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Pov.Daniel

Non avevo chiuso le palpebre per tutta la notte, nonostante le sentissi pesanti come cemento, i pensieri che vorticavano come un tornado dentro la testa, avevano avuto la meglio.

Mi dispiaceva che Cindy e James avevano litigato, ma era rischioso lasciarlo andare, se fosse stata una trappola.
In cuor mio speravo di no, ma dovevo arrendermi all'evidenza.

Cazzo non ce la facevo. Non potevo credere che era morta. Mi sembrava surreale.
Mi alzai di scatto dal letto, aprendo la finestra. Era ancora buio fuori, vedevo delle lucciole risplendere nella notte, in mezzo a quella distesa di campi, e le stelle nel cielo brillavano come non mai. La più grande era sicuramente Lei, che mi guardava.

Presi dal cassetto il pacchetto di sigarette. Non fumavo quasi mai, ma in questo momento forse era l'unica cosa che potesse alleviarmi questo dolore che mi opprimeva le vie respiratorie. L'accesi parandomi la mano davanti, per permettere alla fiamma incandescente di non spegnersi, contro il vento che riempiva la stanza, asciugando il sudore che imperlava la fronte, tanto da farmi prudere la nuca.

Mi passai furente una mano tra i capelli, scendendo sul viso.
Mi sporsi con il busto fuori dalla vetrata, attaccando il torace contro il cornicione, tanto da mozzarmi il respiro.
Tirai una boccata, rigettando il fumo, che veniva spazzato via, amalgamandosi con il cielo.

Era grigio piombo, come me dentro.
Non volevo che nessuno sapesse, ma mi ero legato a lei. Deve esserci sempre un motivo? Succedono forse per caso, forse nel destino così era scritto, fatto sta che mi ero fuso con lei, quella notte in cui mi raccontò del piano per Cindy.

Era agitata, la mano tremava mentre gesticolava, la gamba ballava non stando un attimo ferma, ma non mi concentrai su quello, ma su ciò che la sua voce rotta mi voleva dire.
Ascoltai minuziosamente tutto, per non perdermi una sillaba.

Sapevo che Cindy ce l'avrebbe fatta. Avevo capito che aveva una forza interiore più di ciò che mostrava.
Era una rosa appena sbocciata, ma lo stelo era tempestato di spine, che sapevano far male Quando volevano, senza spezzarsi, restando salde.

Presi un'altra boccata, ripercorrendo ancora quella sera, come se non volessi spezzare la magia del film che mi scorreva nella mente. Mi Gustavo lentamente quella sigaretta come per paura che una volta finita si sarebbe offuscata anche la mia memoria.
Difficile era troppo impressa.

Finì di raccontarmi il piano, poggiandosi poi sul letto.
Ero appoggiato con la schiena contro il Comò a braccia conserte.

Alzò lo sguardo verso di me, buttandolo subito giù, fissandosi lo smalto delle unghie, raschiandolo.
Prese un respiro, vedendo il petto alzarsi, per poi parlare, continuando a tormentarsi le dita.
"Puoi restare stanotte?" Mi chiese dolcemente, girando la testa verso di me, alzando appena lo sguardo, quanto bastava per vedere la sua angoscia dentro quegli occhi profondi.

Rimasi interdetto. Non mi aspettavo una richiesta del genere, non da lei. Non avevamo nulla da spartire. E sopratutto non ero nulla per lei, come lei per me.
"Perché?" Domandai, senza girarci intorno. Staccandomi dal comò.

"Non riesco a dormire. Ormai mi succede da quando sono morti i genitori di James." Ammise con la voce spezzata, come se il diaframma non funzionasse più, facendo uscire fuori vocali filanti.

Non alzava lo sguardo, non voleva vedere i miei occhi che si erano rabbuiati. Stringendo il legno massello del comò.
"Non volevo assistere alla scena. Non ne gioivo in realtà. Scesi di macchina, correndo verso di loro, ma ormai era troppo tardi, incrociai gli occhi di suo padre, per una frazione di secondo. Erano vuoti e persi, nascondevano paura, teneva saldamente il volante come se fosse un appiglio dove reggersi, quando la macchina picchiò l'albero, facendogli battere la testa, vedendo l'airbag gonfiarsi contro il suo viso. La madre di Cindy si arresse al suo braccio, con la bocca spalancata dal terrore, quando la macchina precipitò giù per il bosco, stagliandosi contro alberi e piante che lo riempivano. Era stato tutto un secondo. Lui mi aveva soggiogato la mente, l'aveva sempre fatto. Ero solo un pezzo della sua scacchiera. Da quel giorno ho sempre finto davanti a lui, ma nascondevo i demoni che mi tormentavano la notte per l'infame che ero stata. Merito di andare all'inferno. Tu non sai quante volte ho provato a..." Si fermò un attimo singhiozzando, asciugandosi le lacrime con la manica della maglia. Le corsi incontro, mettendomi difronte a lei in ginocchio.

