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Un'altra settimana e mezzo era passata da quando James era stato qui. Mi aveva telefonato, nonostante non gli rispondessi. Gli mandavo solo messaggi. Messaggi sfuggenti, risposte a monosillabi. Lui non mi dava risposte ed io non davo le mia.

Mi alzai dal letto, colta da un capogiro. Le persiane erano abbassate e filtrava solo un po' di luce dagli spiragli che si proiettavano come delle lucine magiche sulle pareti bianche e spoglie della camera, dove sul soffitto vi era un po' di muffa per l'umidità.

Arrancai fino al bagno, sentendo un senso di nausea ed una specie di conato salirmi in gola e riverberarsi sul palato. Sentii la lingua come pastosa, e scossi la testa.

Aprii la porta che produsse un cigolio basso, poggiando le mani sul lavabo di marmo freddo, aprendo la piccola cannella.
L'acqua scorreva lenta come un gocciolio, poiché non ne usciva tantissima, ed era debole.
Lo specchio usurato, mostrò il mio viso pallido. Non avevo una bella cera.
Mi chinai un po', prendendo con la mano a coppa un po' d'acqua per sciacquarmi il viso, ma sentii un dolore verso il ventre, e mi catapultai con uno scatto veloce verso il water bianco e un po' arrugginito sotto la gamba, piegandosi su di esso.

Fu un attimo il tempo di prendere un respiro che sentii il conato salirmi prepotente e rigettare tutto ciò che avevo mangiato la sera prima. Un altro conato, ed anche i liquidi verdognolo si mischiò alla poltiglia.

Sentii dei passi veloci verso le scale come un ticchettio potente, e lo scalino che scricchiolava. La porta venne spalancata in modo brusco, e la maniglia di metallo della porta sbatté contro il muro per tornare indietro.

"Cindy" avvertii la voce preoccupata di Daniel al mio udito in po' ovattato dal mio stato momentaneo, e dal capogiro forte che pulsava sulle tempie.
"Cindy, Dio. Stai bene?" Si piegò, prendendomi i capelli in una morsa dolce e leggera, scostandomi delle ciocche madide dalla guancia che raggelava e piccole gocce di sudore imperlavano la mia fronte, facendomi prudere la cute proprio sull'attaccatura dei capelli.

Respirai in affanno, cercando un senso di quiete interiore, dato lo sballottamento del mio intestino che brulicava prepotente.
Annuii con la testa debolmente, tenendo lo sguardo basso.

"Non dovresti...v...vedere questo schifo" pronunciai ispida e filante, mangiandomi alcune parole che uscivano a sforzo dalle labbra secche e la gola prosciugata.

"Che cazzo dici? Pensi che un po' di vomito mi faccia effetto? Mi fa stare più male la vista del tuo viso" mi prese delicatamente il mento tra il pollice e l'indice portandomi verso di lui, senza resistenza da parte mia poiché non ne avevo le forze necessarie per ribellarmi.

Guardai i suoi occhi più intensi e bui, guardarmi profondamente e perlustrare il mio viso.
"Ti porto dal medico" proclamò risoluto, aiutandomi ad alzarmi ed azionando la levetta dello sciacquone con un rumore possente.

"No! Spostati" risposi burbera, sentendo gli occhi velarsi e riempirsi di lacrime. Mi sentivo in conflitto con me stessa.
"Scusa Daniel" aggiunsi, guardandolo mentre cercava di capire che cosa avessi, e gli occhi indugiavano su i miei spenti ed arrossati.

"Scusa davvero. Sei l'unico che mi sta sostenendo ed io mi comporto così. Non lo so che mi succede" ammisi passandomi la mano tra i capelli, sentendomi meglio, ed alzandomi.

"Tranquilla" rispose melenso, racchiudendomi in un abbraccio dolce.

Mi lavai i denti, mentre Daniel andò giù ad aggiustarsi.
"Non andrai mica a lavoro così oggi?" Più che una domanda suonava come un'affermazione assertiva, che aspettava una mia risposta accondiscendente.

M'infilai un jeans stretto ed una camicia rosa cipria in chiffon, scendendo le scale.
"Devo. Ma comunque prima devo passare in un posto. Tu resta pure qui" lo avvertii più per non farlo venire con me, mentre raccattai la borsa a tracolla nera ed il giubbotto bianco.

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