5. La Caserma.

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Abby.


Un ticchettio fastidioso risuona proprio vicino al mio orecchio.

Anche in paradiso hanno le sveglie?, mi chiedo, con gli occhi chiusi e il cervello semi addormentato.

Questo rumore mi ha sottratta da una dormita tutt'altro che riposante e mi ha catapultata dritta nella realtà.

Sono morta? Se lo fossi, non avrei mai il coraggio di sollevare le palpebre per vedere com'è davvero l'aldilà.

Sono viva? Ipotesi probabile, ma che non mi dà comunque la forza per aprire gli occhi e scoprire dove accidenti mi trovo in questo momento.

Intorno a me non ci sono altri rumori. Mi trovo in un posto quasi del tutto buio e sono stesa su qualcosa di morbido, ma non troppo. Sposto il braccio da sopra la pancia e tasto la zona intorno al mio corpo, sempre con gli occhi chiusi: sono coperta da un lenzuolo ruvido, attraverso il quale trapassa l'aria fredda della stanza. Questo posto non può proprio essere il paradiso, né tanto meno la mia camera da letto, per essere più realisti.

Quando la curiosità si fa più forte della paura, prendo coraggio e sollevo le palpebre lentamente: una luce fioca è appesa alla parete verdastra che ho accanto e illumina soltanto l'area ristretta al letto. Tutto il resto è avvolto nell'ombra. Di fronte a me, c'è una grande finestra sigillata da una grata. Sembra quasi di stare in un carcere.

Tiro giù il lenzuolo che mi copre con un calcio. Faccio forza con le braccia e mi metto a sedere, poggiando la schiena alla testiera di metallo del letto. La testa mi fa ancora male, ma le fitte si sono attenuate rispetto al momento in cui... sono stata attaccata per strada da un uomo fuori di senno?

Subito, si insidia nella mia mente l'immagine di un cadavere steso a terra, in una pozza di sangue. Il solo ripensarci mi fa rabbrividire fino alla punta dei piedi, e neppure lo stomaco sembra apprezzarlo più di tanto. Questo è stato l'ultimo ricordo chiaro della serata, dopodiché il buio totale. Non ho idea di che fine abbia fatto Jared, o di dove mi trovi in questo momento, né tanto meno quanto tempo sia passato.

Mi guardo intorno guardinga e analizzo velocemente la camera, per trarre qualche informazione in più. Accanto al mio letto sono posizionate almeno altre dieci brandine, scarne e con le lenzuola pulite adagiate accanto alle testiere. Tutto è estremamente ordinato: dal modo in cui gli oggetti occupano le posizioni che gli sono state destinate, allo spazio preciso e simmetrico con cui, tra un comodino e l'altro, sono piazzati i vari letti. Mi sembra di trovarmi in un ospedale della prima guerra mondiale.

Do un'occhiata al tavolinetto accanto alla mia brandina, in cerca di qualche effetto personale o, magari, del cellulare. Sfortunatamente, c'è soltanto un bicchiere di vetro pieno d'acqua, con accanto alcune pillole bianche.

«Credono davvero che sia così stupida da prendere delle pasticche senza nemmeno un'indicazione?» sbuffo, mentre ne analizzo una con la mano.

L'orologio affisso alla parete accanto a me è austero come il resto della stanza, e scandisce ogni secondo con una pesantezza unica. Sono le undici e quarantacinque del mattino. Aggrotto le sopracciglia. Qualcosa non mi torna. Fuori dalla finestra, si intravedono solo nuvole grigie, ma non si sente il cinguettio degli uccelli o il tipico rumore del traffico giornaliero.

Decido di alzarmi, per chiarire questa situazione a dir poco strana. Non appena metto i piedi a terra, mi rendo conto di essere scalza, nonostante abbia ancora indosso il vestito della serata. Mi abbasso per cercare le scarpe sotto al letto, ma non trovo nemmeno l'ombra... come svanite nel nulla. Al loro posto, ci sono un paio di ciabatte bianche, simili a quelle degli ospedali.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora