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Ero stata dura, fredda, una lastra di ghiaccio. Lo dovevo fare. Mi aveva allontanata perché secondo lui meritavo di meglio, non sapendo che il mio meglio sarebbe stato solo e sempre lui.
Volevo riprovare la sensazione di venire avvolta dal suo calore e dal suo corpo. E come sempre mi ritrovavo in un turbinio di emozioni. Andavo in alta quota con il corpo e con l'anima. Lo amavo, ma dovevo farlo soffrire come lui aveva fatto con me. Il suo volto triste, la mascella rigida ed i pozzi spenti mi avevano indotto a capire che ci ero riuscita. Che il mio James era ancora lì, tornava prepotente con me. Si era tatuato La Rosa con le spine. Perché il nostro amore era così. Una rosa sbocciata e delicata, piena di passione ma che faceva male. Ed io quel dolore lo esigevo. Ma sarebbe stato meglio allontanarmi da tutto. Sopratutto da lui, che sarebbe tornato se mi amava davvero, sarebbe venuto lui. Volevo conferme, la conferma che il nostro sentimento poteva abbattere barriere e muraglie indistruttibili. Lo volevo credere.

Mi sentivo ancora scossa, brividi irrefrenabili nel mio corpo febbricitante. Il ricordo delle sue mani, ruvide e dal tocco dolce e passionale come sempre.
Camminai accompagnata dal rumore del ticchettio del tacco sull'asfalto e da un refolo di vento ancora fresco.
Il giusto per rianimarmi e farmi perdere un po' di quel rossore che si era formato addosso a me.

Arrivai davanti al condominio, salendo le scale di fretta, ed aprire la porta per richiuderla piano emettendo un cigolio sordo e debole.
Probabilmente stavano già dormendo, poiché Vidii la borsa di Katy poggiata sul divano.

Sarebbe stato più semplice almeno. Sicuramente da codarda. Ma abbandonarli di nuovo e vedere il loro dispiacere confondersi con il mio mi avrebbe spezzata ulteriormente. Ma per loro ci sarei sempre stata, sempre e comunque.

Presi il foglio di un block-notes a righe, ed una penna con l'inchiostro nero, iniziando a premere la punta su quel pezzo di carta.

Se domani mattina troverete questa lettera è perché sarò andata via. Non è colpa vostra ragazzi ma è arrivato il momento di tornare da mio padre. Non ho nulla che mi trattiene qui se non voi.
A lavoro ho già dato le mie dimissioni, ed ho preso una piccola liquidazione, la miseria mi accompagna da sempre (smile). Non siate tristi.

Katy, tu sei entrata nella mia vita come un tornado, una ventata di aria fresca nella mia vita grigia, hai saputo donare colore e calore. Ti sei dimostrata da subito generosa porgendomi un pezzo del tuo panino, come un pezzo del tuo cuore, e quando siamo insieme siamo in completa sintonia perché mi completi. Sei stata da subito come una sorella, un legame che non si può spiegare, strano agli occhi degli altri ma così normale ai nostri. Mi hai bacchettata, e mi hai saputo coccolare e cullare, cacciando un po' della mia tristezza con la tua ilarità. Ti ringrazio mia piccola libellula leggiadra. Sei una ballerina stupenda.

Kevin. Tu sei stato un fratello maggiore, una protezione. Mi racchiudevi con le tue forti braccia, non ti sei rifiutato di darmi un tetto per dormire, anche se ero una sconosciuta. Ci siamo trovati subito, confidandoci segreti intimi. Mi hai protetta, ti sei beccato una pallottola vedendo la paura nei miei occhi, la paura di perderti. Sei una delle persone più importanti per me insieme a Katy.

Ci sarò sempre per voi, il Tennessee vi aspetta, il posto che ha visto nascere il vostro amore. Non esitate se avete bisogno di me ci sarò comunque vada, se avete bisogno correrò da voi a Miami, costi quel che costi.

Vi voglio bene, immensamente, profondamente, indescrivibilmente.

Cindy.

Mi asciugai con l'indice una lacrima sospesa sotto la rima cigliare. Andai in camera, buttando tutto nel borsone alla rinfusa. Lo stesso borsone di sempre, che mi aveva accompagnato dall'inizio del viaggio. Per portarmi un bagaglio di emozioni dietro. Belli e brutti, ognuno di noi torna con qualcosa da un viaggio, ognuno di noi parte per uno scopo ed un progetto, tornando con ben altro.

