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Pov. James

Ero passato a prendere Jennifer a casa. Si era agghindata con un vestito fin troppo succinto che lasciava spazio all'immaginazione.

"Ciao. Prima sera che usciamo insieme, pensi che sono troppo...come dire..." sembrava imbarazzata e a disagio. La guardai mettersi la cintura, serrando le gambe.

"Vai benissimo così" affermai semplicemente vedendo un sorriso nascerle sul volto.

Non pensavo che portandola in quel locale avrei trovato lei. Un pugno allo stomaco, un cratere che mi era arrivato dritto. Avevo ancora la mano fasciata dove mi ero fatto il tatuaggio. Jennifer l'aveva voluto vedere affermando un semplice "bello". Non poteva sapere la storia che vi era dietro e non l'avrei mai rivelata.

Ed ora era qui difronte a me, con quell'abito tipico irlandese ed il corpetto talmente stretto da mettere in evidenza il suo seno prosperoso, sembrava addirittura di più di ciò che ricordavo. Era difficile dimenticare il suo corpo e la sua pelle diafana. I capelli corvini più corti le conferivano un'aria più selvaggia più sexy. Sembrava diversa da come l'avevo lasciata una Cindy più sicura di sé. Ma quando tentò di aprire la bottiglia vedevo come le sue mani la reggevano tremanti, sapevo che il mio sguardo la stava mettendo in soggezione e Jennifer sembrava non curarsene.

Quando le presi la bottiglia dalle mani sentii una scossa che mi elettrizzò mentre le nostre pupille dilatarono in simbiosi. Uno sfioramento così semplice da portarmi ad avere urgenza di lei, di strappargli quell'abito di dosso e scoparla. Si perché non avevo più amore che circolava nel mio corpo. Le sue pietre mi trafiggevano come pezzi di vetro. Ma volevo infliggerle dolore, lo stesso che avevo provato io, lo stesso che ogni volta mi tormentava. Volevo godere del suo dolore.

Si tagliò con il ferretto, e non ci pensai due volte a prendere il suo dito e leccare il suo sangue dolce, il sangue di una perla. Quella che avevo perso. Mi guardò intensamente come affascinata ed eccitata dal mio gesto. Potevo ben credere che la sua intimità pulsasse di esigenza disperata.

Per fortuna tutto ciò cessò grazie a Jennifer che mi chiamò "amore" guardandola in cagnesco per proteggere qualcosa che credeva fosse suo. Ma non sapeva che io potevo essere solo di Cindy, ed ora invece non ero più di nessuno. Ero un uomo libero che soffriva. Rivederla non aveva giocato, non era in programma. Sperare di non rivederla mai e rincontrarla così come un fulmine in una notte tempestosa come la tempesta che si scatenava dentro di me.

Il capo la riprese con voce burbera, e si girò. Non la fermai, non ostacolai il suo cammino. Doveva allontanarsi di nuovo. Era stato un piccolo incontro che aveva scatenato un grande fuoco. 

"Quella ragazza ti mangiava con gli occhi" mi fece presente spazientita Jennifer, mentre le versai in un flûte lo spumante. Per festeggiare che cosa?! Nulla, non avevo niente nessun motivo.

Aspettò la mia risposta indugiando su i miei occhi bassi, per poi portarli su di lei. -Un vero uomo ti guarda negli occhi quando ti parla- mi ricordavo ancora le parole stupide di mio padre.

"Una tua illusione. Svolgeva solo il suo lavoro" la congedai freddo, come il sorso di spumante che presi.

"No non era un'illusione. Lo vedo come ti guardano le donne J. Con desiderio vivo. Quella ti desiderava. Non riusciva neanche ad aprire la bottiglia. Incapace" continuò imperterrita, portandomi a stringere il flûte che si sarebbe rotto in frammenti capace di farmi male da lì a poco.

"Ti ho detto che è una tua illusione, cazzo. Si era tagliata e ho solo evitato che sporcasse il resto." La ripresi ispido e assertivo, vedendo il suo sguardo scuro tramutarsi. Abbassò la testa per scuoterla, portandosi il flûte sulle labbra scarlatte dove lasciò dei residui di rossetto.

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