32. Acqua.

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Jared.


Se accompagnare Abby fino alla soglia della sua stanza avrebbe dovuto tranquillizzarmi, non c'è riuscito affatto. La verità è che sto girovagando per la mia camera come un forsennato, senza sapere bene cosa fare. Una risposta intelligente sarebbe dormire, ma ho talmente i nervi a fior di pelle, che sfido chiunque altro a riuscirci. Mi sento teso, sulle spine. E non è per tutta la situazione spiacevole che si è venuta a creare nel giro di quarantotto ore, no. C'è dell'altro... una sensazione di viscida irrequietezza che non riesco a scrollarmi di dosso.

La stanza è ancora soqquadro: Dakota deve aver levato le tende subito dopo averla cacciata via. Non sono pentito di averle riservato delle cattive parole. La maggior parte dei miei problemi deriva dal suo egoismo allo stato puro.

Sul comodino, però, c'è un post-it rosa a forma di cuore, con delle righe scritte a penna: "Quando ti passerà l'arrabbiatura, sai dove trovarmi. E non alzare gli occhi al cielo, quando leggerai questo messaggio. Sappiamo entrambi che mi cercherai di nuovo. D.H.". Finisco di far scorrere gli occhi sulla frase con indifferenza. In altre occasioni, avrei sorriso beffardo, probabilmente alzando sul serio gli occhi al cielo. Ma stavolta è diverso: stavolta l'ansia mi attanaglia le pareti dello stomaco, facendomi restare serio. Accartoccio il pezzo di carta nella mano e lo getto dentro al piccolo cestino sotto alla scrivania. Sospiro e provo a fare degli esercizi per il rilassamento dei muscoli.

Ho percepito che qualcosa non andava nell'aria già il secondo successivo in cui ho lasciato Abby di fronte alla sua camera: è bastato che chiudesse la porta, con quell'espressione vuota ma allo stesso tempo ferita, a farmi capire che non avrei dovuto darle ascolto. Che sarei dovuto restare lì, a costo di fare la guardia davanti alla porta come un cane. Ma per qualche assurdo motivo non l'ho fatto. Ho preferito lasciarle i suoi spazi.

Quindici minuti e cinquantasei secondi dopo, ho già archiviato la mia promessa. Ho provato a convincermi di lasciar perdere, di desistere da questa follia, ma il mio subconscio non smette di inviarmi dei messaggi di allerta, quasi come se presagisse qualcosa di brutto. E siccome di cose brutte ne sono accadute fin troppe, ultimamente, decido di dargli ascolto. Nel peggiore dei casi, me ne tornerò in camera con un sonoro invito ad andare a fanculo.

Infilo il cellulare in tasca insieme al mazzo di chiavi della Caserma e mi catapulto di nuovo fuori dalla stanza. Non mi preoccupo nemmeno di non fare troppo rumore: in questo momento, il mio unico pensiero è cercare di capire a cosa sia dovuto questo strano presentimento.

La camera di Abby si trova a non molti metri della mia: David ha pensato veramente a tutto, da quando si è sparsa la notizia dell'Ibrido. Mi faccio coraggio e busso alla porta due volte. Rimango in attesa per una decina di secondi, senza che dall'interno sopraggiunga alcuna voce.

Magari sta dormendo e non sente i rumori.

«Abby?» la chiamo, poggiando l'orecchio direttamente sul legno «Sono di nuovo io. Posso entrare un momento?»

Niente.

Busso un'altra volta, con più forza. «So che sei stanca e non hai voglia di ascoltarmi. Hai perfettamente ragione. Ma ho bisogno di vederti, anche solo per un istante, per assicurarmi che vada tutto bene. Quando ti ho lasciata eri un po'... strana. Potresti aprire la porta?»

Nella stanza continua a persistere un regime di silenzio totalitario. Non si percepisce il minimo rumore, nemmeno il più piccolo e insignificante. Sento il cuore aumentare di battito, mentre il brutto presagio inizia ad arrampicarsi lungo il mio collo.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora