49. Chilometro Centoventi.

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Abby. 


Sento un borbottio, seguito da un colpo di tosse. Poi, il rumore di una gomma che stride a terra e il suono di sassolini schiacciati.

«Ragazzina, svegliati» tuona una voce davanti a me. È impostata e professionale. Non la conosco.

Rispondo con un gemito, ma non apro gli occhi. Non li voglio aprire. Faccio scivolare la mano sulla superficie su cui sono poggiata: è un sedile. La stoffa è ruvida e usurata, ma è un sedile.

«Ragazzina, sei arrivata» ripete la voce «Devi scendere.»

A quel punto, sollevo le palpebre molto lentamente. Ho paura di essere acciecata dalla luce del giorno, ma quando metto a fuoco la realtà che mi circonda, mi accorgo che è sera. O forse notte. Sono a bordo di un'auto sconosciuta, guidata da uno sconosciuto, seduta sui sedili posteriori. Non ho niente con me, solo una banconota da venti dollari che stringo gelosamente tra le dita.

Sbadiglio e mi porto una mano davanti alla bocca, mentre cerco di focalizzarmi sul posto in cui mi trovo. Siamo sul ciglio di una strada a grande scorrimento. Le macchine sfrecciano velocemente accanto a noi e fanno ondeggiare il nostro abitacolo.

«Che ore... che ore sono?» domando, fissando il guidatore seduto davanti. Ha lo sguardo fermo sul tachimetro e tamburella le dita con impazienza sul cruscotto a ritmo di una musica rock incalzante.

«Le due e dieci del mattino. Se non ti muovi, tra venti minuti scatta la tariffa extra.»

Cerco di mettermi più comoda sul sedile, ma ovunque mi muova, sento dolori alla schiena. Mi pare di aver dormito per un'eternità. «Mi sa dire dove siamo?»

L'uomo indica un cartello al ciglio della strada illuminato dai fari dell'auto. «Chilometro centoventi, strada provinciale Rogue. Direzione Henver nord.»

«Chilometro... Chilometro centoventi?» ripeto, senza afferrarne il senso.

«Sei stata tu a darmi l'indirizzo. Volevi che ti portassi al chilometro centoventi e io l'ho fatto. Adesso sei arrivata.»

Mi guardo intorno e vedo solo una strada buia. «Ma non c'è niente, qui.»

Lui si volta verso di me e sorride. «È quello che ho cercato di dirti anche io all'inizio. Ma non hai voluto sentire ragioni. Ti senti bene, ragazzina? Non hai affatto una bella cera...»

Sbatto le palpebre e annuisco. Chilometro centoventi... Non ho la più pallida idea di dove mi trovi. «Posso chiederle una cosa?»

Lui attiva di nuovo il tachimetro e sorride. «Anche le domande hanno un costo. Sai, la benzina è cara, al giorno d'oggi, e noi tassisti non ce la passiamo gran bene. Dimmi, su.»

«Siamo ancora nel 1992?»

A quel punto, il tassista sbarra gli occhi. Rimane con il dito sospeso tra il volante e il tachimetro. Ha le labbra socchiuse e mi fissa come se fossi matta. «1992?» ripete, schiarendosi la voce «Sicura di stare bene?»

«Certo. Ecco, a volte mi succede di non ricordare. Può... può aiutarmi?»

«Be', allora devi esserti persa qualche annetto, durante il tuo sonnellino. Siamo nel 1999.»

Spalanco gli occhi. Per poco non mi strozzo con la saliva. «Che cosa? Non è possibile... Vorrebbe dire che io sono appena nata.»

Adesso l'uomo si agita sul sedile, a disagio. «Appena nata? Ma se dimostri almeno sedici, diciassette anni...»

«In realtà, ne ho compiuti da poco diciotto» rettifico, senza badare troppo alle sue parole.

«Okay, non ti seguo. Prima dici di essere appena nata, poi ammetti di avere diciotto anni. Cosa significa questa storia?»

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora