48. Blue River.

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Abby.


Il ponte sospeso sulla mia testa proietta una trama di ombre fitte e grigie, che si sovrappongono al colore spento del cielo. Le macchine continuano a sfrecciare senza sosta a diversi metri sopra di me. Più in alto, stormi di uccelli si preparano a lasciare la città, in un nero flusso migratorio. Fa freddo, e i brividi che percepisco sulla mia pelle mi fanno capire di essere stata catapultata nella stagione sbagliata.

Un ragazzo su una bicicletta da corsa mi sfreccia accanto, con una radio accesa attaccata alla tasca della felpa, e continua a correre lungo la strada asfaltata bianca che costeggia il Blue River.

Inizio a camminare, senza sapere precisamente cosa fare o chi cercare. Attorno a me ci sono altre persone, ognuna persa nei propri spazi personali. Un uomo sta pescando, da solo, mentre canticchia tra sé e sé una canzone. Più avanti, due signore in tuta da jogging salgono sulle scalette che riportano alla parte superiore della strada, costeggiata da palazzi e confusione. Quaggiù, il rumore lento dello scorrere dell'acqua rende tutto più attenuato. Le persone usano la pista ciclabile per correre o farsi una passeggiata al di fuori del caos cittadino, ignorando il fatto di trovarcisi comunque dentro.

Continuo a muovermi avanti per inerzia, guardandomi qua e là con un'apparente confusione mentale. Mi sfrego le mani sulle cosce per scaldarmi e tiro su il cappuccio della felpa. Il vento è freddo e sottile come una lama. Mi avvicino con calma al pescatore, un signore con le calosce ai piedi e le gambe penzoloni, e gli picchietto un dito sulla schiena. «Mi perdoni, posso sapere...»

«Chiudi il becco, ragazzina! O spaventerai tutti i pesci» grugnisce lui, allentando il mulinello della canna da pesca.

«Mi dispiace. Posso sapere che giorno è oggi?» ritento, a bassa voce.

L'uomo, un settantenne sdentato e con il berretto da ex marinaio sul capo, si volta di profilo a scrutarmi, con un'espressione a metà tra il giocoso e il divertito. «Mi prendi in giro?»

«Ho solo perso la... cognizione del tempo.»

«È domenica, ragazzina. Ma non li leggi i giornali, tu?»

«Domenica...» rimugino, non soddisfatta «Domenica di quale anno

Il pescatore sbatte le palpebre cispose e abbassa la canna da pesca. «È uno scherzo, questo... Ma certo. O è uno scherzo, o sei una di quelle tossiche che girano per Henver. Signore del cielo, dove andremo a finire... "Di quale anno"! Dove andremo a finire...»

Scuoto la testa e supero l'anziano, che ancora borbotta tra sé e sé. Riprendo a camminare, con passi più svelti di prima, seguendo l'andamento rettilineo del fiume. Non sapendo cosa fare, l'unica scelta possibile è quella di andare avanti. Un'altra folata di vento si libra nell'aria. È violenta e trascina con sé un turbinio di foglie secche e rifiuti stradali. Alzo gli occhi verso la parte superiore della città e noto che qualcosa sta svolazzando nel cielo, leggera e ammaccata. Un foglio stropicciato precipita sulla pista ciclabile e atterra con un fruscio silenzioso a pochi passi da me. Mi avvicino e mi chino a terra: è la prima pagina di un giornale, il "The Liberal Voice". Nella parte centrale, c'è la foto di una strada. Ci sono diverse persone a terra, probabilmente morte. Sullo sfondo in bianco e nero, due volanti della polizia. Il titolo riporta "Ennesima notte di sangue nel centro della città: ancora sconosciuta l'identità del carnefice. Possibile la pista di un serial killer".

Volto la pagina per leggere il resto dell'articolo, ma mi accorgo con una punta di fastidio che è completamente rovinata da una sostanza liquida appiccicosa, che lo rende illeggibile. Sbuffo e torno a guardare la testata principale. La data stampata nell'angolo superiore attira subito la mia attenzione: 13 novembre 1992.

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