Tentai di alzarle il mento con le dita, ma scosse la testa, facendomi cenno di aspettare che si sfogasse. L'avrei lasciata fare. Ne aveva bisogno, teneva tutto segregato dentro.

"A suicidarmi. Arrivavo sempre lì. La corda mi fissava, aspettava la mia mossa. Il corpo avanzava, ma la mente poi cedeva. E non ci riuscivo. Sono debole. L'amore che James mi ha regalato non potrà più ridarmelo nessuno. Ho spezzato qualcosa per un'altra che non avrò mai. Per un cuore rotto, che non sapeva ascoltare la ragione. Ho demoni più grandi di me. Non merito di essere qui" si prese il volto tra le mani, quasi schiacciandolo.
Quando le afferrai il polso.

Le lacrime continuavano a scendere, bagnandogli la gamba scoperta. Gli asciugai le gocce, alzandogli il viso. Gli occhi gonfi e rossi. Il rimmel colato dalle ciglia bagnate.
Gli tolsi le mani, poggiando le mia sulle sue guance accaldate, scacciando con il pollice i segni del pianto.
Era bella. Senza trucco ancora di più. Alcune ciocche si erano bagnate. Gliele portai dietro l'orecchio.
Mi fissò come se non sapesse cosa dire o cosa fare. Era un'anima persa e sola.

Mi alzai, attirandola su, scontrandosi con il mio petto.
Avvicinai il suo viso al mio, accarezzandogli il volto.
Sussurrandogli a fior di labbra, sentendo il suo respiro farsi pesante ed irregolare, mentre il cuore correva all'impazzata.
"Non sei un mostro Linda. Sei una donna che credeva nell'amore. Per amore si arriva dove non vorresti, si fanno pazzie per compiacere l'uomo che ami. Ma io vedo ciò che sei. Una donna spaventata, che ha paura di non essere più amata. Stanotte regaliamoci la possibilità di sentire come il nostro cuore può ancora battere contro l'altro" mosse il labbro superiore contro il mio inferiore, assorbendo ogni mio respiro.

Puntò i suoi occhi velati contro i miei, mentre le nostre labbra si toccavano.
Non rispose, sembrava turbata, incerta. Ma quando mossi il mio labbro contro il suo chiuse gli occhi ansimando, sentendo il suo corpo cedere sotto il mio tocco, abbandonandosi.
La sua lingua s'impossessò della mia bocca, chiudendo tutti i demoni fuori da quella stanza. Lasciando solo ansimi e palpitazioni. Emozioni che da troppo tempo non provavamo più.

La sollevai, facendola reggere alle mie spalle, mentre scesi a baciargli il petto. Si tolse la maglia, abbassandosi il reggiseno, offrendomi ciò che poteva.
La distesi sul letto, scoprendo la sua intimità. Mi guardava con lussuria e desiderio. Avevo bisogno di assaggiarla. Inarcava la schiena ad ogni mia spinta dentro di lei. Prendevo tutta la sua essenza gustandola, quando mi tirò su per le spalle, facendomi scivolare dentro di lei prepotentemente, continuando a baciarci, mentre le sue unghie, graffiavano le mie scapole, irruenti.

Uscii dalla stanza, vedendo le sue labbra gonfie mimare un "grazie", mentre gli rivolsi un sorriso. Ero io che dovevo ringraziare lei, per aver fatto tornare il mio cuore a battere, da quando Madison mi lasciò per il suo capo.

Era stata la notte più bella della mia vita. Per questo non accettavo la sua morte. Le promisi che ci saremo rivisti, anche se era meglio non mandarci messaggi su quanto successo, tenendoci il segreto per noi. Ma non avevo messo in conto che forse c'era anche un'altra che mi avrebbe fatto perdere la ragione.

Spensi la sigaretta nel posacenere in ceramica, imprecando, sterzando un calcio contro il muro, mentre gli occhi si erano riempiti di lacrime. Buttai un bacio verso il cielo, che il vento portò lontano, sperai contro di lei.
Richiudendo la finestra, poggiando la fronte contro il vetro freddo, vedendo il mio riflesso, perso.

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