Presi dal comodino il sacchetto di plastica dove vi erano i gioielli di mia madre. L'avrei dovuti vendere e ricavare i soldi. Mi ero tenuta solo i suoi orecchini di perla, da quelli non mi sarei separata. Erano un ricordo nitido ancora.

Mi vestii con un jeans ed una maglia.
Sospirai pesantemente, guardando la camera.
Toccai le pareti con le mani che tremavano, ed una lacrima lenta e calda scivolò rigandomi la guancia che scottava ancora per quelle emozioni, dovute a James.

Finché non mi misi il borsone sulla spalla, e chiudere la porta con lo stesso rumore debole, scendendo i gradini della palazzina, venendo avvolta dall'oscurità della notte.

M'incamminai. Alcune macchine sfrecciavano. Avevano fretta forse di correre a casa dalla propria moglie o marito, dall'amante, dal figlio. O dai propri genitori. Alcune Forse per una scopata di puro piacere. Anime vaganti e solitarie. Come la mia.

L'alba stava sorgendo ed arrivai stremata alla fermata del pullman.
Mi accasciai a sedere, sulla panchina di ferro sotto la tettoia, vedendolo lampeggiare da lontano, fino a fermarsi.
Lasciai scendere le persone per poi salire.

Presi postazione in fondo, accanto al finestrino, poggiando la testa contro il vetro freddo.
Una melodia accompagnava il mio viaggio riecheggiando dalle cuffie dell'iPod.
Addormentandomi piano, poggiando la suola degli stivaletti sul sedile in plastica difronte.

Mi stiracchiai piano, venendo colpita dal bagliore della luce e dai vociferi della gente.
Stesso autogrill notai, quando ripresi la giusta visibilità. E come sempre i suoi soliti dieci minuti di sosta.

Scesi per rianimarmi dal mio stato, entrando dentro quel posto. Era destino che tornassi sempre lì.
Girovagai con lo sguardo finché non vidi quella signora paffuta, sgridare contro ad un cliente, minacciandolo con una pezza bianca, intimandogli di andarsene. Finché il signore pelato e dai denti giallognoli non fece una smorfia sorpassandomi per andarsene, sbattendo la porta di vetro, accompagnato dal tintinnio degli scacciai pensieri affissi sopra.

Scossi la testa per vedere che la signora mi stava fissando con una faccia buffa, come a cercare di ricordarsi di me. Quando spiegò la pezza e mi venne in contro.
"Zuccherina. È il fato che ti riporta sempre al punto di partenza. Il fustacchione?" Chiese masticando la sua chewing-gum che produsse un biascico fastidioso.

Comunque sorrisi per il mio nomignolo.
"Salve. Certe cose vanno lasciate per strada, non crede?" Le riformulai un'altra domanda, non volendo parlare di James. Sembrava che quella signora fosse una confidente. Una routine di tutti i giorni.

"Certe cose si. Ma altre non ci abbandoneranno mai qualsiasi strada percorriamo. Proprio per questo ti offro un succo di papaya" posò la pezza, parlando saggiamente come se mi leggesse dentro, per abbassarsi e tirare fuori una bottiglia di vetro contendente il liquido aranciato. Fortuna aveva cambiato. Il
Mirtillo non era cosa loro.

"Suo marito Carl?" Alzai il bicchiere per farle intendere se l'avesse fatto lui, mentre scosse la testa.

"Questo l'ho fatto io" mi strizzò l'occhiolino mentre presi una sorsata, annuendo sotto il suo sguardo speranzoso. E fortunatamente e stranamente era buono.

Quando notai il guidatore del pullman farci cenno di andare.
Poggiai il bicchiere sul bancone, fissando la signora con un sorriso gentile.
"Grazie" le rivelai cristallina senza precisare. Era un grazie cordiale e per tutto.

"Ciao. Ah zuccherina...ricorda" si raccomandò come un avviso mentre annuii ritornando sul pullman per finire il mio percorso.

Sto arrivando papà. Scusa per la mia assenza. Insieme contro al mondo, non me lo sono dimenticato.

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