61. Vuoto Dentro.

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Jared.

Fisso con impassibilità le lingue di fuoco che ardono nel caminetto della mia stanza. Sono rosse, viola, gialle, e illuminano il nero dei mattoni, scuriti dalla fuliggine. Non hanno forma, le fiamme. Bruciano inconsapevolmente e danzano nell'aria come se non dovessero mai smettere di farlo. Come se l'ossigeno a loro disposizione non dovesse mai esaurirsi. Ma in realtà c'è una fine a tutto. C'è, e quando arriva fa male da morire.

Vorrei bruciare come il fuoco anche io.

Appoggio entrambe le braccia sulla parete e prendo un respiro calmo. Una, due volte. Lo faccio con una metodica compostezza, perché non mi sento nervoso o arrabbiato. No, la verità è che non sento più niente.

Mi chiedo in ogni momento libero della giornata che cosa ne sia rimasto di me dopo il litigioso addio con Abby, che ha sancito una nuova e profonda linea di separazione. La risposta arriva sempre confusa e ovattata, come se provenisse da una stanza insonorizzata e chiusa da cento lucchetti: nulla, mi dice. Non ne è rimasto nulla.

In realtà qualcosa lo sento ancora. È lieve, una debole sensazione in procinto di scomparire da un momento all'altro. È qualcosa che mi fa abbassare costantemente gli occhi sul polso, alla ricerca di un segno... di un segnale che adesso mi è difficile captare.

Il marchio del Vinculum è ancora lì, completamente stinto e sbiadito. È nero, ma quasi trasparente, come se fosse stato colorato con degli acquerelli. Fino a ieri c'era, forte e incontrastato, e adesso non c'è più. È davvero strana l'Alchimia.

Ma cosa mi sfugge? Cosa mi sfugge, cosa mi sfugge, cosa mi...

Qualcuno bussa alla porta della mia stanza. Mi sposto dalla parete e mi lascio cadere di nuovo sulla sedia accanto al camino.

«Non voglio vedere nessuno» rispondo con voce fredda e tagliente, gli occhi di nuovo fissi sulle fiamme che bruciano il ceppo di legno.

Vorrei bruciare anche io.

La porta si apre lo stesso e fa ingresso Janise, avvolta da un trench tortora elegante e un paio di stivali neri con il tacco basso. Si avvicina a me lentamente e mi sfiora la spalla, aspettandosi che mi volti a guardarla. Ma non lo faccio. In questo momento il fuoco che brucia è l'unica cosa che mi faccia ricordare che sono vivo e che la vita sta andando comunque avanti, anche se a me manca qualcosa.

«Jared, so che non è un buon momento, ma...»

«Perfetto, allora visto che lo sai, perché non esci dalla mia stanza nello stesso elegante modo in cui sei entrata?» ribatto con cattiveria.

Janise trattiene il respiro e lascia la presa leggera sulla spalla. Probabilmente c'è rimasta male, ma adesso non m'interessa. È lei che è voluta entrare senza la mia approvazione. Ora deve prendersi quello che viene.

«Hai intenzione di piangerti addosso per il resto della vita?» il suo tono adesso è piccato. Forse ha capito che la migliore strategia è l'attacco.

Unisco le mani di fronte a me e intreccio le dita. «E se anche fosse?»

«Non permetterò a mio fratello di chiudersi in se stesso. Puoi scordartelo. Devi riprenderti, così potrai...»

«Rispondere alle vostre domande moleste?» concludo al posto suo «È questo il motivo per cui devo uscire da questa stanza? Per farmi interrogare come il peggiore dei condannati su quello che è successo ieri in giardino? È questo che volevi dire, Janise?» mi volto a guardarla di scatto e mi accorgo di come anche il suo sguardo sia spento e stanco. Ha dei segni scuri sotto gli occhi e il sorriso teso all'ingiù. Si morde gli angoli delle labbra, come se volesse trattenersi dal dire qualcosa di fastidiosamente urticante.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora