25. Grazie.

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Abby.


Le ore successive all'attacco nello stabile sono trascorse in modo confusionario e rapido. È stato come se tutto intorno a noi andasse avanti a velocità avanzata, ma noi restassimo fermi.

Siamo arrivati nella Caserma in molto meno tempo di quanto ne abbiamo impiegato per allontanarcene all'andata. Jared ha guidato la Jeep come un forsennato, raggiungendo una velocità illegale in quasi tutti gli stati d'America. Io mi sono retta al sedile e ho pregato che non incrociassimo altre automobili e camion a ogni stop saltato e semaforo rosso oltrepassato. Ho anche provato ad avvertirlo del rischio a cui stavamo andando incontro, ma, ovviamente, non mi ha dato retta e ha continuato a sfrecciare per le strade di Henver come uno spericolato. Dietro di noi, sdraiata sui sedili posteriori e con la testa poggiata sulle gambe di Nolan, Janise si è lamentata per tutto il viaggio, gemendo e tossendo. Nolan le ha mormorato parole di conforto, mentre le scansava i capelli dal volto sudato.

Quando finalmente siamo arrivati nel nostro territorio, ho esalato un sospiro di sollievo: siamo riusciti a resistere all'attacco dei Sottomessi e anche alla guida di Jared.

Adesso, ci troviamo di fronte alla porta dell'ambulatorio del dottor Gabriel. È ancora notte e per i corridoi della Caserma non si vede nessuno. Nolan è stato chiamato dal signor Clint per fare rapporto sulla nostra missione fallimentare, dal momento che Jared si è mostrato tutt'altro che disponibile a farlo.

È incredibile come il suo volto sia cambiato dopo l'incidente di Janise, trasformandosi in una maschera di terrore. Non l'ho mai visto così nervoso e impotente, ed è da mezzora che non smette di fare su e giù per il corridoio, passandosi le mani sulla fronte e sui capelli.

Io mi sono accovacciata all'angolo delle scale senza fare un fiato. La mia espressione è imperscrutabile, come del resto lo sono anche i pochi movimenti del mio corpo. Non sto pensando a niente. Dentro di me alberga solo una sensazione di freddo vuoto. La mano ferita giocherella ancora con il pugnale che mi è rimasto attaccato alla cintura dei pantaloni, e lo stringe nel palmo con forza. Il sangue appena coagulato inizia a scorrere nuovamente dal taglio e il bruciore che provo mi fa sorridere. Almeno sono ancora in grado di percepire qualcosa.

La voce nella mia testa si è dissolta, scomparendo nello stesso modo in cui si è fatta spazio dentro di me: all'improvviso. Quello che mi ha lasciato è solo un senso di profonda stanchezza. È come se si fosse nutrita di me, cibandosi delle mie forze.

Anche se sto cercando in tutti i modi di non pensarci, non posso fare a meno di rendermi conto di come la situazione mi stia sfuggendo di mano: se prima questi inquietanti episodi erano limitati alla notte, traducendosi in blandi incubi, adesso si stanno a mano a mano inserendo nella vita di tutti i giorni. E so benissimo che avere delle voci nella testa è il primo passo verso la follia.

Jared batte i palmi delle mani sulla porta dell'infermeria e mi distoglie dai pensieri. «Come mai ci stai mettendo tutto questo tempo, Gabriel? Apri la porta!» sbraita.

Dall'interno non soggiunge alcuna risposta.

«Ho bisogno di sapere come sta!» sferra un calcio alla porta metallica con frustrazione.

A quel punto, sobbalzo e mi tiro in piedi. «Jared, calmati! Così non migliori le cose» mi avvicino con cautela a lui e lo strattono per la maglia per farlo indietreggiare.

«È più di un'ora che stanno chiusi lì dentro! Ho il diritto di sapere qualcosa, maledizione!»

«Gabriel ha detto che si sarebbe occupato di tua sorella. Lascialo lavorare in pace» ribatto, cercando di stabilire un contatto con i suoi occhi sfuggenti.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora