29. Sensi di Colpa.

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Jared


Fisso la mia immagine ritratta allo specchio del bagno: due profonde occhiaie mi marcano gli occhi e il volto è tirato in una smorfia affaticata. Per quanto mi costi ammetterlo, ho un aspetto terribile, dettato dalla stanchezza per aver passato le ultime notti completamente in bianco.

Anche se volessi, non potrei prendermela con nessuno: la causa dei miei sonni arretrati, in questo momento, si trova nella camera da letto, a dormire sotto le lenzuola. E sono io che l'ho voluta lì. Sono io che l'ho cercata.

Di solito, non lascio che Dakota passi la notte da me, cacciandola malamente il più delle volte. Nonostante tutto, lei ha sempre attraversato il cosiddetto "corridoio della vergogna" a testa alta, come se si sentisse onorata di uscire dalla mia camera. E questo è uno dei sui aspetti che non capirò mai.

Spero che farla dormire da me per qualche ora non le faccia balzare in testa strane idee sul nostro rapporto: sa benissimo come la penso al riguardo, e ora come ora, non ho il minimo interesse nell'incastrarmi in qualche relazione. Basti pensare al motivo per cui l'ho invitata nella mia stanza: avevo bisogno di dimenticare, di non far vagare la mente all'argomento Abby, ed effettivamente ci sono riuscito. Dakota sa essere davvero interessante, quando s'impegna.

Chiudo il rubinetto del lavandino, sussultando all'improvviso. L'acqua sta scorrendo sulla ceramica da una decina di minuti, senza che me ne accorgessi. Il rumore rilassante del flusso mi fa sciogliere i nervi, ma al contempo mi riporta con i piedi per terra. Anche se il mio corpo ha dimenticato, almeno per una notte, la tensione che si è creata con Abby, la coscienza ha ripreso a lavorare senza sosta, rinfacciandomi i peggiori rimproveri e tessendo elaborati insulti.

Dalla camera mi pare di sentire un debole rumore, come di una porta che viene chiusa delicatamente. Scuoto la testa e abbasso la maniglia. Probabilmente, mi sto solo sbagliando. È notte e nessuno verrebbe a disturbarmi. Non senza prima chiamarmi al telefono.

Quando esco fuori dal bagno, però, devo subito ricredermi: Dakota è in piedi, sulla soglia, e sta sorridendo furbescamente. Indosso ha solo la mia maglietta, che fino a mezzora fa stava accartocciata ai piedi del letto. Riflettendoci, non mi sembra di averle mai dato la libertà di usare i miei vestiti.

«Cosa ci fai in pedi a quest'ora?» le domando, studiandola con l'attenzione di un predatore. Non so perché, ma la sua espressione sveglia e pimpante non mi rende tranquillo. Soprattutto, perché fino a mezzora fa stava dormendo, mentre adesso si aggira per la stanza a fare chissà cosa.

Dakota sorride ancora e si stira una ciocca di capelli neri con le dita. «Mi sgranchivo le gambe. Quando ho aperto gli occhi e non ti ho visto accanto a me, mi sono preoccupata. Mi hai svegliata» solleva le spalle e si avvicina di nuovo al letto.

Bugiarda.

«Sai che non ci casco, in questi giochetti. Cosa ci facevi alla porta?» le ripeto la domanda, rielaborandola «Hai l'espressione di una che ne ha appena combinata una. E conoscendoti, è una teoria plausibile.»

Lei ride sotto i baffi e si avvicina a me, come un gatto che si struscia al padrone. Mi poggia una mano sull'addome nudo e cerca di fare pressione, indirizzandomi verso il letto.

«È davvero così importante?» mormora in tono languido «Non so, io sono sveglia e tu anche... Potremmo utilizzare in modo migliore questo tempo, piuttosto che chiacchierare di argomenti inutili.»

So cosa sta cercando di fare. Lo capisco da ogni battito ritmato delle sue ciglia, che cercano di imbonirmi e ipnotizzarmi. Ma Dakota non è Abby, e non è dotata della Persuasione. Questo basta a scrollarmi la sua mano di dosso e fulminarla con lo sguardo.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora