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Pov. James

Mi ero alzato dal letto. Uno scatto repentino per uscire dal sogno di noi due. Oggi avrei dovuto aiutarla.

Mi ero lavorato a lucido, il signor Robowsky. Coperto dalla finanza non aveva mai problemi. Ciò che non sapevano era come aveva tirato su un commercio di prostitute e lui era un magnate. Comandava quel flusso dove ragazze innocenti, si ritrovavano a fare lavori sporchi.

Mi lavai di fretta, e mi vestii elegante. Un appuntamento importante. Un grande avvenimento.
Gli avevo dato appuntamento al mio locale per dirigerci a Canal Street. Avevamo trovato un posto sicuro, una fabbrica abbandonata per fare ciò che avremmo dovuto. Io che non dovevo sporcarmi le mani, oggi l'avrei fatto.

Salutai Evelin che nel mentre passava l'aspirapolvere cantando una canzone peruviana.
Feci oscillare le chiavi attorno al mio indice che produssero un tintinnio metallico, sgusciando nella macchina.

Il vento passava attraverso il vetro appena abbassato, dove lanciavo fuori quella polvere che si formava sulla miccia della sigaretta. Entrava fumo ed usciva da quel piccolo spazio. Attenuava l'agitazione.

Avevo chiamato Cindy per sapere come stesse suo padre. Rifiutava le chiamate e mi rispondeva solo per messaggio con un -sta bene. Ciao-. La stavo perdendo ogni giorno sempre di più, me ne rendevo conto, ero partecipe di questo dolore. Me lo gustavo in un'agonia lenta che mi tagliava con una lama precisa.

Arrivai davanti al locale, vedendo il signor Robowsky scendere fiero dalla sua BMW nera laccata e lustra.
Un completo nero opaco, ed una cravatta a rombi rossi con scarpe di vernice italiana. I capelli brizzolati mossi, si elevarono con un filo di vento, vedendo le sue rughe grinzose formarsi sul viso ed attorno al naso a patata.

"James, che piacere vedere il mio miglior cliente" mi prostrò la mano ruvida che accettai saldamente. Mi dipingevo di una felicità che non mi apparteneva. Mi attenevo al ruolo.

"Andremo con la mia macchina fino alla stazione. Dopo di che ci sarà un Jet privato" lo informai gentilmente, fingendo ancora.

"Certo, certo. Ma come mai così lontano?" Girovagò con lo sguardo indagatore, fissandomi con i suoi occhi nocciola.

"C'è troppa gente che non deve sapere" lo liquidai con quella semplice affermazione, aprendogli lo sportello per farlo accomodare.

Da 039 8721524

-Quando state per arrivare dimmelo. Sarò nella fabbrica ad aspettarvi.

Riposai il cellulare in tasca, leggendo il suo messaggio. Innestai la prima e partii.
In macchina mi raccontò di altre sue ragazze che aveva aggiunto al suo proficuo flusso. Un'Argentina ed una Russa. Sembrava contento e si strusciava i palmi tra loro come se fosse stato pronto a mangiare un piatto succulento. Era compiaciuto dei suoi affari loschi.

Arrivammo allo spiazzato, dove ci aspettava il Jet guidato da Alex. Sapeva cosa andavo a fare, non era d'accordo e non voleva immischiarsi, ma accettò comunque. Certe volte bisognava farsi giustizia da soli. Ognuno deve scontare il proprio prezzo in questa vita. Abbiamo un biglietto e dobbiamo consumarlo bene.

Le pale del Jet, iniziarono a ruotare, facendo elevare grumoli di sabbia terrosa, mentre ci parammo gli occhi per non far finire polvere, e salire in fretta. Il vento faceva svolazzare i lembi della mia giacca, finché la porta non si chiuse, innalzandosi.

"Vuole dello Champagne?" Gli domandai, mostrandogli la bottiglia tenuta al fresco dentro al secchiello con del ghiaccio.

