capitolo 4.

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Capitolo 4

CHRIS

"Maturare non vuol dire rinunciare alle nostre aspirazioni, ma accettare che il mondo non è obbligato a soddisfarle." Nicolàs Gòmez Dàvila

Non era possibile dormire con Seth, di questo ne avevamo già discusso una marea di volte quando i nostri genitori si erano decisi a rimodernare le vecchie stanze ai piani superiori e spostarmi lì. Eppure l'arrivo frettoloso dei parenti aveva scombussolato parecchio la mamma che aveva dovuto occuparsi di sistemare letti e corredi per tutti, ignara del fatto, però, che gli inglesi si sarebbero portati dietro un quarto incomodo: Kevin, il ragazzo di mia cugina Celine. Così avevo dovuto lasciare la mia stanza a lui e momentaneamente per mia grande sfortuna Seth ed io eravamo finiti insieme.

Mi posizionai meglio il cuscino sulle orecchie, chiudendo gli occhi e stringendo i denti, ma nulla ... la sua musica martellante continuava a perforarmi le orecchie anche con tutto quel cotone tra me e lui. Mi rigirai, incenerendo con lo sguardo quella figura immobile, con gli occhi aperti puntati al soffitto e le braccia lungo i fianchi. Sembrava morto, eccetto per la lampadina tascabile che di tanto in tanto accendeva e spegneva senza alcun motivo.

- Seth!!! Ehi, Seth!!!! - mi mossi come un terremoto tra le coperte prima di sollevarmi da lì e togliere con violenza le cuffie dalle orecchie di mio fratello che continuò a guardare il soffitto. - la vuoi finire? Abbassa questa musica, non riesco a dormire! Lo capisci? -

- Arrangiati. - sussurrò prima di riprendersi le sue cuffie e mettersele su come se niente fosse.

- Ecco, i crimini in famiglia comincio anche a capirli adesso ... avevo dimenticato cosa volesse dire vivere con uno psicopatico per fratello. Cazzo ... - mi alzai da lì rovistando sul pavimento per trovare una t-shirt o qualcosa del genere. Me la misi, poi lasciai la stanza, sbuffando ed augurandomi dentro di me che il suo fosse un riposo eterno. Il corridoio si estendeva all'infinito e il buio era pressoché padrone di ogni anfratto, l'unica luce appena percepibile proveniva dalle finestre alla fine del corridoio e fu quella la direzione che seguii. Quella casa di notte mi dava sempre i brividi, le assi dovevano essere antiche ed il pavimento scricchiolava in continuazione. Il colpo di grazia mi fu dato dall'enorme gigantografia del nonno Richard che apparve nel bel mezzo del salotto, illuminata tra l'altro da un piccolo lume rosso. Mi si accapponò la pelle e forse mi bloccai per un istante.

- Mio Dio, che cosa lugubre ... oh, ti prego ... non balzare fuori da quella foto, ti supplico. - mi diressi quasi correndo oltre la porta d'ingresso, inserii il codice per sbloccare l'antifurto e uscii finalmente all'aria fresca della notte.

Respirai, respirai a pieni polmoni. Scesi in veranda dove mi sedetti su una delle panchine a dondolo che tanto piacevano al nonno, ricordai con un sorriso sul volto le estati passate quando lui veniva a trovarci di tanto in tanto, ci metteva sempre a lavoro. Eravamo stati io e Seth a riverniciarle di recente. Ma la calma durò poco, ben presto un'ombra scura sbucò fuori da alcuni roseti all'inizio del vialetto. Balzai in piedi, pronto a darmi alla fuga in qualsiasi momento. Scappare era praticamente ciò che sapevo fare meglio, nonché mia grande fonte di soddisfazione, ma quella sera non ce ne fu bisogno.

- Ehi ... non volevo metterti paura, sono io ... la tua vicina ... - Rachel Bradbury si fece avanti ed il suo viso venne subito illuminato dai fiochi raggi della luna. - che faccia che hai! Dovresti vederti! -

Il mio cuore allora tornò a battere normalmente – Oh, Rachel ... scusami, sono piuttosto agitato, sai. Ombre nel vialetto ... sembra il titolo di un film horror, invece è soltanto la mia vita. - dissi, tornando a sedere sulla panchina sospirando forte.

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