58. Esequie Celesti.

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Jared.

«Jared, devi farti medicare quella ferita» mi ripete per la terza volta Janise, gli occhi puntati sul mio avambraccio, dove spicca un taglio rosso sangue che lo copre obliquamente, partendo dal tricipite destro fino a scendere al polso.

Se Novikov non fosse morto, sarei dovuto andare personalmente a cercarlo per complimentarmi del lavoretto pulito che ha fatto sulla mia pelle: un solo colpo di coltello da cucina, forte e mirato a farmi male, tipico di un assassino senza scrupoli. Mi ha colto di sorpresa e mi ha fatto imprecare dal dolore.

«È solo un taglio. Sopravviverò» la liquido con un gesto, mentre mi sbrigo a scendere le scale della Caserma.

È mattina e sono nervoso. Tra non molto si terranno le esequie dei Guerrieri morti durante la battaglia e ci sarà parecchia gente, altrettanto sconvolta e nervosa: compagni di vita, amici, Alchimisti, docenti e tanti, tanti parenti fuori dai gangheri per il destino toccato ai loro figli, cugini o nipoti.

Janise corre al mio fianco e brontola qualcosa a bassa voce. «Se non morirai a causa dei tuoi nemici, lo farai per via di una setticemia, lo sai?»

«Fastidiosamente drammatica.»

«Jared, non fare il ragazzino idiota. Sai benissimo che Gabriel ci metterà un secondo a spalmarti una maledetta pomata!» sbotta accanto a me.

Io mi fermo alla fine delle scale e mi volto verso di lei. Al piano terra della Caserma iniziano a circolare le prime persone dirette verso l'Aula Magna. Indossano tutte abiti scuri, così come noi. Le esequie Celesti prevedono due fondamentali regole: sobrietà e silenzio. I morti non parlano e i vivi devono piangerli senza fare rumore. È tutto molto chiaro e conciso.

«Adesso non c'è tempo, Janise» le faccio notare, lanciando un'occhiata esasperata all'orologio sul polso «Ci andrò dopo, okay?»

«No.»

Alzo gli occhi al cielo e mi passo una mano sul volto. La mia pazienza sta già vacillando.

«Il tempo c'è ed eccome» mi fa presente, spingendomi per la schiena dalla direzione opposta a quella dell'Aula Magna. Quando arriviamo di fronte al laboratorio di Gabriel, si ferma e mi fissa negli occhi «Non puoi rimandare ogni cosa, Jared.»

Sospiro e devio il suo sguardo pungente. Non so nemmeno a cosa si riferisca di preciso, se al discorso di Abby o a questo stupidissimo taglio sul braccio. In ogni caso la sua accusa mi colpisce, così mi concentro su qualsiasi altro dettaglio di poco conto che non mi ci faccia riflettere su.

Per fortuna uno spiraglio di luce proveniente dall'interno del laboratorio mi distoglie dai pensieri e mi fa aggrottare le sopracciglia. «Guarda» dico a Janise «La porta è accostata.»

Lei scrolla le spalle e le dà un colpetto, aprendola di qualche altro centimetro. «Meglio così. Almeno ci siamo risparmiati di bussare» e detto ciò s'intrufola silenziosamente all'interno, accostandosi di nuovo l'uscio alle spalle.

Io la seguo senza fare rumore. Magari Gabriel ha una visita privata e noi non dovremmo essere qui adesso. All'interno, lo studio medico è quasi completamente avvolto nell'ombra. Le finestre sono chiuse e le serrande sono tirate giù, a mangiarsi ogni briciolo di radiazione solare. L'unica luce proviene dal laboratorio, dove una piccola lampada al neon illumina un bancone da lavoro. E proprio lì davanti c'è Gabriel, in piedi e con le spalle rivolte verso di noi. Indossa anche lui degli abiti cerimoniali e dà tutta l'idea di essere capitato lì all'ultimo momento, dato che tutti i macchinari sono spenti. Sta fissando qualcosa davanti a sé, ma il muro dell'anticamera ci copre completamente la visuale.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora