NON VOGLIO NEANCHE PENSARE...

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05 maggio 2012

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05 maggio 2012

GIORNO + 82

Tutto ha avuto inizio in una giornata tremendamente piovosa, con grandine e vento e ora sta finendo nella stessa maniera. Durante il tragitto in macchina che ci portava all'ospedale di Varese, reparto cure palliative, abbiamo ritrovato la stessa scena: temporale, grandine, allagamenti. Sarà il destino, proprio quando accade qualcosa di veramente grave a mio figlio, e lui piange e si dispera come un matto e io insieme a lui.

Eravamo nella nostra casa, quando il respiro di Andrea è peggiorato tanto da dover usare l'ossigeno ventiquattro ore su 24. Facendogli la medicazione del catetere venoso ho notato un'enorme sporgenza dal suo piccolo petto. Con lui ho fatto finta di niente, ho accarezzato più volte il suo torace sperando che quando toglievo la mano la massa, che si sta portando via mio figlio, fosse scomparsa, come per magia, il miracolo che tanto aspetto. Ed invece no: è sempre lì enorme e pericolosa, come se volesse uscire dal suo magrissimo petto. Dopo un consulto telefonico, i medici di Monza ci hanno consigliato di cominciare con la morfina, perché Andrea comincia a soffrire fisicamente. È sempre più stanco, molto debole, ha fame d'aria, non dorme più perché i sonniferi non fanno più effetto, non mangia, è sempre steso sul divano per cercare di dormire e l'unica cosa che ripete in continuazione è : "Sono stanco" Ha smesso di lottare ormai, si sta lasciando andare e io non voglio ... e con tutte le mie forze cerco di tenerlo qui con me, ma lui ha già deciso, vuole finalmente sentirsi bene, essere sereno, quella serenità che in questo mondo non potrà mai avere. La morfina l'ha fatto addormentare, sono ore che dorme, non sente niente, né dolori alle ossa che ultimamente sono più forti tanto che neanche gli anti dolorifici gli fanno più effetto, né fame d'aria, né l'enorme stanchezza. Dorme, ha trovato la pace. Nel frattempo il medico responsabile del reparto cure palliative di Varese, soprannominato da noi genitori il "gigante buono" a causa della sua enorme corporatura, ma dall'animo umano, in contatto con noi 24h su 24, ci consiglia di portare subito il bambino da loro: non è più possibile tenerlo in casa, la situazione è troppo peggiorata per poterlo gestire. Ci dice che dobbiamo anche salvaguardare i fratelli, ancora troppo piccoli e legati ad Andrea per assistere a tutto quello che sta accadendo al fratello. Loro non fanno domande, ma osservano molto e io nei loro sguardi vedo la preoccupazione: i loro occhi e le loro orecchie sono sempre rivolti ad Andrea.

Ho promesso a me stessa che Andrea non avrebbe più messo piede in un ospedale, ma non posso mantenere fede alla mia promessa. Andrea soffre fisicamente, sta male ed è giunto il momento del più grande sacrificio che una madre possa fare: lasciare andare suo figlio, lasciarlo dormire senza più svegliarlo, perderlo ancor prima che il suo cuore cessi di battere, pur di non farlo soffrire e insieme a lui anche i fratelli.

A grande fatica e con gli occhi lucidi nascosti dalla pioggia incessante, siamo arrivati a Varese, ci troviamo nella camera "il giglio", il bambino dorme in un letto confortevolissimo, probabilmente non ha ancora smaltito la prima dose di morfina, perché non dà segni di volersi svegliare. Il reparto è bellissimo con tutte le comodità e gli agi di cui una persona ha bisogno.: Un'attrezzatissima cucina moderna, dove i parenti possono cucinare tutto quello che vogliono dalla colazione ai pranzi, il salotto con televisione, divani comodissimi, una rifornita biblioteca, con libri di tutti i generi e, se il bambino o altri pazienti se la sentono possono pranzare o passare del tempo nel bellissimo giardinetto ricco di alberi, fiori e tanto verde, allestito con tavoli, sedie panchine all'ombra, che danno un senso di pace e serenità. La stanza è confortevole, sembra di stare in un appartamento e non in un reparto dell'attesa della morte, dove l'unica terapia è quella del dolore. Sul davanzale delle finestre le infermiere hanno messo delle carinissime piantine e ai vetri delle bellissime tende. Abbiamo un divano-letto, un tavolo con quattro sedie in legno e non di plastica da sala d'attesa, armadi e mobiletti da salotto, televisore di ultima generazione e le lenzuola del letto del bambino non sono le classiche bianche da ospedale, con la scritta del nome della struttura, ma sono coloratissime e con disegnini di aerei, apposta per maschietti. Ma appena sono entrata tutto questo non ha avuto importanza, perché l'unica cosa che riuscivo a realizzare, è che era è arrivata la fine per il mio bambino. È talmente stanco e intontiti dalla morfina che non ha nemmeno obbiettato per il ricovero, l'unica cosa che è riuscito a dire al suo risveglio è " Voglio andare a Monza". Qui non è il suo ambiente, non ci sono i suoi fidati medici, le carinissime infermiere che nel portare medicine arrivano con sorrisi, disegnini allegri e simpatici sulle loro sacche di idratazione o parenterale, non si fermano a scherzare, giocare o semplicemente a chiacchierare come degli amici per qualche minuto, non arrivano volontari dal cuore d'oro a fare compagnia e a far divertire un po' i pazienti, non ci sono i clown che vengono a bussare alla sua stanza con coloratissimi camici da medico per visitare il bambino con risate e allegria, non si sentono voci e grida di bambini che giocano o piangono per una medicina che non vogliono prendere, niente di tutto questo, qui c'è il silenzio più triste, chiunque qui non parla, ma bisbiglia il dolore che sta provando per la perdita imminente della persona cara.

Il nostro gigante buono ci riferisce che la situazione non è drammatica come si aspettava ma neanche da sottovalutare, secondo lui è critica e per il momento sospendiamo la morfina. La saturazione, nonostante il drenaggio di ieri è ancora molto bassa, questo è quello che preoccupa di più, vediamo come supera la notte e le prossime ore, dopo di ché si valuterà se fare altra radioterapia. Se la situazione migliorerà, il bambino potrà tornare a casa con assistenza domiciliare, in caso contrario ...non lo voglio neanche pensare.


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