno.
"Già di ritorno dopo 2 settimane?" Mi squadrò in volto, intenta a capire qualcosa, ma non ci capivo nulla nemmeno io.

"Si" sbuffai, cos'era, Un interrogatorio?!?
"Non ti è piaciuta Miami?" Domandò porgendomi un succo di mirtillo.

"È fatto in casa, assaggia, lo prepara mio marito Carl" puntualizzò soddisfatta, porgendo una tazza di caffè ad un signore anziano vicino a me.

"Si è molto bella, ma non ho trovato ciò che cercavo, ho trovato altro, ma ormai non ha più importanza" abbassai la testa, fissandomi gli stivali.

"Se ciò che hai trovato ti ha reso felice, dovresti rivedere la tua decisione" mi suggerì, prima di essere interrotta dal vocione di un uomo.
"Mio marito Carl...si arrivo diamine" mi fece l'occhiolino.

Uscii dall'Autogrill tornando sul pullman, mi misi le cuffie che mi diede Katy e ascoltai le tracce di musica latina e Reggaeton che erano salvate sopra.
Chiusi gli occhi e l'immagine dei suoi pozzi mi tornò presente, l'immagine dei suoi pozzi che mi scrutavano divertiti, quelli di quando mi guardava ammaliandomi, i pozzi di eccitazione e desiderio, e quelli troppo oscuri e profondi, talmente tanto che non avrei più potuto sapere cos'altro nascondeva, non volevo più sapere cosa ci fosse nel fondo.

Mi addormentai su quelle note, fin quando il pullman non sostò arrivando al capolinea.

Scesi ed il caldo afoso che mi ricordavo m'investì.
Camminai guardando il posto dove ero nata che non mi apparteneva più, non appartenevo a nulla, forse dovevo solo cercare il mio posto nel mondo.

Tornai a casa, aprendo la porta. Trovai bollette sotto la porta, debiti che dovevo saldare. Aprii il rubinetto dell'acqua accorgendomi che mi avevano tagliato anche quella poca con cui potevo usufruire.
Mi accasciai sul divano malconcio e mi lasciai andare ad un pianto liberatorio, poggiando i gomiti sui ginocchi, prendendomi la testa tra le mani permettendo ai capelli di ricadermi in avanti.
Gli attimi di felicità che vengono vanno vissuti perché poi non tornano più, e lo sapevo bene.

Decisi di uscire ed andare a trovare mio padre alla clinica.

Quando arrivai non c'era bisogno di chiedere la stanza, o fare falsi sorrisi. Già sapevo la strada da me, già conoscevo l'odore di farmaci che aleggiava.

Con il cuore in gola, una volta arrivata al piano, mi avvicinai nella sua stanza, afferrando la maniglia con la mano tremante.

Lo scorsi a leggere un giornale, sembrava migliorato, quando mi vide avvicinarmi alzò la testa sfoggiando un sorriso, aveva gli occhi più vispi.

"Cindy, tesoro mio" mi buttai sul letto abbracciandolo, mentre lacrime copiose scendevano, lo strinsi più forte che potevo, come se fosse l'unico appiglio a quale potessi agganciarmi.

Mi asciugai le lacrime con il dorso, ridestandomi, non volevo che mi vedesse piangere, doveva credere che sua figlia fosse stata bene in viaggio, anche se credevo che già sapesse che la mia era una bugia, non volevo raccontargli nulla, certi dolori li volevo tenere per me.

"Com'è andato il viaggio?" Mi fissò sorridente, aggiustandosi la camicia a quadri.

"Bene, mi sono divertita molto...sai" mentì come sempre, tirando su un sorriso.
"Sono contento, dicono che sto migliorando, se tutto va come previsto tra due massimo tre mesi tornerò a casa" esultò compiaciuto dei suoi miglioramenti.

"Ti trovo meglio infatti, sono felice, casa non è la stessa senza di te" confessai, ripensando a tutto ciò che dovevo pagare per saldare i conti.
"Non sarà semplice trovare dei soldi per pagare tutto Cindy cara, lo sai vero? Io non ho risparmi bambina mia." Spiegò fissandomi cupo, dandomi un lieve bacio sulla fronte, le labbra ancora screpolate.

"Lo so papà, non ti preoccupare, troverò i soldi per pagare le cure della clinica e tornerai a casa insieme a me" gli presi le mani tra le mie, stringendole.

"Sei rimasta poco in vacanza, non ti è piaciuto il posto dove sei stata?" Mi squadrò, sapevo che lui sapeva.

"Ti avevo detto che sarei stata poco" feci spallucce, controllando il battito che accelerava, mantenendo una finta serenità che non mi apparteneva.

"Ora devo andare, ho delle cose da sbrigare, ci vediamo domani" aggiunsi, in fretta, regalandogli un bacio sulla guancia.

Annuì tornando a leggere il giornale sereno.

Mi avviai verso il Fast-Food, speravo che mi avessero potuto riprendere.
Aprii la porta sentendo il tintinnio dell'acchiappasogni, quel tintinnio che odiavo più di me stessa.

Mi avviai al bancone, quando appoggiai le mani sopra ticchettando con le unghie, Cameron alzò la testa sgranando gli occhi azzurri.

"Cindy, ma chi si vede, la mia dipendente preferita, dove sei stata?" Chiese con il tono da casca morto che aveva sempre avuto.

"Ho avuto da fare, è ancora disponibile il posto per me?" Domandai schietta, senza troppi giri di parole.

"Lo sai che questo posto è sempre aperto per te" affermò mentre metteva i fazzoletti dentro il porta tovaglioli di metallo.
"Quindi...è un si?" Chiesi alzando il sopracciglio.

"Claro, è un si" puntualizzò, lanciandomi la divisa nera.
"Domani alle 6:00 puntuale Baby" aggiunse facendomi l'occhiolino.

Dio se l'odiavo quando ci provava, non aveva neanche l'ombra del sex appeal, e mi tornò in mente James, chissà cosa faceva, con chi era, se era ancora con lei, scacciai via quel pensiero, salutando Cam con la mano, uscendo dal Fast-Food.

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