"Volentieri. Dammi del tu" aggiunse infine con un sorriso a trentadue denti, la maggior parte corrosi dal fumo. Evidenziavano un giallo ed un po' di nero nei contorni attaccati alla gengiva superiore, mentre quella inferiore era quasi inesistente, come risucchiata.

Versai il liquido frizzante, in due flûte, mentre guardai Alex girarsi e partire, con un cenno della mia testa.
Tossii, sganciandomi il primo bottone della camicia.

"Si può fumare qui?" Mi chiese come un bisogno urgente, bevendo il liquido.

"Certo" affermai cristallino, porgendogli il posacenere con una galanteria che mi apparteneva momentaneamente.

"Tuo fratello. Non mi ha mai convinto. Tu sei un ragazzo con cui si possono fare grandi affari" gesticolò ripetutamente con l'indice puntandolo sempre verso di me. Un tono fiero e vigoroso. Stronzate che venivano gettate fuori insieme alla nube di fumo grigiastra. Non gli credevo. Sapevo che faceva affari con Rudy, lo dimostravano tutte le puttane che aveva.
A molte di loro avevo avanzato di essere delle ballerine. Katy non si era tirata indietro. Anzi le piaceva insegnare. Dalla moderna alla classica. Virava e la sera gli spettacoli erano puliti e genuini.

"La prigione è il posto che si merita, quel pezzente" spense la sigaretta nel posacenere, schiacciandola quasi tra il pollice in carne e l'indice. Era un uomo basso e tarchiato. Un maiale dentro e fuori.

Lo lasciai dire, annuendo. Sapevo ciò che era Rudy, sapevo ciò che era lui.
Ciò che aveva fatto a Cindy. La stava per stuprare. Fermo dietro a delle sbarre del cazzo. Avrei dovuto sempre proteggerla. Non ero in grado di fare niente. Ed anche se mi fossi privato del suo amore fin da subito, Rudy sarebbe andato a cercarla. Ossessionato dal volerla conoscere. Non aveva mai compreso che l'avevo tenuta con me per egoismo e per un senso di protezione. Da sola sarebbe stata ancora più indifesa.

Sentii il Jet abbassarsi piano, ed Alex innalzò il pollice destro, come a dirmi che eravamo arrivati.

Feci alzare il signor Robowsky, e lo feci scendere, mentre andai un attimo da Alex.
"Grazie amico" gli confidai vicino, poggiando le mani sul bracciolo di pelle marrone.

"Sai ciò che stai facendo. Se vuoi ti aspetto" si scansò il microfono sull'angolo delle labbra, per parlare pacatamente. Mentre annuii, scendendo.

Fermammo un Taxy per arrivare fino alla fabbrica. Mi aveva dato l'indirizzo preciso. Il tragitto fu breve. Era una fabbrica abbandonata, dal portone rosso di metallo.
Spinsi la leva di metallo arrugginita, che produsse un cigolio assordante, finché non entrammo dentro.

Lo vidi timoroso ma mi rivolse un sorriso che rimandai.
"Qui non ci sentirà nessuno" affermai con tono gentile mascherando un ghigno.

"Sicuramente" rise divertito, aggiustandosi la giacca stretta, che enfatizzava la pancia che straboccava dai pantaloni.

Fin quando le luci del soffitto, non si accesero piano piano, linea per linea come intermittenze. E la sua figura da prima oscurata, non venne alla luce dei led gialli.

Guardai Robowsky sbiancare e divenire pallido, mentre lei avanzò con calma verso di noi, con il rumore del ticchettio dei suoi tacchi neri.

"L...linda...ma..." balbettò debolmente spaventato, quasi come fosse un fantasma. Ritraendosi appena indietro, sbattendo con la schiena contro il mio petto.

Lei abbassò gli occhi per tornare su quelli di Robowsky, ridendo amaramente.
"Ciao papà".

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